Salviamo un milione di specie
🌍 Il colore verde #135: Esiste un modo per condividere il Pianeta con il resto dei suoi abitanti? E poi: rinnovabili in Italia e troppi morti in bicicletta
LIBRI, RADIO, RIVISTE
Buongiorno! Ti scrivo di nuovo in diretta da Torino. Due cosette che mi riguardano prima di partire:
1. Se ti sei pers* il mio reportage dal Kenya, ecco il link alla versione su La Stampa (free), mentre qui trovi la puntata di Radio 3 Scienza dove ho raccontato ciò che ho visto.
2. Oggi esce il nuovo numero di Limes, la rivista di geopolitica, questa volta dedicato agli Stati Uniti. Se anche tu hai il pallino per queste cose, te lo consiglio. Troverai una sorpresina: una mia analisi sulle dispute per le acque del fiume Colorado. Il suo bacino serve sette Stati, ma a causa del climate change è sempre più secco: come razionare le sue acque se nessuno vuole fare il primo passo? Per chi vive a Torino, lo presentiamo al Circolo dei Lettori mercoledì 14 dicembre ore 18.30.
Ok, partiamo. Menù:
🐝 Cop15: la diplomazia globale cerca di salvare la biodiversità
♻️ In Italia proviamo ad accelerare sulle rinnovabili
🚴♂️ Moriamo in bici. Perché?
🚶Letturine: Diritto alla lentezza, meno aerei in Francia, l’arrivo dei pandoravirus
🐝 Cop15, il grande appuntamento per salvare la biodiversità
È iniziata la Cop15 di Montreal. So che il nome e il numero confonde, perché ci ricorda la Cop sul clima (arrivata alla 27ᵃ edizione), ma questa è la sorella “minore”: la Conferenza delle parti sulla biodiversità. Il vertice, organizzato dall’Onu, si pone l’obiettivo di trovare un accordo per difendere animali, piante, aree naturali sempre più minacciate. Da chi? Da noi, gli esseri umani. A causa di inquinamento, consumo del suolo, cambiamento climatico sono tantissime le specie che soffrono e sono sull’orlo dell’estinzione: secondo un celebre calcolo ben 1 milione (sulle 8 conosciute) sono a rischio se non facciamo nulla per tutelarle.
Gli scienziati, infatti, parlano di Sesta estinzione di massa (la quinta, quella dei dinosauri, 65 milioni di anni fa): sarebbe la prima causata direttamente da un’altra specie e non dagli eventi geologici. Gli Stati si sono dati due settimane, fino al 19 dicembre, per trovare una serie di accordi e direttive. Esiste un modo per condividere il Pianeta con il resto dei suoi abitanti?
Non è facile trovare una sintesi, come riassume molto bene Ferdinando Cotugno su Domani:
«Il clima, se vogliamo, è una cosa semplice: ci sono le emissioni e c’è il riscaldamento globale. Quando parliamo di ecosistemi, invece, i pezzi del puzzle sono molti di più, e tutti devono trovare una collocazione. L’ultimo accordo di questa scala erano stati gli obiettivi di Aichi, 20 target per il decennio 2011-2020. Raggiunti: nessuno, per mancanza di consenso, volontà e fondi».
A complicare i negoziati c’è l’inedita alleanza che gestisce l’evento: la Cina è il Paese organizzatore, ma il Canada è il Paese ospitante. La conferenza, prevista già due anni fa, non si è potuta fare in Cina per le complicate restrizioni anti-pandemia.
Uno degli obiettivi più ambiziosi e allo stesso tempo facilmente riassumibili del negoziato è quello del “30x30”. 30% di aree protette nel mondo entro il 2030. I target oggi puntano al 17% di aree terrestri (16,6% quelle realmente protette oggi) e 12% degli oceani (7,7% aree protette oggi). Proteggere la biodiversità non serve solo a salvarne il fascino e la bellezza, ma anche garantire che gli ecosistemi rimangano in equilibrio. Nella sua ultima newsletter,
ha raccontato i diversi e incredibili ruoli degli animali nella gestione del clima, per esempio. Il New York Times ha mostrato le specie che, invece, stanno rischiando di più negli ultimi decenni, un articolo multimediale imperdibile.L’idea 30x30 è appoggiata da tantissimi enti ed associazioni, ma c’è anche chi critica l’idea: per esempio la onlus Survival denuncia che se allarghiamo in maniera indistinta le aree naturali in realtà a farne le spese saranno le popolazioni indigene, che vivono da millenni (e senza impatti violenti) proprio nelle aree che sarebbero da liberare in favore della natura. “L’obiettivo 30x30 ci allontana dai reali motivi del collasso della biodiversità”, spiega un comunicato di Survival, “e favorisce l’industria della salvaguardia ambientale di matrice occidentale”, che porta con sé violazioni di diritti umani, migrazioni forzate e violenza. Le popolazioni indigene sono il 6% della popolazione umana, ma vivono dove si trova l’80% della biodiversità.
A Cop15 si affrontano altri temi decisivi, in particolare quello del denaro. Si discute di finanza (chi paga?), di aiuti e degli enormi debiti pubblici che rallentano proprio quegli Stati dove si concentra la maggior parte della biodiversità globale, come i Paesi dell’Africa sub-sahariana oppure il centro e Sud America. E si cercano accordi anche sui sussidi: ogni anno vengono erogati dagli Stati mille miliardi di dollari sotto forma di sussidi che in qualche modo danneggiano la natura.
Alla conferenza si discute anche di pesticidi, da ridurre drasticamente. E di cibo: perché buona parte di quei sussidi statali arrivano da agricoltura, allevamenti e pesca. La produzione di cibo ha un impatto sempre più alto sul clima e sulla natura. Secondo il Global Land Outlook “i sistemi alimentari sono la prima causa di perdita di biodiversità sulla terraferma”.
Cop15 punta a essere un punto di svolta culturale. Aldilà di numeri, target e obiettivi, è il momento di mettere in dubbio il modo in cui ci siamo relazionati con la natura negli ultimi secoli. Dobbiamo trovare un modo per superare l’estrattivismo, ovvero il nostro continuo sfruttamento delle risorse naturali senza preoccuparsi della sostenibilità delle nostre azioni. Perché possiamo anche cinturare aree protette e investire in programmi di ripopolamento delle specie a rischio, ma senza eliminare la causa di tutti questi problemi non andremo lontano. Cotugno parla della Cop15 come del momento decisivo per trovare un accordo che faccia da “scudo anti-asteroide”.
La scomparsa dei dinosauri è stata extra-terrestre, questa volta l’asteroide siamo noi.
♻️ Come accelerare sulle rinnovabili
Ieri sono uscite due pagine molto molto interessanti sul quotidiano Repubblica. Tre associazioni ambientaliste tra le più importanti d’Italia – Fai, Legambiente e Wwf – hanno firmato un accordo sugli impianti rinnovabili: non più ostinata opposizione in favore della salvaguardia paesaggistica, ma una fondamentale apertura ai nuovi progetti. “Dire sempre no è solo ideologia, il paesaggio non è intoccabile”, spiega Marco Magnifico, presidente del Fai, Fondo ambiente italiano.
Scrive il giornalista Luca Fraioli:
«Pannelli fotovoltaici e pale eoliche possono, anzi devono, convivere con il paesaggio italiano. Lo sostengono tre delle principali associazioni nazionali che si dedicano alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, proprio mentre, al contrario, il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi paragona l’installazione di impianti eolici allo “stupro di bambini”».
Negli scorsi anni, nonostante le promesse del governo Draghi, non c’è stata una vera accelerazione nella costruzione di impianti rinnovabili. I progetti di nuovi parchi fotovoltaici ed eolici spesso si schiantano contro i no delle Sovrintendenze e le piccole e grandi opposizioni di enti locali e associazioni. Al momento solo il 18,4% dell’energia consumata in Italia è coperta dalle rinnovabili. Per stare al passo con gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO₂ dovremmo avere un tasso d’installazione quattro volte superiore a quello attuale.
Fai, Legambiente, Wwf, con il loro documento “Paesaggi rinnovabili, 12 proposte per una giusta transizione energetica”, pubblicato su Green&Blue, imprimono un bel salto nel dibattito, proprio ora che il centro-destra prova a capire qual è la sua posizione esatta nei confronti del rinnovabile: alleato o pericolo?
🚴♂️ Perché in Italia si muore andando in bici
Un numero da tenere a mente: in Italia una persona ogni due giorni muore a causa di incidenti in bicicletta. Anzi, più di una, perché dal 2018 al 2021 in Italia sono morte in media 217 persone ogni anno in incidenti in bicicletta, secondo le statistiche Istat.
Il dato è particolarmente alto, ma si inserisce in un quadro europeo che in buona parte è peggiore. In rapporto al numero di abitanti, l’Italia è addirittura sotto la media Ue e ci sono Stati messi molto peggio: Germania, Belgio, Romania.
Ci sono due grandi modi per limitare il numero di incidenti in bici. Il primo è legato ai tratti extra-urbani di strada: le associazioni ciclistiche chiedono una legge che obblighi le automobili a rispettare una distanza minima di 1,5 metri per sorpassare un ciclista (di recente ha portato in Parlamento la discussione anche Mauro Berruto, parlamentare del Pd).
In zone urbane invece è necessario aumentare le piste ciclabili. Negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti, soprattutto in questi anni di pandemia e investimenti pubblici, ma siamo indietro anni luce rispetto al resto d’Europa. A Milano ci sono 2,1 km di ciclabili ogni 100.000 abitanti. A Torino 2,5. A Helsinki, Finlandia, o Ghent, Belgio, circa 20. I dati provengono dal rapporto Non è un Paese per bici di Clean Cities.
Anche a livello culturale e politico il nostro Paese presenta evidenti problemi. Ti sfido: prova a introdurre il tema sulla sicurezza in bicicletta durante qualsiasi conversazione e ti accorgerai di quanti ancora pensano “che i veri teppisti siano quelli in bicicletta”. E che le bici, così come le ciclabili, siano un pesante ostacolo alla viabilità e che la supremazia stradale debba sempre appartenere all’automobilista.
Mi sembra un pensiero piuttosto fallace, che sarebbe bene aggiornare. Se pensiamo e continuiamo a pensare che la città sia solo delle auto sarà difficile immaginare futuri diversi e più sostenibili.
Il governo potrebbe non essere d’accordo con me. Nella manovra di bilancio ha eliminato circa 94 milioni di investimenti in ciclabili previsti per i prossimi due anni. Rimane, però, il tesoretto del Pnrr: 600 milioni per costruire «circa 570 chilometri di piste ciclabili urbane e metropolitane e circa 1.250 chilometri di piste ciclabili turistiche».
Ha parlato di questi argomenti anche Elisa Gallo, che tra le tante cose è presidentessa di Bike Pride Torino, e che scrive una newsletter “Parlo spesso di bici”. Nell’ultimo numero, partendo da una ciclabile molto invisa agli automobilisti qui a Torino, ha scritto:
«L’Italia investe 100 volte di più sull’auto che sulla bici, e infatti le città italiane sono poco ciclabili e poco si fa per ridurre l’uso dell’auto. In Italia ogni anno perdono la vita 3 mila persone sulle strade e 200 mila sono i feriti causati da mezzi a motore: gli “incidenti” non sono quindi che il risultato di scelte politiche. Far finta che non sia così è essere complici di un problema che soffoca anche la nostra città e rende le strade inaccessibili».
A corollario di questa notizia: l’Italia è al quarto posto in Europa per numero di morti premature per inquinamento, come spiegano i nuovi dati del rapporto Zero pollution. Si muore soprattutto a causa dell’inquinamento atmosferico. Mobilità, salute, aria sono aspetti della nostra vita legati a stretto giro.
📰 Rassegna verde
La lentezza è un diritto e va resa socialmente desiderabile (Linkiesta)
In Francia vietano i voli brevi, quando c’è l’alternativa del treno sotto le 2 ore e mezza (Corriere)
Una comunità indigena americana ha trovato un nuovo modo per coltivare, sottoterra (The Guardian)
Earthshot Prize: cinque vincitori per un futuro migliore (Repubblica)
“Le ragioni per essere ottimistз” (Internazionale)
Pandoravirus: lo scioglimento dei ghiacciai riporta alla luce antichi germi. Dobbiamo preoccuparci? (The Conversation)
EXTRA
Gli amici di ZeroCO₂ ne hanno combinata una delle loro: hanno chiesto a sei artisti di disegnare un albero. Ora quelle opere d’arte si posso comprare (stampe formato A3) insieme a tanti alberi nel cuore del Guatemala. Siccome oltre amici sono anche fratelli, per gli iscritti al Colore verde offrono uno sconto del 30% sulle adozioni di alberi. Basta usare il codice “ZUPPENEIQUADRI”.
(Nb: non ci guadagno niente, non è una sponsorizzazione, ci vogliamo solo molto bene e penso che ZeroCO₂ faccia sul serio).
📸 La mia foto preferita
Un lago bello come un occhio: siamo a Suwałki, in Polonia, e questo scatto di Maciej Krzanowski è tra i vincitori dell’Environmental photographer of the year. “La natura ci sta guardando”, spiega il fotografo. Qui la gallery con tutte le foto vincitrici, davvero davvero incredibili.
💚 Grazie!
Se sei arrivat* fin qui sotto, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. La newsletter esce ogni sabato, feste incluse. Nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
Da quando mi occupo di ambiente, ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, prodotto da Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (2022, Onepodcast/La Stampa).
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