I semi della rivoluzione
🌎 Il colore verde #111: Una puntata speciale, scritta dal Guatemala 🇬🇹
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Buongiorno! Due cose prima di partire:
🔊 La nuova puntata di Cambiamenti, il mio podcast prodotto da Emons Record, è dedicata a Chico Mendes, raccoglitore di caucciù brasiliano che si è trasformato in uno dei più importanti difensori della foresta amazzonica. La trovi su tutte le piattaforme, basta cercare il mio nome o “Cambiamenti”. Qui Spotify.
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Scrivo da una comunità che resiste. Questa settimana sono stato ospite a Nuevo Horizonte, nella regione del Péten, nord-est del Guatemala.
Un punto di mondo lontano dalle rotte turistiche: per arrivarci ci sono voluti un treno, due aerei, e un ultimo tratto di auto lungo ben 10 ore. Totale: sono uscito di casa domenica alle 17 e siamo arrivati martedì alle 9 ora locale, alle 18 italiane.
Una comunità che resiste, dicevo. Perché Nuevo Horizonte è stata fondata da 150 famiglie che hanno combattuto nella guerra civile che ha spaccato il Paese tra 1960 e 1996. Erano guerrileros, lottavano contro i governi dittatoriali e chiedevano riforme agrarie, più diritti e più rappresentanza. Quella guerra l’hanno persa. Dopo l’armistizio e la consegna delle armi, hanno ricevuto dallo Stato 400 ettari di terra a titolo di usufrutto. Non molto. Ma quando le famiglie hanno deciso di mettere insieme terreni e idee, il progetto della comunità ha preso vita.
All’ingresso di Nuevo Horizonte c’è un cancello, anche se rimane sempre aperto. Un murales recita:
“Recuerda el pasado, disfruta del presente, y preparate para el éxito del mañana”.
Una volta entrati, a piedi, in auto o su qualche moto rumorosa, la prima cosa che si nota, proprio di fronte al vialetto d’ingresso, è un grande ritratto di Che Guevara disegnato su un muro. Il ricordo e il mito sono ancora vivi, e sono tanti i bambini che si chiamano Ernesto.
L’edificio con il murales ospita una clinica sanitaria che offre primo soccorso e assistenza alle 600 persone della comunità. A sinistra, una tienda, ovvero un negozietto con alimentari, bevande e piccoli oggetti per la casa. Poco più là, invece, una tortilleria, anzi la tortireilla fondata da Doña Rosa, e ora portata avanti dalla nipote Mariela: gestita da sole donne, ogni giorno trasformano il mais e lo rivendono. Dividendo equamente i profitti.
E poi, allungandosi lungo le vie della comunità arrivano le case, costruite con pochi mattoni, con finestre senza infissi, cortili aperti, bambini che inseguono oche che starnazzano, tacchini che si arrabbiano se ti avvicini troppo.
Zanzare e tanto caldo, ovviamente, non mancano mai. A noi occidentali viene suggerito di indossare pantaloni lunghi e maniche lunghe: il caldo è insopportabile, ma scottature e punture sono molto peggio.
Una comunità che resiste, dicevo. Sì, perché qui dentro ci sono regole completamente diverse da quelle del mondo là fuori. Nessuna porta è chiusa a chiave, nemmeno quella delle stanze che ci ospitano. Alcune case, a dir la verità, non hanno nemmeno le porte. Non c’è l’acqua calda, e l’elettricità puó subire improvvisi blackout. Però ci sono due scuole, una chiesa, un consultorio, un campo da calcio, un vivaio che serve più di 60 altre comunità simili nella regione.
La globalizzazione, la deforestazione, le diseguaglianze scorrono là fuori come vene aperte di un corpo mutilato, come scriveva Eduardo Galeano, ma qui dentro no. Qui dentro, in questo angolo di America Latina, si sperimenta l’esatto contrario. La terra, la collaborazione, gli ideali. La dignità.
Buona parte della popolazione della zona è di origine Maya: nonostante la colonizzazione europea e la marchiatura a fuoco della cultura statunitense, qui c’è spazio per la tradizione. Viene insegnata a scuola e tramandata in famiglia.
Sono qui a Nuevo Horizonte grazie a ZeroCO2, una società italiana che si presenta così “riforestazione ad alto impatto sociale”. Ho già parlato più volte di quello che fanno, e se mi leggi da un po’ sai che sono loro ad aver piantato i 100 alberi che la comunità della newsletter ha “adottato”, proprio qui in questa regione del Guatemala.
ZeroCO2 e i suoi fondatori, i fratelli romani Andrea e Nicolò Pesce, in passato mi avevano raccontato la loro missione più volte, ma senza vederla da vicino non potevo capire del tutto. Certe cose bisogna viverle. Qui ZeroCO2 nel 2019 ha avviato un vivaio, insieme a Virgilio Galicia Gregorio: il primo anno avevano piantato 20.000 alberi, oggi arrivano a quasi dieci volte tanto.
Spiega Andrea Pesce: «Il primo anno li abbiamo chiesti alla banca delle sementi, ma ora non ne hanno così tanti. Dobbiamo andarli a raccogliere nel bosco e farceli certificare».
Gli alberi passano qualche mese qui, il tempo di far crescere le piante e innestarle in fusti più resistenti. Poi vengono cedute a comunità simili nella regione: per riforestare, per offrire piante e alberi da frutta utili alla sicurezza alimentare e all’economia locale, e infine per evitare che le popolazioni locali siano costrette ad emigrare. Ogni giorno, in media, dal Guatemala scappano 300 persone. Chi rimane? Intere generazioni di campesinos, che persa la loro terra o perse le conoscenze per curarla hanno dovuto reinventarsi operai o lavoratori delle piantagioni intensive, spesso incontrando resistenze e bassissimi salari. Il reddito medio in Guatemala è di 5 mila dollari all’anno, e il 59% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Continua Andrea: «La squadra guatemalteca è formata da 10 persone, ma in alcuni periodi dell’anno dove c’è tanto lavoro arriviamo a 40 collaboratori».
Oltre a Virgilio, che coordina le opeazioni, ci sono i vivaisti, chi si occupa di formazione, chi dei rapporti con le comunità. C’è una sola regola per le famiglie che riceveranno l’albero: gli agricoltori devono prendersene cura, non lasciarli morire e non abbatterli prima di 15 anni.

Virgilio, figlio di uno dei leader della guerrilla, racconta cosa significa fare questo mestiere: «Io sono insegnante, così di mattina sono a scuola, e pomeriggio mi occupo degli alberi. Abbiamo creato una squadra con una grandissima energia, un incontro di culture di due paesi diversi che credono nell’educazione, nello sviluppo. Per me è meraviglioso poter lavorare nel mio Paese, e contribuire così alla nostra comunità».
Non è un lavoro semplice, anzi. Perchè se Nuevo Horizonte sembra un’utopia, il resto della regione rischia di diventare incubo. Negli ultimi due decenni la regione ha perso il 30% delle sue foreste, per far spazio ad allevamenti e monoculture, come quella della palma africana, celebre ormai per l’olio che se ne ricava. Le monoculture sono gestite da multinazionali, che ne ricavano milioni di dollari, ma quasi niente è redistribuito sul luogo: gli addetti alla raccolta prendono poco più di 1500 quezales al mese – circa 180 euro – e le terre vengono acquistate per cifre irrisorie.
La deforestazione non è un argomento teorico e ha infinite ripercussioni: le grandi aziende offrono pochi soldi ai proprietari terrieri, e chi non vende subito subisce minacce, pressioni e viene accerchiato. I terreni attorno al suo vengono trasformati in monocultura e poi vengono recintati. Abbiamo visitato uno di questi appezzamenti, gestito da una cooperativa con cui ZeroCO2 collabora. Si trova proprio al centro di una grande piantagione di palma, e per entrarci siamo stati costretti a passare un checkpoint armato. Abbiamo dato i nomi e il numero di passaporto. Immagina di doverlo fare ogni giorno per raggiungere la propria terra coltivata.
Certi giorni, addirittura, racconta Don Juan, presidente della cooperativa, «il permesso viene negato, e gli agricoltori perdono l’opportunità di raccogliere la frutta, che finisce per marcire e ridurre quindi i possibili guadagni».
Una comunità che resiste, dicevo. Perché noi da laggiù, dall’Italia, dal Nord del mondo, neanche immaginiamo le tante sfaccettature e conseguenze del nostro modello di sviluppo: parliamo di sostenibilità, di scelte ‘green’, ma il nostro impatto rimane gigantesco.
Negli ultimi anni, per pulirci la coscienza, abbiamo iniziato a piantare alberi. Non a casa nostra, ma lontano migliaia di chilometri: una foresta ricca di biodiversità all’equatore assorbe molta più CO2 di un bosco della Pedemontana. Ma il gesto di un’adozione, o di un aquisto, o di un investimento non è per nulla semplice. Anzi, è molto complesso.

I ragazzi e le ragazze di ZeroCO2 lo sanno bene. Qui lavorano, collaborano, misurano, mettono codici a barre su ogni singolo albero così che ci sia un resoconto continuo della sua crescita. È vero, arrivare fino quaggiù è un grande sforzo per l’ambiente: tanti aerei per un viaggio intercontinentale impossibile da fare a impatto zero.
Ma le storie da Nuevo Horizonte meritano di essere raccontare, meritano di esistere e di resistere. Dietro il click che serve ad adottare un albero, c’è una vicenda ambientale e umana da scoprire. Quella che ho raccontato oggi, per esempio, è la storia dei nostri cento alberi, e delle migliaia che sono stati piantati qui in Guatemala.

Chissà quante altre storie offre il mondo. Una delle scorse sere riflettevo con le persone che sono qui se questi esempi fossero gli ultimi fuochi di un mondo che è destinato a sparire, o i primi segni di una rivoluzione. In alcune risposte c’era pessimismo, in altre una buona dose di prudenza. Io però ho voluto ascoltare una sola voce, quella di Virgilio. Non per niente ha quel nome lì. Come il suo sosia dantesco, Virgilio ci accompagna in un nuovo mondo:
«Io sono sempre un ottimista. Credo nella volontà dell’essere umano. Se vogliamo cambiare, sappiamo e possiamo farlo. Siamo solo all’inizio, siamo tante hormigas, formiche. Siamo piccoli, andiamo piano, ma ci diamo da fare».
Formiche che non solo resistono, ma fanno la rivoluzione.
Oggi non riesco a mettere la rassegna stampa, nè la sezione dedicata alle belle foto dal mondo. Però per salutarti ecco una mia fotina da una piantagione: tra questi giovani alberi guatemaltechi ci sono anche i 100 della comunità de Il colore verde.
Sono felice, oggi più che mai, che la newsletter abbia questo nome. Perché la caratteristica meravigliosa del Guatemala è proprio il suo verde. Dopo anni passati a scrivere di verde, qui vedo davvero tutte le sue sfumature.
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO2: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
L’anno scorso ho fatto un podcast: Climateers, sulle pioniere e i pionieri dell’ambientalismo, che quest’anno è ripartito con un altro nome, Cambiamenti. Lo trovi su tutte le piattaforme.
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