Sognare un mondo senza benzina
🌍 Il colore verde #86: Pensiamo che i combustibili fossili siano inevitabili. Ma non è così, spiega Marco Grasso autore del podcast "Benzina sul fuoco"
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Un vecchio adagio recita che «è più facile immaginare la fine del mondo che immaginare la fine del capitalismo». Niente di più vero, se ci pensi: raccontiamo le peggiori apocalissi ma siamo incapaci di visualizzare un futuro senza le fondamenta del denaro e dell’economia di mercato.
Vale lo stesso con i combustibili fossili: non riusciamo a concepire un mondo senza benzina, senza gas, senza petrolio, senza carbone.
Fai un esperimento in questi giorni di ritrovi tra amici e familiari per le feste. Chiedi: «Secondo te ce la faremo con la transizione ecologica?”.
E c’è chi ti dirà: “Voglio vedere dove ricarichiamo tutte le auto elettriche fra 10 anni”. Oppure: “Eh certo, e l’acciaio come lo produci, se non puoi bruciare carbone?”. O ancora: “E come pensi di fare con il pannello fotovoltaico quando è nuvoloso?”. Quest’ultimo dubbio, dalle mie parti, va per la maggiore.
Non so se hai avuto modo di ascoltare il podcast Benzina sul fuoco del professor Marco Grasso dell’Università Milano-Bicocca e di Sabina Zambon, prodotto da Piano P: in cinque puntate spiega molto bene quale sia il problema. Il nostro mondo è stato, per più di 150 anni, perfettamente incardinato attorno alle fonti fossili.
Non è un caso: qualche litro di benzina contiene più energia di un candelotto di dinamite. È facile da stoccare, trasportare, distribuire, utilizzare subito o in un secondo momento: la nostra crescita è stata alimentata dal fuoco, dai motori a scoppio, dal vapore, dalla combustione.
Solo negli ultimi anni ci siamo accorti, davvero, che tutto questo bruciare ha causato danni incredibili al Pianeta, e ne causerà ancora di più: il cambiamento climatico, visto che l’uso dei combustibili fossili è la fonte principale di gas serra in atmosfera; ma anche i problemi legati allo sfruttamento dei terreni, l’inquinamento di suolo e acqua, le violenze e le guerre tra popoli.
Ho chiesto al professor Grasso quale futuro ci aspetta. Come si fa ad abbandonare queste risorse e iniziare a pensare a un mondo alimentato con energia rinnovabile?
«Ci sembra impossibile, ma non lo è affatto. Tecnologie, strumenti, possibilità ci sono tutte già ora. Già in molti Paesi produrre energia con il rinnovabile costa meno che produrla con le fonti fossili. Ora, più di tutto, sono necessarie due cose che vanno di pari passo: la volontà politica, locale e internazionale; e un cambio di consapevolezza collettiva».
Grasso centra un punto chiave. «Nell’ultimo secolo c’è stata una “naturalizzazione” dei combustibili fossili: non riusciamo a immaginarci un futuro senza di essi non perché sia impossibile privarsene, ma perché ci siamo abituati a pensare che sia l’unica soluzione possibile. Crediamo che siano inevitabili. Siamo tutti cresciuti in un mondo dove qualsiasi problema, dal più grande ostacolo al più insulso vizio, poteva essere risolto usando combustibili fossili, a costo di trovare soluzioni poco efficienti e causa di danni collaterali incalcolabili».
I combustibili fossili hanno aiutato gli Stati a crescere e prosperare: «Ecco perché oggi si fa ancora tanta fatica a convincere la politica a prendere scelte più radicali e più verdi: perché chi produce combustibili fossili e chi governa ha lo stesso obiettivo, la crescita economica in sé per sé. Il Pil, il fatturato. Da incassare il prima possibile: di fatto politica e le aziende del fossile hanno formato un unico “blocco egemonico” molto influente ancora oggi».
E così continuano a propinarci fake news, dubbi e retoriche, alimentando l’idea che sia impossibile una transizione energetica rapida e giusta. Ci fanno dire: “Ma come facciamo con tutti i lavoratori dell’industria delle fonti fossili?”, oppure “È colpa della transizione ecologica se sale il prezzo delle bollette”. L’obiettivo è sempre lo stesso: andare oltre la realtà per colpire il nostro sistema di opinioni e percezioni, l’unico che conta davvero.
Continua Grasso: «È vero, la transizione, se fatta male, può mettere in atto delle azioni che colpiscono in maniera sproporzionata le fasce di popolazione più deboli. È successo con i Gilet gialli in Francia, quando Macron ha introdotto nuove tasse “verdi” sui carburanti. E può succedere con le comunità che lavorano il carbone, il petrolio o il gas: è compito della politica occuparsi di loro. Ma i lavoratori nel settore delle fonti fossili non sono poi così tanti: poco più di 10 milioni di persone in tutto il mondo nonostante l’industria generi fatturati incredibili».
C’è un’ultima cosa che Grasso ci vuole fare notare: «Anche quando abbiamo deciso di eliminare il piombo nella benzina o regolarne l’uso nei prodotti di tutti i giorni sembrava impossibile riuscirci. E sembrava altrettanto impossibile dare delle regole all’industria del tabacco, o rinunciare a molti composti chimici tossici nell’industria e nella manifattura».
«Mi spingo ancora più in là: anche nei tempi della schiavitù in America si dicevano le stesse cose che si dicono oggi dei combustibili fossili, ovvero che l’economia e la ricchezza potesse esistere solo grazie a quello sfruttamento: manodopera non pagata all’epoca, fonti fossili oggi. Chi sosteneva la schiavitù metteva in guardia da un futuro senza di essa: il mondo sarebbe crollato su se stesso».
Allora come fare per ribaltare le nostre percezioni? Come possiamo vincere questa sfida?
Grasso nel suo podcast parla degli “elementi di destabilizzazione”, ovvero i leader che guidano la rivoluzione verde fondamentali per farci cambiare idea: da Papa Francesco a Greta Thunberg, dagli attivisti ai tecnici che a livello operativo portano il cambiamento.
Ecco, mi sento di aggiungere all’elenco un’altra voce: la nostra immaginazione, il più potente elemento di destabilizzazione mai inventato.
Io credo che il il primo passo per raggiungere un mondo senza combustibili fossili sia proprio immaginarselo.
Immaginare la città senza i rumori del traffico dei motori a scoppio, senza lo smog. Immaginare quell’aria lì, pulita. E le vecchie auto presenti solo nei musei. Immaginare le case, le fabbriche, persino le chiese con pannelli fotovoltaici e turbine eoliche. Interi edifici completamente autonomi dal punto di vista energetico e termico. Immaginare le nuove sfide che arriveranno, alcune complicate, alcune entusiasmanti. Immaginare i nuovi green jobs che faranno i nostri figli: c’è chi programmerà infrastrutture complessissime, chi pianterà alberi in ogni spazio libero.
Immaginare qualcosa di radicalmente diverso, non la proiezione nel futuro di ciò che esiste già. Non bisogna fare l’errore, insomma, delle illustrazioni che ho scelto oggi: per quei disegni l’anno 2000 era fatto di macchinari e invenzioni che erano solo una semplice estensione di ciò che era già diffuso a fine Ottocento.
Immagina uno spirito del tempo completamente nuovo, forse più collaborativo, più generoso, più equo. Immagina queste cose qui e tante altre ancora. Immaginare non è mai stato così importante.
📰 Link, Link, Link
Articolo della settimana: “Fermiamo il capitalismo che sta uccidendo il pianeta”. George Monbiot tradotto su Internazionale.
Il Cite, Comitato interministeriale per la transizione ecologica, ha confermato la linea europea sulle auto elettriche: dal 2035 stop alle immatricolazioni di auto con motore endotermico, siano esse a benzina, diesel o ibride. Sul Corriere.
Nel 2020, in piena pandemia, i ricchi del pianeta sono diventati più ricchi. E nel frattempo, altre 100 milioni di persone sono cadute nell’estrema povertà. I nuovi dati del World Inequality Report.
“Questo posto potrebbe custodire tutte le nostre scorie nucleari”. Un ottimo reportage da Corchiano, nel Lazio di Isaia Invernizzi e Valentina Lovato per il Post.
Le sorti del cambiamento climatico dipendono anche da come produciamo il cibo. Su Linkiesta.
Se tutti scegliamo il modo più veloce di spostarci in città, la città si blocca. Su Internazionale.
Nella baita dove abita Paolo Cognetti «a forza di costruire la neve se ne è andata». Alberto Infelise per La Stampa.
Scoperta della settimana: il magico mini mondo dei terrarium. Sulla BBC.
👇 La cosa più bella
Più bella di una scena di Nightmare before Christmas: l’aurora boreale nella Penisola di Kola, in Russia, immortalata da Sergey Korolev, appassionato cercatore di “mostri di ghiaccio” come questo. Il fotografo russo è finalista del Northern lights photographer of the year, qui trovi le altre immagini premiate.
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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, sono friulano, sono un giornalista e ho 30 anni. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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