Scegliere se distruggere il mondo o ripararlo
🌍 Il colore verde #177 La guerra che ci toglie la speranza. La crisi climatica che spinge. E il buco dell'ozono che sembra stia tornando (ma non è proprio così).
Ciao,
è piuttosto complicato scriverti dopo una settimana così violenta, così ineluttabile. Difficile parlare di ambiente quando la guerra circonda tutto ciò che viviamo.
Ho pensato di mettere in pausa almeno per questa settimana la newsletter. C’è chi in qualche modo l’ha fatto. Gli amici di ZeroCO2, nella loro newsletter settimanale hanno deciso di rimanere zitti, e hanno mandato una mail vuota: “Oggi restiamo in silenzio. Non abbiamo trovato parole per commentare l’orrore”.
In questi giorni abbiamo tutti letto molti articoli, ascoltato un’infinità di pensieri. Ieri Jonathan Safran Foer al Tg3 ha detto: “Dobbiamo scegliere se distruggere il mondo o ripararlo”. Un dilemma che sembra così facile da risolvere, ma ancora oggi i popoli del mondo non trovano la via. Ci incartiamo in costanti tentativi, esperimenti, errori, congetture a cui non sappiamo trovare soluzione. Non viviamo il migliore dei mondi, no. Camminiamo in bilico sull’abisso dell’umanità.
E allora che fare quando si perde la speranza? Forse dobbiamo farci carico di resistere. “Erigere un muro all’amigdala”, alle pulsioni, all’odio, come ci ha raccontato la settimana scorsa Marco Paolini proprio qui.
Va bene, con il cuore ferito — partiamo.
5️⃣ ESSENZIALI
💸 Crisi climatica, quanto ci costi?
15 milioni di euro all’ora. È il costo medio dell’impatto di disastri ambientali ed eventi meteo estremi nel mondo. Secondo uno studio neozelandese appena pubblicato su Nature, il cambiamento climatico ci costa 135 miliardi di euro all’anno. In danni, ma anche in vittime. Chi è più colpito? Le popolazioni a reddito più basso, ovviamente.
🇦🇪 La prima intervista italiana di al-Jaber, il petroliere presidente di Cop 28
In questi giorni era a Roma il presidente della prossima Cop28 di Dubai, il sultano Ahmed al-Jaber. Ha incontrato Papa Francesco, si è riunito con leader e politici italiani ed europei, e Repubblica l’ha intervistato per la prima volta.
Per inquadrare al volo il personaggio: sarà il leader dei prossimi negoziati sul clima (dal 30 novembre al 12 dicembre) mantenendo almeno altri due lavori attivi. È ministro dell’innovazione e amministratore delegato della Adnoc, la compagnia petrolifera degli Emirati.
Si legge nell’intervista: “Le parole che ricorrono di più nei discorsi di al-Jaber sono “realismo” e “pragmatismo”, specie quando affronta il tema dei combustibili fossili. Dice: «Non possiamo promuovere la disconnessione del mondo dall’attuale sistema energetico, prima di averne costruito uno nuovo». Non vede conflitti di interesse con i suoi altri incarichi, e spiega che la più grande azienda di rinnovabili al mondo è Masdar e l’ha fondata proprio lui.
Al-Jaber vuole triplicare la produzione rinnovabile globale (a 11 terawatt) e vuole una transizione veloce e giusta. Chiede agli Stati che finalmente parta il fondo da 100 miliardi di dollari per i Paesi più colpiti, e che si attui il fondo Loss and Damage. Al-Jaber pone come pilastro anche la salute, tanto che a questa Cop si sarà proprio un tavolo di lavoro sulla connessione tra salute e clima.
“Cosa deve accadere perché la Cop possa considerarsi un successo?
«Dobbiamo portare il mondo a fare i conti con la realtà, trovando un punto di equilibrio tra passione e realismo. Il nostro nemico sono le emissioni. Combattiamo le emissioni, non combattiamoci l’un l’altro».”
🧊 Ghiacciai italiani: ad agosto persi fino a 9 centimetri al giorno
«Il cuore bianco italiano si sta sciogliendo», scrive Fiammetta Cupellaro su Green&Blue. Lo ripetiamo da mesi (anni), oggi c’è un nuovo dato: ad agosto sulle vette alpine abbiamo perso fino a 9 centimetri di ghiaccio al giorno. Nove centimetri, quanto una carta di credito (circa +15% rispetto la media).
Il dato viene dal report Giganti in ritirata di Greenpeace Italia e il Comitato Glaciologico Italiano ed è frutto di due spedizioni condotte tra agosto e settembre 2023. Una sul ghiacciaio dei Forni in Alta Valtellina, nel Parco Nazionale dello Stelvio, l’altra sul ghiacciaio del Miage, nel versante italiano del Monte Bianco, in Valle d'Aosta.
🦫 Bentornato castoro: in Italia dopo 500 anni
Tu non ci crederai, ma il castoro non viveva in Italia da Cinquecento anni. Era sparito non per le condizioni naturali avverse, ma perché lo cacciavamo senza sosta, attratti soprattutto dalla sua pelliccia e dal castoreo, la sostanza oleose presa dalle sue ghiandole che si credeva avesse proprietà curative.
Il castoro ora è riapparso, ed è una buonissima notizia. Gli scienziati hanno individuato diverse comunità in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia, dove è arrivato naturalmente dall’Austria. Il castoro è un prezioso alleato della biodiversità, è un “ingegnere ecosistemico”, con le sue dighe e il legno che sposta aiuta a rivitalizzare gli ambienti naturali. Va monitorato con attenzione quando si avvicina ad ambienti antropizzati, ma allo stesso tempo ha un ruolo chiave nel contrasto e nella competizione con una specie invasiva piuttosto dannosa sempre più presente in Italia, la nutria. Ben tornato castoro!
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🎙️ EXTRA. Moltitudini, un podcast sulla biodiversità
Ma lo sai che lo scorso weekend è uscito un podcast meraviglioso di cui sono orgogliosissimo? Si chiama Moltitudini, è prodotto da Laterza e supportato da Findus ed è una mini-serie dedicata alla biodiversità. Tre puntate da 30 minuti. L’ho scritto e condotto, ci sono ospiti pazzeschi. Nella prima puntata, dal titolo Origine: Alessandro Barbero (!!!), Valeria Barbi, Giorgio Vacchiano e Giorgio Vallortigara. La seconda puntata, Estinzione, esce il prossimo weekend.
Disponibile sulle principali piattaforme, gratis! Qui il link Spotify:
→ Se lo ascolti, votalo, condividilo, taggami. E se ti va dimmi cosa ne pensi. Io devo ringraziare moltissimo Antonia Laterza per tutte le idee e il supporto, e Full Color Sound per la post-produzione.
🔎 IL FOCUS: Sta tornando il buco dell’ozono (circa)
Negli scorsi giorni ho ricevuto questo messaggio.
La notizia è rimbalzata ovunque a inizio settimana: “Il buco dell’ozono ormai è tre volte più esteso del Brasile”, “Record di dimensioni per il buco dell’ozono”, e così via.
Ma come, il buco dell’ozono non era un problema risolto? Io sul tema ci ho fatto almeno una puntata della newsletter, due podcast e lo cito sempre come grande trionfo ambientale dell’umanità. Cosa è andato storto allora?
Proviamo a chiarire le cose. Intanto: il buco dell’ozono è più correttamente un assottigliamento dell’ozonosfera, uno strato dell’atmosfera che si trova circa 20 chilometri sopra le nostre teste ed è formato da ozono, ovvero una combinazione particolare di atomi di ossigeno (O₃). L’ozonosfera forma uno scudo per i raggi ultravioletti più dannosi del sole, facendo sì che non arrivino a Terra. Senza ozonosfera il pianeta non solo sarebbe più caldo, ma noi, né le piante, né gli animali, potremmo stare a lungo sotto il sole. Cancri alla pelle, bruciature, degradazione del dna. Un disastro.
Negli Anni ‘70 un gruppo di scienziati scopre che l’utilizzo massiccio di alcuni gas propellenti, i Cfc, danneggia l’ozonosfera riducendone lo spessore a velocità esponenziali, a causa di una serie di reazioni a catena che spezzano le molecole di ozono in atmosfera. I Cfc erano presenti in tutte le bombolette spray e nelle serpentine di frighi e congelatori. Vento, correnti e flussi d’aria concentrano i Cfc sopra il Polo Sud, ed è proprio qui che si forma il “buco”, l’assottigliamento maggiore. Parte una massiccia campagna di boicottaggio che porta, nel 1987 alla sigla del Protocollo di Montreal che vieta i Cfc in tutto il mondo. Il trattato è considerato uno dei più grandi successi di diplomazia ambientale internazionale, perché lentamente l’ozonosfera torna a riformarsi e a inizio millennio gli scienziati prevedono che in 30-50 anni l’ozonosfera possa tornare a livelli naturali.
Come si spiega allora la notizia di questi giorni? Ne abbiamo combinata un’altra? Per capirlo andiamo alla fonte della notizia, l’Agenzia spaziale europea. In questo articolo (in inglese, ma molto comprensibile), spiega che l’area di assottigliamento ha raggiunto 26 milioni di chilometri quadrati il 16 settembre, un record appunto. Eccolo qui, nell’area nera contornata d’azzurro:
Come dicevo, il buco si forma sopra l’Antartide per una corrente atmosferica che lambisce il Polo Sud e che ha forza variabile durante l’anno. Questa “fascia” di vento e la sua potenza dipendono della rotazione terrestre e dalla differenza di temperature tra Polo e zone a clima moderato. Quando il vento è forte, agisce come una barriera, rendendo più difficile un mescolamento dell’aria e quindi anche dell’ozonosfera.
Da questa immagine si capisce ancora meglio: è il rendering 3D della rotazione che subisce l’ozonosfera, come una trottola — anzi come l’impasto della pizza in una planetaria:
L’agenzia spaziale aggiunge una nota che molti giornali non hanno riportato:
“Anche se potrebbe essere troppo presto per discutere le ragioni dietro le attuali concentrazioni di ozono, alcuni ricercatori ipotizzano che gli insoliti comportamenti dell’ozonosfera di quest’anno potrebbero essere associati all’eruzione dell’Hunga Tonga-Hunga Ha’apai nel gennaio 2022”.
L’eruzione ha rilasciato in atmosfera un grande quantitativo di vapore acqueo, che avrebbe alterato le correnti atmosferiche, le temperature e incrementato la formazione di nuvole nella stratosfera che a loro volta hanno portato una quantità maggiore di Cfc (ancora presenti in minima parte) nell’ozonosfera. Queste sono le ipotesi più concrete al momento, anche se ci vorranno studi ancora più approfonditi.
Se così fosse, si tratterebbe di una situazione eccezionale e anche piuttosto naturale. Tanto che i ricercatori dell’Agenzia spaziale rassicurano sulla traiettoria di lungo periodo. Claus Zehner, a capo del gruppo di ricerca sull’ozonosfera:
“[prevediamo] che lo strato di ozono globale ritornerà al suo stato normale intorno al 2050”.
Concludo con questa timeline della Nasa, utile a vedere il cambiamento nel tempo:
📸 LA MIA FOTO PREFERITA
Due coloratissimi tucani nella regione del Pantanal, in Brasile. Sembra un’immagine generata dall’Intelligenza artificiale, invece è tutto vero.
💚 GRAZIE!
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La comunità de Il colore verde ha un bosco di 250 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui. Se vuoi adottare un albero anche tu da ZeroCO₂, usa il codice ILCOLOREVERDE per uno sconto del 30%.
Insegno alla Scuola Holden di Torino e al Master di giornalismo della Luiss di Roma. Tengo anche dei corsi aperti, come “Progettare una newsletter” per Holden Pro. Il prossimo ciclo parte il 4 novembre. Con il codice ILCOLOREVERDE sconto del 10%.
Ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (Onepodcast/La Stampa).
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Davvero disumano riuscire a calcolare delle perdite umane come costi "in proporzione al PIL"!
Comunque...
Qualcuno dovrebbe dire ad Al-Jaber che il nostro nemico non sono le emissioni, ma la volontà (spacciata come necessità) di aumentare in continuazione la produzione di energia (oltre che di beni).
Anche se ora con un miracolo la produzione di energia fosse interamente coperta dalle rinnovabili, continuando ad aumentare la produzione di energia diventerà presto insostenibile anche quella così ottenuta, perché qualsiasi forma di produzione energetica ha degli impatti ambientali. Cambia solo l'altezza dell'asticella che bisogna superare.
Stiamo correndo un grande rischio: quello di identificare il problema con l'aumento della CO2, pensando che se si trova un modo per risolverlo, qualsiasi esso sia, si raggiungerà una società (più) sostenibile.
Se lo uniamo all'ossessione di cui sopra di dare a tutto (dagli incendi alla perdita di vite umane) un valore economico... rischiamo davvero di perdere di vista il nostro obiettivo.