A Sanremo non c'è il climate change
🌍 Il colore verde #94: Al Festival si parla di tutto, dal razzismo alla mafia, ma ancora manca l'ambiente. Il problema, però, è nostro – non della kermesse
Una cosa che spesso viene ripetuta da un po’ tutti: «Ormai si parla solo di ambiente, di clima e di sostenibilità». È una frase a doppio taglio: c’è chi la usa per lamentarsi per l’eccessivo interesse sull’argomento (“E basta con questa Greta!”); e chi la usa per intestarsi una piccola vittoria (“Finalmente tutti ne parlano!”).
Beh, stiamo tranquilli o preoccupiamoci, non è ancora così: in venti ore e più di Festival di Sanremo non se ne è mai parlato.
Troviamo solo qualche accenno all’emergenza climatica in “Ciao Ciao” de La rappresentante di lista, canzone ispirata – a detta degli autori – dalle manifestazioni dei Fridays for future.
«Che paura intorno…
È la fine del mondo
Sopra la rovina sono una regina
Mammamma…
Ma non so cosa salvare! […]
Che spavento
come il vento questa terra sparirà
Nel silenzio della crisi generale
Ti saluto con amore»
E con questo non voglio dire che Sanremo dovrebbe per forza parlare di climate change, mai mi sognerei di giudicare palinsesti e scalette. Ma voglio sottolineare come l’argomento non sia penetrato a fondo nella cultura e nell’immaginario collettivo.
Se Sanremo è la pancia del Paese – con tutte le contraddizioni, l’alto e il basso, lo stretto e il largo, il giusto e lo sbagliato, i diritti e la nostalgia, perché la ricetta perfetta per mettere d’accordo è mostrare gli interessi di tutti – vuol dire che alla pancia del Paese, e alle star che la manifestano, non interessa poi così tanto l’ambiente.
Ripeto: non mi aspetto Amadeus in piazza con Extinction Rebellion.
Perché non è necessariamente un tema da Sanremo, l’ambiente. Ma il Festival è diventato negli anni anche una piattaforma per mostrare e insegnare qualcosa in più: in questa edizione si è parlato di mafie (con l’intervento di Saviano), di razzismo, di diritti civili, di disabilità e addirittura di suicidi.
Affrontare temi forti, divisivi o complessi è una delle grandi sfide abbracciata dal mondo dello spettacolo degli ultimi decenni. Perché no anche il climate change?
I precedenti ci sono. Prendiamo l’Eurovision, il megafestival europeo vinto l’anno scorso dai Måneskin: nel 2019 la Svezia ha partecipato con una canzone sul climate change (e una sull’ambiente nel 2011); mentre l’anno scorso la manifestazione si è unita a WWF per lanciare un concorso alla ricerca di “un milione di voci unite per l’ambiente”. E quest’anno alla finale europea potrebbe arrivare persino una hit lituana che si initola “Eat your salad”, che inizia così: «Instead of meat, I eat veggies and pussy».
A proposito di vegan e grandi occasioni: alla cerimonia degli Oscar del 2020 l’attore Joaquin Phoenix si è sentito in dovere di usare i minuti concessi per il discorso di accettazione della statuetta (vinta per la sua interpretazione in Joker) per parlare di dieta vegana e ambiente. Dall’anno successivo la cena di gala degli Oscar è diventata tutta plant-based, così come quella dei Golden Globe.
Sempre in occasione degli Oscar 2020, l’attrice Jane Fonda ha guidato una protesta a Los Angeles dedicata al contrasto del climate change.
Per Sanremo 2022, le uniche e deboli proteste per l’ambiente sono state portate avanti da Fridays for future e da Greenpeace. I due gruppi hanno criticato la massiccia sponsorizzazione di Eni, bollandola come tentativo di “greenwashing” (ovvero un’operazione di marketing sostenibile solo all’apparenza). Sul quotidiano Domani, Giovanni Mori e Federico Spadini hanno lanciato un appello ai cantanti, chiedendo loro di denunciare lo sponsor: per ora l’invito è stato raccolto solo da Cosmo, che ieri ha aggiunto un intonato “Stop greenwashing” mentre cantava insieme a La rappresentante di lista (qui il video).
In effetti, l’operazione di Eni non è certo passata inosservata. L’azienda, lanciando il nuovo brand Plenitude (che sostiuisce il marchio Eni Gas&Luce), ha trasformato il tipico red carpet fuori dall’Ariston in un tappeto verde di erba sintetica, e poi ha riempito gli spazi pubblicitari con spot dedicati alle energie rinnovabili, nonostante l’80% delle suo portfolio di investimenti sia dedicato alle fonti fossili.
Alcuni di questi spot sono stati annunciati da Amadeus stesso, generando un paradosso: le uniche volte in cui si parla di sostenibilità al Festival è durante gli spot di una compagnia che tutt’ora fa parte delle 100 aziende che producono la maggiore quantità di emissioni di CO2 al mondo. Un po’ come se per parlare di parità di genere avessero chiamato Harvey Weinstein.
Alla fine, se ci pensi, Sanremo potrebbe essere uno dei posti giusti per parlare di ambiente. Anche solo con un accenno. O anche affrontando per qualche minuto l’argomento. Con leggerezza o con toni più aspri. Le possibilità sono tante.
La Liguria è una terra fragile, costantemente minacciata dai crescenti rischi idrogeologici. L’Italia è un Paese vulnerabile, stretto tra Alpi senza neve, pianure senza acqua e litorali erosi. Il Mediterraneo è uno dei punti dove il climate change colpisce con maggiore intensità.
Ma a Sanremo si possono fare persino molte battute: i celebri fiori che con la siccità non cresceranno più; l’innalzamento dei mari che sommerge l’Ariston, unico modo per far finire prima delle 2 di notte Amadeus; il buco dell’ozono che si riapre per tutta la lacca usata da Orietta Berti.
Non bisogna sottovalutare il soft-power del mondo dell’intrattenimento. Secondo uno studio di Astraricerche commissionato un anno fa da Comieco, «un italiano su due è convinto che una canzone possa influenzare o modificare i comportamenti nei confronti dell’ambiente».
Sanremo è il festival del nazional-popolare. La cartina al tornasole di un popolo. Una gigante manifestazione pigliatutto, che fa felice il nonno e la nipotina. Massimo Ranieri e Tiktok.
Allora ecco la conclusione: l’ambiente non è ancora nazional-popolare. Ne parla chi ci tiene tantissimo, o a chi interessa mettersi la coccarda verde della sostenibilità. Tutti gli altri no.
La conclusione del ragionamento però non è scontata. Potremmo pensare di criticare Sanremo perché non parla di ambiente, ecologia ed emergenza climatica. Ma sarebbe un errore fatale. Credo che la vera sfida sia interrogarci – noi che di ambiente ci preoccupiamo e occupiamo – su come davvero allargare il dibattito, portando questi temi nella enorme pancia del Paese.
📰 Link, Link, Link
Ci sono due indicatori chiave che mostrano l’inusuale inverno caldo che stiamo vivendo in Italia: lo scarsissimo livello di precipitazioni e l’altissimo livello di smog. Un buon riassunto lo trovate in questa intervista a Luca Mercalli.
Novità sulla tassonomia verde dell’Unione europea. la Commissione Ue si è finalmente espressa in maniera definitiva: gli investimenti in gas e nucleare possono essere etichettati come sostenibili. Ora la palla passa a Consiglio e Parlamento europei, che si dovranno esprimere a loro volta. Già ora, però, ci sono molte fratture tra Paesi membri e commissari stessi. In ogni caso, spiega Politico.eu, la tassonomia non può cambiare le cose da sola.
A proposito di metano: nuove osservazioni satellitari hanno mostrato dove sono e quante sono le perdite di gas in giro per il mondo, soprattutto vicino agli oleodotti. Bloccare le perdite è uno dei modi più veloci per ridurre l’impatto del metano sul climate change.
Sculture con vecchia plastica ritrovata nell’oceano, molto belle, realizzate dall’artista Thirza Schaap. Sul Guardian.
“Milano è sempre più vegana: è solo una moda?” Ilaria Chiavacci su Linkiesta.
“Vite di alberi straordinari, la biografia arborea che ci mancava”. Eugenio Giannetta sempre su Linkiesta.
Corvi-spazzini a Stoccolma: una startup svedese addestra i volatili per raccogliere e depositare i mozziconi di sigaretta in una macchina che poi li smaltirà. In cambio guadagnano cibo. La storia sul Corriere.
Il metaverso ci aiuterà a inquinare di meno? Se lo domanda Chiara Piotto nella newsletter Jefferson.
👇 La cosa più bella
Una foglia? No, i rami di un fiume australiano che sfociano in mare. Siamo in Australia, nella East Arnhem Land. Il fotografo che ha realizzato lo scatto, Tom Putt, è tra i vincitori dell’International Landscape photographer of the year. La gallery qui.
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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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