Esiste una bottiglia d'acqua sostenibile?
🌍 Il colore verde #54: WAMI è "l'acqua con una missione", ogni bottiglietta contribuisce alla costruzione di acquedotti e rubinetti in zone del mondo non raggiunte dall'acqua potabile
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Ok, partiamo!
Nel 2021 mi è successo quattro volte di comprare bottiglie di acqua di plastica al supermercato o al ristorante. Conosco il numero perché ogni volta sento sempre il grido di mille Greta che mi condannano all’inferno. Capita anche a te?
Fatta questa premessa, oggi ti racconto la storia di WAMI, “l’acqua con una missione”, come recita il motto dell’azienda: una bottiglia d’acqua – disponibile in vetro, in plastica riciclata e in lattina – che aspira a qualcosa di più.
Il principio è una semplice equazione: 1 bottiglia = 100 litri donati. Ovvero, i fondi dell’azienda servono a costruire acquedotti e rubinetti in alcuni villaggi che non hanno accesso all’acqua potabile: al momento sono già 14 i progetti completati in Ecuador, Senegal, Tanzania, Etiopia, Kenya e Sri Lanka, per un totale di 15.230 persone coinvolte.
«Le nostre non sono promesse», mi spiega Giacomo Stefanini, bolognese classe 1989, che ha fondato a Milano la start-up nel 2016 insieme a Michele Fenoglio. «Prima investiamo nel progetto idrico, in collaborazione con vari enti e onlus attivi nei territori, e poi recuperiamo quanto è stato speso con la vendita delle bottiglie. Su ogni bottiglia è stampato un codice: inserendolo sul nostro sito si può vedere quale progetto è finanziato con quell’acqua».
Mi racconta Giacomo che l’idea gli è venuta ai tempi della Bocconi e di alcune esperienze negli Stati Uniti nel campo delle imprese sociali osservando il caso delle calzature Toms: «Ci siamo ispirati al loro modello “buy one, give one”, ovvero per ogni paio di scarpe che vendono, ne donano uno ai bambini argentini che vivono in situazioni di povertà».
WAMI è anche una delle poche società italiane certificate B-Corp, un “bollino” che garantisce che l’azienda ricerchi, oltre al profitto, anche un impatto positivo sulla società e sulla biosfera. WAMI ha creato una community per i suoi clienti e compensa le proprie emissioni attraverso la piantumazione di alberi.
Negli ultimi anni l’acqua di WAMI – che proviene dalla sorgente Rocciaviva sulle Alpi Marittime, la stessa dell’acqua San Bernardo, in provincia di Cuneo – si trova anche in alcuni supermercati (come Coop e Carrefour) e su Cortilia, sito dove ordinare prodotti ortofrutticoli. «Al supermercato le bottiglie di WAMI da 1,5L in plastica riciclata costano circa 40 centesimi». E fra poco l’azienda introdurrà anche i té WAMI, prodotti con ingredienti che vengono proprio da quei luoghi del mondo dove l’azienda ha contribuito a costruire acquedotti.
Ma la maggior parte delle entrate – circa 1 milione di euro di fatturato – arriva dai ristoranti, quasi il 60% (parentesi pratica: se hai un ristorante e vuoi WAMI, basta che li contatti). Dalle aziende viene il 15% e dal dettaglio il 25%.
So cosa stai pensando: il problema delle bottiglie rimane.
Ogni anno in Italia vengono consumati 8 miliardi di bottiglie da un litro e mezzo di acqua, il più alto numero di tutta l’Europa. Per consumo pro capite siamo terzi al mondo, dopo agli Emirati Arabi Uniti e il Messico: poco più di 200 litri di “acqua confezionata” all’anno a testa, nonostante un costo circa 300 volte maggiore rispetto all’acqua del sindaco.
Si dice spesso che le aziende che vendono acqua o bibite in bottiglia non “fanno acqua, ma fanno plastica”: Coca Cola è il marchio che genera più rifiuti di plastica al mondo; Nestlé è al secondo posto (Nestlé controlla il gruppo San Pellegrino, che detiene il 18% delle quote di mercato dell’acqua imbottigliata italiana).
Chiedo allora a Giacomo come ha risolto questo dilemma. Da una parte è un ambientalista; dall’altra è businessman che fabbrica contenitori per l’acqua.
«Beh, intanto ci sono contesti, luoghi o esigenze per cui non ci sono alternative all’acqua minerale in bottiglia. In cuor mio, poi, so che ognuno di noi ha un impatto sulla natura, le risorse e il clima. E so che il nostro obiettivo è ridurre quell’impatto, anzi riuscire proprio a trasformarlo in un impatto positivo».
La settimana scorsa parlavo dell’ampio spettro dell’ecologismo, che va oltre gli schieramenti classici e contrapposti. Ecco: la storia di WAMI mi sembra un ottimo esempio di sostenibilità non binaria.
🍀 Iniziative verdi
È uscito il bando del “Premio Demetra”, il primo premio italiano dedicato alla letteratura ambientale indipendente organizzato da Comieco ed Elba Book Festival.
È nata Bluenzima, una newsletter bisettimanale dedicata al “coaching creativo dell’economia circolare”. A curarla, la biologa Paola Pluchino e il consulente aziendale Carlo Ghiglietti (la storia di Carlo l’avevo raccontata a ottobre).
Su Netflix c’è la nuova serie sugli animali con Sir David Attenborough: La vita a colori. Roar.
🔖 Segnalibri
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Dubbi su quanto sia ecologico il PNRR del governo: “una finzione ecologica”, scrive il Manifesto, e tutte le associazioni ambientaliste lo criticano.
I sette punti di non ritorno del cambiamento climatico. Un lavoro fa-vo-lo-so e imperdibile di Grist.
Dubbi anche sul nostro ministro della Transizione ecologica: Cingolani ha detto che non ha senso passare all’auto elettrica finché la rete è alimentata da fonti fossili. Il Post dimostra il contrario: le emissioni calano lo stesso. E aggiungo io (tutti, incredibilmente, se lo dimenticano): l’auto elettrica diminuisce lo smog nelle città.
Classifica dei 100 scienziati più importanti al mondo per le scienze climatiche. Ci sono anche parecchi italiani.
9 esempi di green washing brutto brutto. Sull’instagram di Will.
Un importante sito di ricette americano ha scelto di non fare più piatti con la carne. Per incoraggiare menù più sostenibili. Nel frattempo, i repubblicani pensano che Biden voglia obbligare gli americani a mangiare al massimo un hamburger al mese: un “piano” circolato per colpa di Fox News, ma falso.
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