Un mare di plastica
🌍 Il colore verde #85: Le nuove frontiere dell'inquinamento della plastica, dai nuovi ecosistemi in mezzo all'oceano alle "lacrime di sirena"
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La plastica ha cambiato la storia dell’umanità: i suoi usi sono infiniti e nessun materiale simboleggia meglio il nostro rapido progresso dell’ultimo secolo.
Eppure. Eppure siamo pieni di plastica, ovunque, difficilmente smaltibile o riciclabile. Raccontare fino a che punto ne siamo pieni, e con quali conseguenze, è una sfida enorme, spesso impossibile.
Perché io o tu, o un’attivista, o un insegnante possiamo anche ripetere a memoria i numeri e i dati del fenomeno, ma è sempre difficile comprendere e far comprendere quanto l’inquinamento da plastica sia una delle più gravi ferite che infliggiamo al Pianeta.
Il numero che a me fa sempre impressione è questo: nella nostra storia, da quando la plastica è stata inventata nel secondo dopoguerra, solo il 21% della plastica prodotta è stata incenerita o riciclata, il resto è la fuori da qualche parte.
Ma la fuori dove? E come? Ho parlato in altre occasioni della plastica nei fiumi e negli oceani, nel cibo, sulle spiagge, nelle discariche. Oggi ti racconto due cose sulla plastica che forse non sai.
Plastica abitabile
La prima è una notizia che riguarda l’“isola di plastica che galleggia sul Pacifico”, come viene chiamata qui in Italia la famosa Great Pacific Garbage Patch (che non è esattamente un’isola, ma due grandi agglomerati di rifiuti di plastica nel nord ovest e nel nord est dell’Oceano, dove l’immondizia è “intrappolata” dalla corrente marina, e che raggiungono un’estensione a densità variabile di 1,5 milioni chilometri quadrati).
Beh: ora la Great Pacific Garbage Patch è diventata un vero e proprio ecosistema. Perchè sempre più specie che di solito vivono lungo le coste riescono a prosperare anche lì. Hanno colonizzato la plastica.
Secondo lo Smithsonian Environmental Research Center, che ha prelevato e analizzato 100 tonnellate di plastica dispersa nell’oceano, il fenomeno va avanti da anni e si sta consolidando con numeri che iniziano a essere significativi: animali e piante marine vengono trasportate sui detriti di plastica dalle correnti e piano piano si fanno spazio, riproducendosi e moltiplicandosi di generazione in generazione, in luoghi dove quel tipo di flora e di fauna non ha mai abitato. Una quarantina di specie: granchi, cirripedi, cozze, anfipodi.
L’attività meraviglia e preoccupa gli scienziati: perché a causa della plastica, sostiene il centro di ricerca sulla rivista Nature, c’è la possibilità che questa inedita popolazione (che loro chiamano “ecosistema neopelagico”) entri in competizione con le specie che già vivono in mare aperto. Ciò potrebbe alterare gli equilibri dell’Oceano, già fragili e maltrattati dall’essere umano.
Lacrime di sirena
Ma da cosa sono fatti tutti questi detriti che stanno negli oceani, visto che nei mari sono finiti almeno 150 milioni di tonnellate di plastica? Intanto c’è moltissimo materiale usato per la pesca, dalle reti alle boe. E poi i prodotti di tutti i giorni, che finiscono lì dopo essere stati gettati nei fiumi: bottiglie, sacchetti, imballaggi per alimenti. Ci sono i detriti delle alluvioni e degli tsnunami. E poi ci sono due tipi di plastiche molto meno visibili, ma dall’impatto enorme: la polvere degli pneumatici (una macchina in corsa “perde” circa due grammi di gomma al giorno) e quelle che vengono chiamate lacrime di sirena.
Le lacrime di sirena sono i pellet di plastica grezza, delle sfere semilavorate di circa 5 millimetri che, una volta fuse, possono assumere tutte le forme e dimensioni necessarie. I nurdles, così si chiamano in inglese, sono l’ingrediente principale dell’industria della lavorazione della plastica, nonché uno dei materiali artificiale maggiormente dispersi negli oceani.
Forse ti ricordi la storia della nave-cargo affondata a largo del Sri Lanka lo scorso maggio: era stato definito “il peggiore disastro ambientale” del Paese. Ecco quella nave trasportava proprio pellet di plastica: si sono riversate in mare 1.680 tonnellate, il più grande carico mai disperso.
Le lacrime sono uno dei materiali più tossici per gli oceani, e sicuramente il più sconosciuto dalla maggioranza delle persone. Gli animali confondono le piccole sfere, spesso chiare o addirittura trasparenti, per del cibo e ne ingeriscono grandi quantità. Non solo: i pellet riescono a raggiungere fondali marini ricoprendoli e interferendo con gli ecosistemi. Fanno anche da “spugne”, perché legano facilmente con altri composti tossici dispersi in mare, assorbendo e trasportando veleni, prodotti chimici e anche batteri.
Eppure nessuno ha mai etichettato i pellet plastici come materiali pericolosi: sarebbe l’unico modo per rendere più sicuro il loro trasporto. Proprio nelle scorse settimane un gruppo di attivisti ha chiesto all’Organizzazione marittima internazionale di agire, e ha lanciato anche una petizione online. La speranza è che disastri come quello dello Sri Lanka, sempre più frequenti, si riducano rapidamente.
Ora tu mi vorrai dire: ma perché proprio oggi mi racconti queste storie così brutte? Ho la risposta pronta: perché sta per arrivare Natale, e la plastica invaderà le nostre case. Evitiamo quella non necessaria, e buttiamo correttamente i rifiuti che produrremo.
📰 Link, Link, Link
I grandi marchi di moda contribuiscono alla deforestazione dell’Amazzonia. Miriam Tagini su Greenkiesta.
Il nuovo strumento di Google che calcola l’impatto dei tessuti sull’ambiente. Disponibile dal 2022. Valeria Sforzini su Pianeta 2021.
Come possiamo imporre alla finanza di considerare i rischi climatici. Andrea Baranes su Valori.it.
“«Assaggia, è salato»: come l’innalzamento dei mari sta rovinando le coltivazioni di riso in Gambia”. Sul Guardian.
Un nuovo libro, in inglese, che raccoglie 1001 storie sugli effetti del cambiamento climatico.
Il Nordafrica è la nuova frontiera dell’idrogeno verde. Articolo di Al Jazeera tradotto su Internazionale.
🔥 Benzina sul fuoco: chi rompe paga
Benzina sul fuoco è un podcast curato dal professor Marco Grasso e da Sabina Zambon: è appena uscita la quinta puntata, interessantissima, sulla questione delle azioni legali contro le multinazionali delle fonti fossili. Ospiti della puntata: Verona Dini, avvocata esperta in contenzioso climatico, e Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima e Energia di Greenpeace Italia.
Il podcast è prodotto da Piano P e per tutte le prossime puntate includerò un piccolo riassunto. Insieme all’associazione Cittadini per l’Aria, la Fiab – Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta e lo studio ForEst, collaboro (gratuitamente) alla sua diffusione.
🎧 Lo ascolti su: Apple, Spotify, Amazon Music.
In una delle prossime puntate della newsletter intervisterò il professor Grasso, quindi se hai domande sui contenuti del podcast, fammi sapere, che gliele giro!
👇 La cosa più bella
Un piccolo orango di Sumatra viene accompagnato dalla madre mentre si arrampica su un albero nella riserva di Hutan Pinus/Janthoi, in Indonesia. La foto è una delle vincitrici del voto popolare del Wildlife Photographer of the Year. Puoi guardare qui tutte le immagini premiate.
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, sono friulano, sono un giornalista e ho 30 anni. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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