Lingua di fuoco (una puntata speciale)
🔥Il colore verde 215: Un racconto dalla Grecia in fiamme, dove affrontiamo una forza distruttrice da noi stessi evocata
Ciao!
Il colore verde ritorna a pieno regime la prossima settimana. Oggi però c’è un regalo per voi: una puntata speciale, che si può leggere o ascoltare. Spero vi piaccia. Nei prossimi mesi, insieme a Federica De Lillis, vorremmo creare contenuti simili a questi. Se potete, commentate l’articolo e diteci cosa ne pensate.
— Questa puntata è dedicata a Tullio Lunazzi, zio Tullio.
«Noi greci abbiamo imparato a vivere con il fuoco. Un anno tocca a noi. L’anno dopo a qualcun altro». Ce lo spiega Peggy, una donna di Mati, costa est dell’Attica, la regione centrale dove si trova Atene. Nel 2018 le fiamme hanno devastato la cittadina, ma tre settimane fa si sono fermate a una decina di chilometri di distanza, il vento le portava altrove.
Non è la prima volta che lo sento ripetere qui in Grecia, dove ci sono finito per le vacanze e mi sono ritrovato dentro l’ennesima puntata del rapporto complicato uomo-natura. «Abbiamo imparato a vivere con gli incendi», dicono nei ristoranti, sui taxi, in spiaggia, ringraziando che i fumi si vedano lontani ma che non arrivi il loro odore di legno arso e plastica ribollita. Lo dicono con naturalezza, mescolando rassegnazione e cinismo, forse come facciamo tutti quando una tragedia ci sfiora ma ci risparmia.
Sentendoli parlare mi è venuta in mente quella storia che racconta il fumettista Gipi in Momenti straordinari con applausi finti: sul set del film Salvate il soldato Ryan era stato convocato un consulente, un ex militare americano, per aiutare gli attori a recitare la parte dei soldati. Quando in trincea sparano al tuo amico fraterno e gli sfondano il cranio la tua prima reazione non è la disperazione, ma il sollievo, adrenalinico. Sei sopravvissuto, non è toccata a te.
Dal tavolo vicino al nostro urlano: «Andiamo a vedere l’incendio». Un’intera famiglia di turisti eccitati — dieci persone tra nonni, zii e bimbi — si alzano dopo essersi rimpinzati al buffet, tirano fuori il telefono e avviano la telecamera per farsi i selfie. Il nonno torna al tavolo: la cameriera gli stava portando via il dessert. Lo prende e grida: «Aspettatemi, voglio una foto».
— “Una versione reale di Apocalypse Now”
La consapevolezza arriva un attimo dopo, in trincea così come a un passo dalle fiamme. Per noi giunge di notte, quando il vento si indebolisce e quell’odore entra nelle nostre camere d’albergo. Punge, gratta la gola, chi l’ha provato lo sa: l’odore di un incendio vero, non di un rogo, ma un incendio alimentato dalla vegetazione e dalle carrozzerie delle auto, gli pneumatici, le cose che ognuno di noi possiede in casa, tutta quella plastica in ogni angolo delle nostre esistenze; che brucia ed emana particelle chimiche mai respirate in milioni di anni. È il puzzo dell’Antropocene che va in fiamme.
Ci accorgiamo della gravità di questo incendio davanti ai telegiornali, quando un reporter si avvicina a una piccola fiammella in un campo: i pompieri provano a spegnerla, ma un’esplosione improvvisa si mangia tutto un capannone agricolo. Sui giornali riportano la storia di un uomo che aveva appena finito di ristrutturare la casa di famiglia e ora non gli restano che cumuli di cemento annerito.
La zona da cui partono le fiamme è Maratona, un’area a poco più di quaranta chilometri a nord est di Atene. Celebre per la famosa battaglia dove gli Ateniesi respinsero i Persiani nel 490 a.C. ma anche per la corsa stessa: alla prima Olimpiade moderna fu deciso che la distanza di una maratona dovesse proprio essere quella che separava la città da Atene. Partì da lì Spiridon Louis, il primo vincitore della corsa nel 1896, e il nostro Stefano Baldini, vincitore nell’edizione del 2004.
Roberta Kapsalis, che vive nella zona costiera di Maratona, dice ai giornali: «Le fiamme sono diventate all’improvviso una versione reale di Apocalypse Now. Vederle avvicinarsi è stato surreale, come qualcosa che veniva fuori dalla più oscura fantasia. Un film horror in slow motion». I paragoni proseguono: «Mi ha ricordato le scene del Signore degli anelli, quando la pervasiva presenza di Sauron attraversava la Terra di Mezzo, con il suo occhio in fiamme nel cielo».
Un altro residente si rifiuta di essere soccorso: «Se me ne vado nessuno difenderà le nostre case», dice, tenendosi un panno gocciolante sulla bocca. Una donna di sessant’anni morirà così, intrappolata in casa. Non aveva ricevuto o non aveva ascoltato i continui messaggi che in automatico venivano recapitati sul telefono di chiunque fosse connesso alle antenne della zona.
Le fiamme colpiscono l’Attica per quattro giorni, il fumo dipinge lo sfondo del Partenone. Arrivano le tv internazionali e i reporter, il governo annuncia che con questo vento potrebbe succedere di tutto, contenere le fiamme è pressoché impossibile, in poco tempo potrebbe raggiungere Atene. Nella scala Beaufort, che misura l’intensità dei movimenti dell’aria, siamo a forza otto su dodici. “Burrasca”: sessanta, settanta chilometri all’ora, «i rami si spezzano, è generalmente impossibile camminare controvento».
— “Una scia invitante di gas infiammabili”
In inglese gli incendi di questo tipo vengono chiamati wildfires, fuochi selvaggi, bestie feroci animate dalla fame. John Vaillant, autore canadese, ha dedicato un libro intero al comportamento del fuoco: L’età del fuoco. Teorizza che le fiamme in realtà siano vive. Per farlo capire fa un esempio semplice semplice. Siamo nel salotto di casa, abbiamo organizzato una bella serata romantica, sul tavolino ci sono un bicchiere d’acqua e una candela. Colpiamo per sbaglio il primo, cade e l’acqua si rovescia sul tappeto. Il liquido si propaga per qualche secondo tra le fibre e poi si ferma. Se invece è la candela a cadere il fuoco proverà in tutti i modi a sopravvivere, e poi a propagarsi, a divorare il tappeto, il tavolino, il divano, respirando ossigeno e bruciando non solo la materia solida ma anche i gas infiammabili che il calore riesce a sprigionare da ciò che abbiamo in casa. Brucia sempre di più e sempre meglio. Il fuoco è vivo.
«Più alta è la temperatura, più grande è il menù» delle cose che l’incendio può consumare. «Come noi cuociamo il cibo perché rilasci le sostanze nutritive, il fuoco “cuoce” il suo combustibile». I gas volatili emessi da qualcosa che viene riscaldato in un bosco in fiamme o in una casa che brucia sono «una scia invitante» che attrae le fiamme. «È qui nell’invisibile interfaccia gassosa tra la cosa e la sua accensione, che il fuoco diventa mobile. Si chiama zona di reazione, ed è la frontiera spessa quanto una molecola che, da un istante ignifero all’altro, mantiene o infrange la promessa di crescita infinita e senza ostacoli dell’incendio». Questo fenomeno è detto pirolisi. «L’obiettivo delle fiamme è triplice: mettere in fila momenti pirolitici il più a lungo possibile, nel più ampio spazio possibile, con tutta l’intensità possibile».
Per questo motivo c’è un momento in cui le fiamme sulla collina sembrano un semplice rogo e poi all’improvviso la scena diventa apocalittica. Si scatena davvero una guerra da libro fantasy: nelle pinete marittime il fuoco si propaga ancora più velocemente perché gli alberi in fiamme “sparano” le proprie pigne incendiate a diversi metri di distanza, così che altri arbusti vengano colpiti.
La natura ci insegna che un incendio significa morte e nuova vita, come nel mito della fenice: da milioni di anni intere aree sono soggette a incendi boschivi che rigenerano il terreno e permettono un nuovo ciclo di vegetazione. Se togliamo l’uomo dall’equazione, la principale causa per la nascita di un incendio sono i fulmini. Ma oggi l’equazione non è più in equilibrio. Perché vicino ai boschi ci sono i centri abitati, e spesso le fiamme non nascono in maniera naturale ma per dolo o colpa umana. Un barbecue, un contadino che vuole fare terra bruciata, un piromane, il mozzicone lanciato distrattamente. In Attica si stava per aprire un nuovo fronte: a sud est della capitale un diciasettenne viene fermato dalla polizia perché si mette a sparare botti e fuochi d’artificio a metà pomeriggio, scatenando delle nuove fiamme.
I roghi si propagano più facilmente quando la vegetazione è secca, quando per molto tempo non piove e le temperature sono alte. Un caso sempre più frequente negli ultimi decenni. La stagione degli incendi si ripresenta ogni anno con più violenza: bruciano la California, il Canada, l’Australia, la Grecia, la Spagna, ovviamente l’Italia. Maggiore calore nell’aria significa anche maggiore energia, e correnti d’aria che si scontrano con più forza: i venti aumentano e soffiano sugli incendi aumentandone la portata e l’imprevedibilità nella propagazione. Luglio 2024 è stato il secondo più caldo mai registrato, dopo quello del 2023. Tra giugno dell’anno scorso e oggi abbiamo vissuto i mesi più caldi della storia recente, con tutta probabilità i più caldi mai vissuti dalla specie umana nei suoi 300.000 anni di vita. Sono dati che non ci sconvolgono più, o forse non l’hanno mai fatto, perché sono graduali e inesorabili, come un maratoneta che ha un passo troppo lento e ogni chilometro prende distanza dal leader della corsa. Il mondo che ci meritiamo contro quello di cui avremmo bisogno.
Alla prima Olimpiade moderna gli atleti correvano da Maratona verso Atene, oggi, mentre le Olimpiadi si disputano a Parigi e sulle tv di tutto il mondo sfilano i migliori atleti del Pianeta, le persone compiono lo stesso percorso per fuggire dalle fiamme. Compariamo le foto: cartoline da incubo. La leggenda vuole che alla fine della guerra di Maratona, il messaggero Fidippide avrebbe corso ininterrottamente fino ad Atene per annunciare la vittoria, e poi sarebbe morto per lo sforzo. Si è sacrificato per dare una notizia, raccontare una storia — mettere in guardia da un possibile ritorno dei Persiani.
— “Pazzi come banane”
Gli scienziati non sanno più che parole usare per descrivere questi anni. Dopo la scorsa estate rovente, quando le temperature avevano toccato il valore di +1,8°C rispetto all’era pre-industriale, Zeke Hausfather dell’Università di Berkeley aveva usato questo termine: “Gobsmackingly bananas”. Si può tradurre come “manda ai pazzi in modo sbalorditivo”, anche se rende molto meno. Manda ai pazzi pensare che continuiamo a chiamarla “bella stagione” quando là fuori si combatte una guerra atmosferica: alluvioni improvvise, valanghe di fango, barche che si ribaltano travolte all’improvviso dalle trombe marine. Nell’iper-estate in cui ci troviamo possiamo vivere giorni a 40°C, per poi ritrovarci sotto una grandinata epica, anzi due, anzi tre: come è successo a Torino a inizio agosto in più riprese. I grumi di ghiaccio colpivano ogni cosa — e noi, affacciati alla finestra o chiusi in macchina, guardavamo fuori il cielo nero, immobilizzati dal rumore e stregati dalla distruzione. In attesa della notte del giudizio.
Cronache del ghiaccio e del fuoco, alla fine aveva ragione George R. R. Martin, lo scrittore di Game of Thrones, che aveva intitolato così i suoi libri. Capire il presente significa immaginare il futuro che ci aspetta: un incendio non è solo un incendio, è una singola stella che brucia in una galassia di cause ed effetti. Guai e soluzioni: non ne abbiamo mai avuti così tanti, di uno e delle altre. Ci resta da trovare il modo per mettere tutto in ordine. Che parole abbiamo per descrivere il nostro tempo? Il tempo di questo Pianeta alle prese con una specie incontenibile, l’essere umano. Ci vuole un linguaggio nuovo, un nuovo canone di miti e leggende. Una lingua di fuoco e distruzione, di ghiaccio e ineluttabilità.
Ma anche di compassione e speranza. Perché sopra Maratona, al terzo giorno di fiamme, sono arrivati i canadair e gli elicotteri da tutta Europa. Nessuno si è tirato indietro per aiutare la Grecia. Anche chi vive nei paesini vicini è andato in soccorso, braccia e mani tra cenere e fiamme, polmoni pieni di fumo, per salvare un anziano, un gatto, o anche solo il gioco di una bambina. Le stesse persone che il primo giorno provavano sollievo per lo scampato pericolo, ora sono lì. L’indifferenza era forte, ma la solidarietà lo è di più. L’amigdala — quella ghiandola del cervello che ci aiuta a reagire d’impeto — controlla le emozioni, ma il cuore comanda il nostro destino.
Il canadair si avvicina al mare e spalanca la sua bocca ancora una volta. Il pilota è stremato, ma sa che prima che tramonti il sole può fare un altro giro. Alla Grecia e ai greci dobbiamo tutto: è qui che è nato uno dei valori fondativi della modernità, la democrazia. Nel Discorso agli Ateniesi del 430 avanti Cristo, Pericle avrebbe detto: «Ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così».
Lasciamo la Grecia quando le fiamme si sono ormai placate. Forse per quest’estate il peggio è passato. E allora ripenso ai 2454 anni che ci separano dal discorso di Pericle, uno dei più belli mai scritti, arrivati fino a noi grazie a Tucidide, e riscritto da molti autori. Se contiamo circa venticinque anni per generazione, ne sono passate ottantotto. Anzi, ottantanove: Vitalia, la mia compagna, è incinta. Una bambina. Piccola mia, piccola nostra — ecco il primo messaggio per te: quell’universale sentimento è ancora vivo. Brucia dentro di noi e brucerà dentro di te. Il più incontenibile incendio dell’universo.
Se siete qui, vuol dire che Il colore verde vi piace davvero e vi è utile. La newsletter è nata nel marzo 2020 e la curo io, Nicolas Lozito, friulano, 33 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa.
Da febbraio 2024 Federica De Lillis collabora con me. Giornalista romana, ora vive a Milano e lavora per Sky Tg24. I suoi focus: nuove generazioni, diritti e digitale.
La comunità de Il colore verde ha un bosco di 300 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovate la sua storia qui. Se vuoi adottare un albero anche tu da ZeroCO₂, usa il codice ILCOLOREVERDE per uno sconto del 30%.
Lo sento particolarmente quest'articolo.
E così dovrebbe essere per tutti, soprattutto quelli che abitano in una Roma stretta in incendi (che rispetto a quelli greci sono più roghi, però sono impressionanti lo stesso). il ricordo che mi porterò di questa estate sono tutte le notti in cui mi sono svegliata con il puzzo di fumo in casa e di plastica bruciata. Una notte l'odore di plastica bruciata è stato così forte che non ho sentito gli odori per tutto il giorno successivo.
E dire che riutilizzare le acque reflue potrebbe servire anche a questo, a prevenire e spegnere gli incendi. Invece facciamo la danza della pioggia.
Madre terra ci manda continui messaggi