Scordiamoci l’America
🌍 Il colore verde #231 Benvenuti nel Trumpocene. In questi quattro anni sarà difficile, se non impossibile, affrontare il cambiamento climatico a livello globale
Ciao! Oggi sperimento una puntata infrasettimanale dedicata a Trump.
Mercoledì scorso la puntata monotematica sugli incendi a Los Angeles è stata la più letta degli ultimi mesi. Vorrei produrre più spesso articoli così: lunghi e approfonditi. Se vi piace la formula fatemelo sapere — via mail o nei commenti.
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«Today I will also declare a national energy emergency. We will drill, baby, drill»
«Da oggi dichiaro l’emergenza energetica nazionale. Trivelleremo, baby, trivelleremo». Sembra lo slogan di un cattivo dei film dei supereroi. È invece una delle frasi più applaudite del discorso di insediamento del nuovo presidente americano, Donald Trump. Con tanto di ovazione di quasi tutta la sala.
Sapevamo che Donald Trump e l’azione climatica non andavano d’accordo, aveva già scardinato molte politiche verdi nel suo primo mandato, e in campagna elettorale aveva promesso sangue e vendetta. Ma i primi giorni di presidenza si sono rivelati ancora più spaventosi di ogni più pessimistica previsione. Per i toni, la ferocia e il disgusto verso tutto ciò che è diverso da lui e dalla sua visione del mondo. Dal punto di vista climatico, ci aspettano quattro anni difficili, azzarderei persino… impossibili. Pochi giri di parole.
Trump 2.0 è un meteorite che cade su una bolla di sapone. La forza più grande che esiste si schianta sugli sforzi globali per contrastare il cambiamento climatico, già oggi fragilissimi.
📜 Le prime decisioni
I primi ordini esecutivi firmati da Trump sono un ritorno al passato a 360 gradi. Spaziano dal rilancio del petrolio e del gas al ripristino di politiche restrittive sull’immigrazione. Ha annunciato dazi per diversi Paesi, incluso il Canada. Ha firmato l’abbandono dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ha abolito programmi di diversità e inclusione federali (le persone assunte nel settore pubblico grazie a questi programmi saranno messe in congedo e poi licenziate), e varato misure contro le minoranze e i diritti civili. «Da oggi ci saranno solo due generi: maschio e femmina», ha detto con ragionamenti da buzzurro al bancone del bar. Come se la politica possa decidere desideri, pensieri, urgenze di ogni singola persona là fuori. Trump 2025? No, Trump 1925.
La sua visione del mondo è facile, si incardina su due banali assi spazio-temporali: l’America è l’unico luogo che conta; il presente è l’unico tempo che esiste.
Proviamo ad analizzare cosa ha già deciso per ambiente, emissioni ed energia. E cosa ciò implica, dati alla mano. Benvenuti nel Trumpocene, l’era del disimpegno climatico.
🤝 L’uscita dagli Accordi di Parigi — di nuovo
Uno dei primi ordini esecutivi firmati da Trump riguarda il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, ovvero il trattato internazionale che punta a limitare il surriscaldamento globale. Trump aveva firmato l’uscita già nel 2017 (poi Biden era rientrato). Le conseguenze saranno più pesanti di allora. Nel frattempo, il cambiamento climatico è diventato più estremo, con il 2024 registrato come l’anno più caldo di sempre e con la temperatura globale che ha per la prima volta superato la soglia critica di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Gli attuali obiettivi globali, se ogni Paese mantiene promesse e piani di decarbonizzazione, ci proiettano verso un Pianeta più caldo di 2,4°C gradi entro il 2100 (stime dell’Agenzia internazionale dell’energia). Togliere dall’equazione l’America ci avvicina a una sconfitta inesorabile.
Gli Stati Uniti sono il secondo Paese per emissioni annue di gas serra, e il primo se consideriamo il dato storico aggregato. Negoziare la riduzione di emissione globale dei Paesi senza il peggiore della classe sarà sempre più difficile. Molti Paesi si chiederanno perché continuare a “raccogliere i pezzi” lasciati da un partner inaffidabile.
Sul fronte finanziario, Trump ha ordinato l’interruzione immediata di tutti i fondi promessi ai paesi in via di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico. Solo nel 2024, gli Stati Uniti avevano contribuito con 11 miliardi di dollari, una quota significativa dei 116 miliardi complessivi stanziati dai paesi sviluppati.
Nonostante le azioni del governo federale, molti Stati e città americani guidati da politici del partito democratico hanno ribadito il loro impegno per l’Accordo di Parigi. La Climate Alliance, una coalizione di 24 Stati americani, ha promesso di mantenere gli obiettivi di riduzione delle emissioni.
🛢️ L’emergenza energetica, le auto elettriche e le fonti fossili
Trump ha siglato una serie di ordini esecutivi per rilanciare i combustibili fossili e frenare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
C’è da dire che le fossili in realtà non si erano mai fermate. Gli Stati Uniti, già il maggiore produttore di petrolio e gas al mondo, sotto l’amministrazione Biden avevano raggiunto livelli record di produzione, ma anche investimenti senza precedenti in energia pulita. Tra il 2021 e il 2024, grazie all’Inflation Reduction Act, sono stati investiti 175 miliardi di dollari in tecnologie green, creando oltre 775.000 posti di lavoro nel settore manifatturiero e delle energie rinnovabili.
Trump ha invece revocato i piani per nuovi parchi eolici offshore (=in mare aperto), frenato le agevolazioni fiscali per i veicoli elettrici e promesso di aumentare trivellazioni e estrazioni minerarie, inclusa una revisione delle regole per sfruttare l’Arctic National Wildlife Refuge, un’area naturale in Alaska che era protetta dallo sfruttamento delle risorse. Per il “green deal” di Biden tutti i veicoli elettrici federali sarebbero dovuti diventare elettrici nei prossimi anni, Trump ha già fermato l’iniziativa. «Voglio mantenere le mie sacre promesse ai lavoratori del settore automobilistico. In altre parole: potrete tutti comprare l’auto che vorrete».
Le rinnovabili durante il suo primo mandato sono comunque cresciute, perché a oggi solare ed eolico sono le fonti energetiche più economiche negli Stati Uniti. Le fonti fossili, come il gas e il carbone, riescono a competere solo grazie agli ingenti sussidi statali. Due grafici per capire la situazione americana.
Trump punta a esportare il gas naturale liquefatto (Gnl) in Europa, che sta cercando di affrancarsi dalle forniture russe. Secondo Zero Carbon Analytics, l’Europa non avrebbe bisogno del Gnl degli Stati Uniti per sostituire il gas russo, grazie a una prevista riduzione della domanda europea del 29% entro il 2030 e del 67% entro il 2040.
🏦 Finanza e disimpegno delle grandi corporation
Il ritorno di Trump sta creando ripercussioni anche nel settore finanziario. Le maggiori banche statunitensi, come JPMorgan e Goldman Sachs, e gestori di fondi come BlackRock, hanno già abbandonato coalizioni climatiche come la Net Zero Banking Alliance per evitare pressioni politiche e legali interne.
La finanza si riallinea velocemente, mostrando quanto sia effimera la sua anima morale e politica. Lo abbiamo visto anche nel settore tecnologico, con Musk, Bezos, Zuckerberg diventati più o meno improvvisamente trumpiani.
Anche la Federal Reserve, cioè la Banca centrale americana, ha annunciato il ritiro dal Network for Greening the Financial System (NGFS), un’organizzazione che raduna enti finanziari da 90 Paesi con lo scopo di condividere buone pratiche “verdi”.
→ Fabrizio Goria, mio collega de La Stampa, ha coperto largamente il tema negli scorsi mesi, qui uno degli articoli che segnalava il trend già ad agosto.
🇪🇺 Il divario crescente tra Europa e Stati Uniti
Il disimpegno politico e finanziario segna una rottura con l’Europa e il resto del mondo. Chi vede il bicchiere mezzo vuoto pensa che l’Europa e le aziende europee saranno costrette a seguire le orme americane. Chi è più ottimista spera il contrario: la transizione è avviata, le grandi aziende americane continueranno a investire, seppure più silenziosamente (il famoso greenhushing, il “silenzio verde”, una strategia usata dalle aziende per minimizzare la comunicazione delle iniziative sostenibili, per evitare contraccolpi).
Ma non c’è solo l’Occidente: la divergenza di vedute tra un lato e l’altro dell’Atlantico potrebbe aprire la strada ad altre economie per attirare investimenti verdi, con la Cina pronta a capitalizzare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Già ora, per esempio, la Cina produce l’80% dei pannelli solari ed è il Paese che produce più energia rinnovabile.
Ursula von der Leyen, alla guida della Commissione europea, ieri a Davos ha fatto capire che l’Ue è ora aperta ad alleanze con Cina e India.
🌪️ Il costo dell’inazione climatica
Torniamo negli States. La cancellazione del “green deal” di Biden (l’Inflation Reduction Act) potrebbe causare l’aggiunta di 4 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra entro il 2030. Secondo Energy Innovation, questo comporterebbe anche un calo del Pil annuale statunitense di 770 miliardi di dollari rispetto allo scenario pre-Trump.
I recenti eventi estremi, come gli uragani Milton e Helene in Florida, hanno mostrato l’impatto dell’intensificarsi degli eventi estremi. Il cambiamento climatico ha reso Milton due volte più probabile e aumentato del 20-30% l’intensità delle precipitazioni. Secondo l’Imperial College, quasi la metà dei danni economici diretti di Milton e Helene (47 e 44%) può essere attribuita al cambiamento climatico.
L’effetto riguarda anche gli incendi di Los Angeles. Secondo uno studio di attribuzione dell’Università di California il surriscaldamento globale — che nel 2024 ha raggiunto il livello di +1,5°C rispetto alla media del 1850-1900 — ha aumentato del 25% il combustibile disponibile per gli incendi, ovvero le foglie e gli alberi secchi delle foreste intorno alla città.
Gli ultimi cinque anni, secondo l’ente federale Noaa, sono stati quelli con un numero maggiore di Billion-dollar Disaster Events, ovvero eventi estremi (incendi, siccità, alluvioni) che hanno superato la soglia di un miliardo di dollari di danni.
🔒 Isolazionismo e opportunismo
Trump si isola e pensa che da soli gli Stati Uniti andranno più veloci. “Trump contro tutti” titola la prima pagina di oggi de La Stampa, rende l’idea. L’Economist parla di “nuovo imperialismo americano”. Per la prima volta in cent’anni un presidente americano reclama nuovi territori: Panama, Groenlandia e addirittura Marte.
Ma così, da sola, l’America rischia di non andare lontano. Perché le sfide globali sono così enormi che non possono essere affrontate in solitudine. Lo ha dimostrato la pandemia, lo mostra ogni giorno l’emergenza climatica.
La transizione energetica e il contrasto del cambiamento climatico non è solo un costo. Anzi, il vero costo lo paga chi non agisce e chi non si adatta. La vulnerabilità climatica oggi è inevitabile, non affrontarla nel breve periodo può portare dei benefici — politici, identitari e persino economici; ma difficilmente permette un futuro stabile. Trump in questo interpreta perfettamente la strategia del free rider: non pagare il biglietto del tram perché tanto lo pagano tutti gli altri. Una scelta opportunistica singola che, se seguita da tutti, rischia di portare al fallimento collettivo.
«Inizia la golden era degli Stati Uniti — siamo all’inizio dei quattro anni più grandi della storia americana».
🌍 Le ricadute per il nostro futuro
Trump ha vinto le elezioni, ha buona parte del popolo americano dalla sua parte: ha diritto di dire e desiderare per il Paese che guida ciò che vuole. Donata Columbro di
ha raccontato che la parola più usata dal presidente nel discorso di insediamento sia stata “I”, io. 124 volte, molte di più del discorso del 2017 (52). Quasi tre volte più frequente del discorso del 2017.E allora la domanda che ci dobbiamo è: cosa ci può far sperare che le decisioni di Trump non abbiano ricadute tragiche sul resto del mondo? Sull’Europa, i Paesi più colpiti da emergenze, le persone più vulnerabili? Se ricordate, Obama tanti anni fa si appellava all’audacia della speranza. Oggi quel coraggio è un soffio debole. Una bolla di sapone mentre l’asteroide si avvicina. Ma una minaccia così enorme può anche aiutarci a ricompattarci, a trovare nuove soluzioni. Stringiamoci forte e teniamo duro, insieme. L’Io di Trump si fermerà al massimo nel 2028, il noi del mondo ha ancora tante storie da scrivere.
Se siete qui, vuol dire che Il colore verde vi piace davvero e vi è utile. La newsletter è nata nel marzo 2020 e la curo io, Nicolas Lozito, friulano, 34 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa.
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grazie grazie grazie per gli spunti come sempre, per l'analisi e per la (fievole) speranza per il "noi" e il nostro futuro.
Grazie per gli articoli.
Sn sempre preziosi.
L'America lo percepisco come una società sempre più in decadenza. Anche un Musk, con quel modo di fare, con i suoi operai, con il suo schierarsi a destra e a sinistra, il suo proporre una transizione green e poi andare a sostenere il governo del fossile. Nn sarà con queste visioni, con questi uomini senza schiena, con queste classi dirigenti che "vinceremo" economicamente. Stellantis ha finanziato Trump e la sua cerimonia di insediamento con 1 mln di dollari!
Con questi manager nn cresceremo come società, come nazione sia Europa che America. Questa classe politica ci porterà solo alle guerre, alle crisi economiche e climatiche.
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