Il senso di Pechino per la neve
🌍 Il colore verde #93: Venerdì partono le Olimpiadi invernali, le prime della storia a fare affidamento al 100% sulla neve artificiale
Se ne è andato, troppo giovane, Matteo Scanni. Giornalista, fondatore dei Dig Festival e coordinatore del Master di giornalismo della Cattolica di Milano. È stato, per me, un fondamentale maestro, un esempio ribelle, una voce ostinata e contraria. Per quel che può valere, questa puntata è dedicata a lui.
Chissà come si dice in cinese «Se puoi sognarlo, puoi farlo». La famosa frase attribuita a Walt Disney è diventata un buon modo per riassumere quello che sta succedendo a Pechino e dintorni.
Perché venerdì si aprono le Olimpiadi invernali di Pechino: è la prima volta nella storia che la stessa città è in grado di ospitare sia le Olimpiadi estive (nel 2008) che l’edizione invernale.
È anche la prima volta che le gare si svolgono solo su neve finta.
Nel 2014 a Sochi la neve artificiale era circa l’80% del totale. A PyeongChang 2018, 90%. Quest’anno nella capitale cinese arriviamo al 100%.
Nelle due location outdoor delle gare non nevica quasi mai, dalla pista da sci realizzata nel distretto di Yanqing (90 km da Pechino, altimetria: 1200 m) al complesso di Zhangjiakou (220 km da Pechino, altimetria: 1600m). Giusto qualche centimetro all’anno, troppo poco e troppo imprevedibile perché ci si possa affidare alla neve naturale.
Per produrre tutta la neve necessaria sono stati usati circa 220 milioni di litri di acqua, che equivalgono a circa 1 milione di vasche da bagno piene, o se vuoi un altro termine di paragone, grossomodo 100 piscine olimpioniche. Tantissima acqua, presa dai bacini e dalle riserve idriche dei dintorni. Per trasformala in fiocchi di ghiaccio sono stati necessari più di trecento tra cannoni e lance spara-neve, prodotte e fornite da una ditta italiana, la TechnoAlpin di Bolzano, che ha portato a casa una commessa da 20 milioni di euro.
Fino qui può sembrare tutto abbastanza normale, o almeno accettabile: anche sulle piste da sci nostrane, o nelle celebri località alpine europee, si fa uso massiccio di neve artificiale.
Ma la neve finta di Pechino e di moltissime altre località sciistiche segnala un problema crescente. Manca la neve. L’aumento medio della temperatura del Pianeta si fa sentire ancora di più ad alta quota, perché bastano pochi decimi di grado per fare la differenza tra acqua e ghiaccio. La quota della neve si sposta sempre più in alto, così come il livello dello zero termico. Quando piove l’effetto negativo è doppio, perché l’acqua della pioggia scioglie il manto nevoso.
Hanno ragione i nostri nonni, o i nostri genitori, o semplicemente i nostri ricordi di bambini: una volta c’era molta più neve, più spesso, più a lungo. Mia madre, che viene da un paesino di montagna friulano, ricorda che da piccola c’era così tanta neve sotto casa da potersi buttare dal balcone del primo piano e atterrare indenni sui cumuli sottostanti. Lo facessi io, ora, finirei al pronto soccorso.
Ma il fenomeno non è solo aneddotico. Prendiamo le Alpi: sull’arco alpino europeo la stagione della neve si è ridotta da 22 a 34 giorni negli ultimi 50 anni, come mostrano i dati dell’Eurac Research di Bolzano. Alice Crespi, una delle autrici dello studio, ha spiegato così i dati:
«La consistenza del manto nevoso sotto i mille metri di quota si è dimezzata mentre ad altezze superiori si è ridotta tra il 20 e il 35%. Se questa tendenza continuerà, entro un secolo potremmo assistere a questo fenomeno di contrazione anche dai duemila metri in avanti».
Il manto nevoso europeo tra 1967 e il 2015 si è ridotto del 7% durante l’inverno; e del 47% in estate, sintomo che la stagione fredda dura sempre di meno. C’è meno tempo e meno freddo perché la neve “attacchi” e il ghiaccio resista.
Non significa solamente meno possibilità di sciare, sia ben chiaro. Ghiaccio e neve sono riserve d’acqua fondamentali per le stagioni più calde: meno se ne accumula d’inverno, più aridi saranno i bacini d’estate. Significa che interi ecosistemi (ma anche interi settori produttivi) faranno sempre più fatica a prosperare.
Torno a Pechino e alle sue Olimpiadi: lo stress idrico della capitale cinese è uno dei più alti al mondo. Il consumo di acqua della città si aggira intorno ai 3,6 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, mentre le fonti idriche dell’intera provincia ne possono fornire appena 3.
L’acqua per la neve finta delle Olimpiadi è una minima frazione, ma è comunque moltissima, anche perché – come denunciano alcune associazioni ambientaliste – sarà difficile da riutilizzare: nei cannoni spara-neve, per rendere i fiocchi più morbidi e adatti, vengono aggiunti degli additivi chimici che rischiano di contaminare la natura quando la neve si scioglierà (anche se su questo punto il dibattito è aperto: la società italiana che gestisce i cannoni spara-neve di Pechino sostiene di non usare sostanze chimiche).
Sport Ecology Group, un gruppo di ricercatori specializzati nel rapporto tra ambiente e sport, ha appena pubblicato un documento dal titolo “Come il cambiamento climatico mette a rischio le Olimpiadi invernali”. Il report pone dei dubbi sulla strategia di Pechino e del Comitato olimpico: se la temperatura sale e non c’è neve – spiegano i ricercatori – la soluzione non può essere semplicemente produrre fiocchi artificiali. È un problema per la natura così come per gli atleti: le piste soggette a temperature elevate sono meno sostenibili ma anche meno stabili.
L’analisi si spinge anche più in là. Delle 21 località che hanno ospitato le Olimpiadi invernali dal 1924 a oggi, solo 10 saranno ancora “climaticamente sostenibili” nel 2050, con temperature adatte e un naturale manto nevoso. La francese Chamonix, prima sede dei Giochi invernali nel 1924, è giudicata ad “alto rischio”, così come Lillehammer e Innsbruck. Vancouver, Sochi e Squaw Valley sono invece etichettate come località “inaffidabili”.
Secondo il documento, Cortina – città che ospiterà le prossime Olimpiadi invernali nel 2026 – non è tra le località a rischio: i suoi comprensori sciistici arrivano fino a 2.800 metri e dovrebbero resistere agli aumenti di temperatura dei prossimi decenni.
Ma quanto ancora potremmo andare avanti così? Di questo passo gli sport invernali diventeranno sempre più inaccessibili e il settore sempre più energivoro.
Giusto questa settimana il presidente cinese Xi Jinping ha ribadito che i Giochi saranno alimentati da energia 100% rinnovabile e che queste saranno «Olimpiadi semplici, sicure e splendide».
Eppure in tv vedremo vividamente le crepe di un sistema dove i valori del “se puoi sognarlo, puoi farlo” sono stati ribaltati. Vedremo i manti innevati artificialmente in mezzo a colline e montagne marroni, grigie, forse addirittura verdi in alcuni punti.
La regia farà di tutto per nasconderle, e persino noi ci faremo poco caso, presi dai risultati o dal severo protocollo pandemico dei cinesi. Ma saranno lì, e ci mostreranno il controsenso di un’altra Olimpiade invernale che si svolge in un luogo dove l’inverno è stato ormai dimenticato.
Certo, sembrava un sogno poter portare la neve a Pechino, ma forse è più un incubo nato per soddisfare i desideri di chi vive di potere, politica ed economia.
Mettiamola così: la prossima volta ci vorrebbe una postilla all’aforisma disneyiano. Se puoi sognarlo, puoi farlo*.
*Ma non a qualsiasi costo.
Ps. Devo il titolo di questa puntata a Federico Petroni, che lo usò – con Sochi al posto di Pechino – per la prima volta in un articolo di Limes dedicato alle Olimpiadi in Russia.
📰 Link, Link, Link
I voli fantasma in Europa inquinano come 1,4 milioni di auto, dice Greenpeace, criticando la pratica di fare dei voli vuoti o semivuoti solo per mantenere gli slot assegnati dagli aeroporti del nostro continente.
Giacarta affonda e l’Indonesia ha bisogno di una nuova capitale. Enrico Pitzianti su Greenkiesta.
Ti ricordi le “lacrime di sirena”, ovvero i pallet di plastica vergine, che hanno invaso l’anno scorso lo Sri Lanka? Ancora oggi sono un problema immenso per le coste del Paese.
Aziende green: la classifica delle più attente al clima realizzata da Pianeta 2030 del Corriere della Sera.
Per le scuole: Green&Blue di Repubblica e Junior Achievement Italia cerca docenti per “portare il cambiamento climatico in classe”, per un percorso didattico di 20 o 30 ore. Si fa domanda entro il 6 febbraio.
👇 La cosa più bella
Questa baby tartaruga che affronta il mare aperto e risale verso la superfice per prendere una boccata d’ossigeno: sfida centinaia di uccelli pronti ad attaccarla. La foto è stata scattata da Hannah Le Leu vicino all’isola Heron, in Australia: è tra le vincitrici del Ocean Art Underwater Photo Contest 2021. Qui la gallery delle altre immagini selezionate dal concorso.
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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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