Una questione di genere
🌍 Il colore verde #15: Le donne sono maggiormente colpite dai cambiamenti climatici, molto spesso a causa dei loro ruoli sociali. Conoscere la disproporzione è il primo passo per capire come agire
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Una delle conseguenze più rilevanti del cambiamento climatico è anche la meno conosciuta: il surriscaldamento globale colpisce in maniera sproporzionata le donne. Non per una questione biologica, ma per il loro ruolo sociale.
Il rapporto tra clima e genere, seppur poco dibattuto e solo di recente portato alla luce da enti e organizzazioni internazionali, ha una portata enorme: ci permette di comprendere di più la questione ambientale, e ci costringe a pensare strategie differenziate per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Ecco perché oggi voglio parlarvi di questo argomento.
Nel 1991 in Bangladesh una serie di tifoni ha ucciso 140.000 persone, il 90% delle vittime era donna. Dallo tsunami del 2004 che ha colpito le coste indio-asiatiche, ogni quattro persone sopravvissute, 3 erano maschi e solo una donna. Delle persone che sono state costrette a migrare per questioni ambientali e climatiche negli scorsi anni, l’80% è donna. Due terzi dei posti di lavori persi a New Orleans dopo l’uragano Katrina del 2005 erano occupati da donne. Il 33% delle donne del Ciad - Paese sempre più vittima di siccità, carestie e conseguenti scontri sociali - dichiara di aver subito violenza da membri della famiglia o persone esterne. Il 2% delle donne indiane ha l’asma, un dato che cresce al crescere delle temperature. Potrei continuare ancora: non tutto ciò che elenco è direttamente conseguenza del cambiamento climatico, ma nei prossimi anni eventi del genere accadranno più spesso, con simili o peggiori risultati.
I motivi di questa sproporzione sono da ricercare nel ruolo che la donna ha, soprattutto nelle comunità più povere. Le donne stanno più tempo in casa; usano rudimentali strumenti di cottura che inquinano l’aria domestica; poche sanno nuotare. E poi: sono le donne a occuparsi dell’approvigionamento dell’acqua e spesso anche del cibo e dell’energia, anche se hanno a disposizione meno risorse e conoscenze per adattarsi e spesso non sono economicamente indipendenti per trovare altre soluzioni.
Nei 25 paesi sub-sahariani, se si somma tutto il tempo che tutte le donne impiegano ogni giorno per raggiungere l’acqua si arriva a 16 milioni di ore: quelle degli uomini sono solo 6. Lungo il percorso verso una fonte idrica possono subire violenza, o la subiscono a casa quando non sono in grado di gestire tutti i compiti. Se l’acqua è lontana, le bambine non hanno tempo di andare a scuola. In Malawi ci sono almeno 1,5 milioni di ragazze a rischio di matrimoni forzati a causa della povertà derivata dalle crescenti inondazioni e carestie.
L’aumento delle temperature fa da moltiplicatore: il cambiamento climatico porta più siccità o eventi atmosferici più intensi. In contesti già fragili può esacerbare conflitti, violenze, migrazioni forzate. Un altro esempio: nelle popolazioni pastorali gli uomini devono cercare nuovi e più distanti luoghi dove muovere il bestiame: le donne rimangono da sole a gestire interi villaggi, assumendosi il carico di responsabilità crescente e intaccando così produttività e crescita personale.
La sproporzione degli effetti avviene anche nelle comunità più ricche, seppur con meno squilibrio. La grande ondata di caldo del 2003 in Europa ha causato il 55% in più di morti rispetto alla media del periodo: ma se isoliamo l’incremento delle sole donne, il tasso era del 70%.
Secondo uno studio uscito lo scorso 18 giugno, che ha preso in esame 32 milioni di parti negli Stati Uniti, l’inquinamento dell’aria e l’esposizione alle alte temperatura creano problemi alle donne in gravidanza. Lo smog causa parti prematuri, un peso più basso dei neonati e, nel peggiore dei casi la morte del feto. La temperatura incide sulla data della nascita del bambino: ogni incremento di 5,6°C corrisponde all’11,6% di possibilità in più di parto prematuro. Negli Stati Uniti, secondo la ricerca, sono soprattutto le donne afroamericane a pagare le conseguenze: perché maggiormente esposte alla povertà, a situazione di stress e difficoltà di accedere al sistema sanitario.
Ma se gli effetti sono diversi tra maschi e femmine, anche le soluzioni devono essere diversificate. “Ciò che rende vulnerabili le donne le rende anche centrali nelle azioni contro il cambiamento climatico”, ha scritto Christiana Figueres quando era segretario esecutivo per il cambiamento climatico delle Nazioni Unite. Più donne diventano indipendenti meglio gestiranno le risorse e cercheranno modi per adattarsi e mitigare gli effetti della crisi climatica. Non solo: il tasso di natalità tenderà a scendere.
Le iniziative locali iniziano a emergere: dal microcredito, al cambio degli strumenti di cottura (come succede in Darfur con il Low Smoke Stoves Project), a progetti di empowerment. In certi villaggi del Bangladesh le donne che allevavano pollame hanno visto sempre più esemplari annegare per le alluvioni: la onlus CARE ha sfruttato la soluzione più semplice, ovvero avviarle all’allevamento di anatre.
Ci si muove anche a livello internazionale: il Green Climate Fund finanzia solo progetti che presentano un piano che tiene conto del ruolo delle donne e il Fund for Agricultural Development dà priorità ai programmi con al centro agricoltori donna.
Non sempre, però, le soluzioni sono alla portata e spesso gli slanci politici non si convertono in azione. Al momento, secondo uno studio delle Nazioni Unite pubblicato a inizio giugno, di tutti gli accordi internazionali di cooperazione allo sviluppo, il 62% non prevede nessuna differenza di genere, e solo il 4% ha come obiettivo principale l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile. Il campo si restringe ancora di più se aggiungiamo la questione climatica: solo 17 Stati includono la questione climatica nei loro programmi legati alle parità di genere.
Eppure - e così concludo - la vulnerabilità climatica, la fragilità dello Stato e la disparità di genere vanno a braccetto. C’è un “nesso triplo” tra questi tre temi: quando aumenta uno, anche gli altri aumentano. Ma anche viceversa. Secondo uno studio svolto su 130 paesi, i responsabili di governo più disponibili a firmare accordi sul clima… indovinate? Sono donne.