Una riunione di condominio globale
🌍 Il colore verde #76: Perché sono importanti queste ultime cinque giornate di Milano e perché è fondamentale ciò che succederà fra un mese alla Cop26 di Glasgow
Ci sono tanti nuovi iscritti dopo una settimana piena di emozioni: giovedì ho partecipato a Radio 3 Scienza e la sera sono stato ospite di Rai News 24. Nel frattempo sono a Modena, perché c’è il festival dedicato al giornalismo DIG e partecipo a due incontri (uno è stasera alle 17.00, se sei in città fai un salto!).
Nella puntata di oggi, lo dico soprattutto se arrivi attraverso radio e tv, forse ripeterò cose che mi hai già sentito dire – ma insomma vale solo per questa settimana. Così come vale solo per oggi la lunghezza extra del testo: di solito sono più sintentico.
Se poi ti sei iscritta o iscritto da poco e vuoi farmi sapere chi sei, cosa fai, perché sei qui, rispondi pure a questa mail, mi fa piacere.
Benvenut*, ben ritrovat*: Partiamo!
La diplomazia è forse uno degli argomenti più noisosi da seguire. E da raccontare. È complicata e oscura. È poco rilevante nella vita di tutti i giorni e appassiona solo gli addetti ai lavori. Lo dico con un minimo di credito: sono laureato proprio in scienze diplomatiche, che all’epoca chiamavamo – non a caso – “Scienze delle merendine”.
Eppure. Eppure ci sono occasioni in cui la diplomazia è davvero uno degli aspetti più importanti di una storia e, addirittura, della Storia.
Due di queste occasioni si presentano in questo autunno: a Milano negli scorsi giorni e a Glagow fra meno di un mese. Provo a spiegarti perché l’occasione è storica.
In queste settimane i leader mondiali si ritrovano – virtualmente e dal vivo – a discutere di clima. Non in un contesto qualsiasi, ma il più importante per quanto riguarda questo tema: un percorso di incontri che culminerà nelle prime due settimane di novembre nella capitale scozzese, dove si terrà la Cop26, una conferenza dedicata al cambiamento climatica organizzata dalle Nazioni Unite.
Si chiama Cop perché è l’acronimo inglese di “conferenza delle parti”. Il 26 è relativo all’edizione: la 26esima, che si sarebbe dovuta svolgere nel 2020 ma è stata rimandata a causa della pandemia.
Se vuoi togliere la patina “diplomatichese” che sta sopra queste spiegazioni, devi immaginarti la Cop come una grande assemblea di condominio, dove il condominio è il nostro intero Pianeta. Una volta all’anno ci si presenta e si affrontano i temi caldi, si cercano soluzioni, si litiga un po’, si fanno promesse.
La prima assemblea di condominio sul clima, ovvero la prima Cop, si è tenuta a Berlino nel 1995 e da quella volta si è ripetuta ogni anno: quella del 1997 ha portato alla firma del famoso Protocollo di Kyoto. La Cop21 è diventata ancora più celebre: lì è stato siglato l’Accordo di Parigi con cui i Paesi di tutto il globo si sono dati l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni di gas serra così da mantere l’aumento di temperatura media del Pianeta entro i +2°C, e possibilmente non sopra la soglia critica di +1,5°C (ricordo: ora siamo a +1,1°C, e se continuassimo su questi livelli di emissioni potremmo raggiungere già i 2°C nel 2050). A Parigi gli Stati si sono promessi di rivedere obbiettivi e traguardi ogni cinque anni: la Cop 26 è fondamentale e attesa anche per questo.
Sto correndo e non ho ancora risposto a una domanda. Ma Milano cosa c’entra? E perché questa settimana la città era piena di attivisti e manifestanti – ieri addirittura 50.000 secondo alcune stime, con Greta Thunberg in testa al corteo dei Fridays for future – e politici?
Perché a Milano si sono tenute prima la Youth4Climate e poi la Pre-Cop: due momenti che anticipano proprio la Cop26. Si sono svolti in Italia perché il Paese è partner del Regno Unito nell’organizzazione della Conferenza. Eventi molto diversi, ma con qualche punto in comune.
La Pre-Cop, che si conclude proprio oggi, è un tavolo preparatorio dove una trentina di ministri per l’ambiente si è incontrata per portare avanti i lavori e arrivare più pronti a Glasgow. In giornata sapremo i risultati.
Di nuovo: se usciamo dal diplomatichese, la Pre-Cop è il gruppetto di proprietari che si incontra al bar un quarto d’ora prima di salire dall’amministratore di condominio. Per fare squadra, per darsi man forte sui nuovi lavori da proporre, eccetera. Tanto che alla Pre-cop partecipano in particolare i Paesi più inquinatori (nella metafora condominiale: quelli con più millesimi) o quelli che maggiormente tengono all’argomento (nella metafora: il vicino in fissa con la ristrutturazione delle grondaie).
La Youth4Climate, invece, è qualcosa di diverso. Si è tenuta a inizio settimana ed è stata una grande assemblea di giovani ambientalisti provenienti da tutto il mondo: due rappresentati under-30 (un ragazzo e una ragazza) da ciascun Paese. [Per l’Italia c’erano Daniele Guadagnolo e Federica Gasbarro, vecchia conoscenza per chi legge Il colore verde].
Circa 400 delegati in totale, che hanno lavorato a delle proposte concrete da avanzare al mondo della politica internazionale. Le hanno persino trovate: chiedono l’abbandono dei combustibili fossili entro il 2030; chiedono che i giovani vengano coinvolti nei processi decisionali che riguardano il loro futuro, così come vorrebbero una maggiore partecipazioni degli attori privati nella lotta al climate change.
Di nuovo la metafora: una volta i figli aspettavano i genitori fuori dalla porta, annoiati o distratti. Oggi studiano, bussano forte e chiedono di essere ascoltati: vogliono dare idee su questo condominio mal gestito.
In questi giorni, il punto su cui i giovani hanno dimostrato di essere più innovativi e avanzati rispetto alla vecchia politica è quello della giustizia climatica. Che non è solo uno slogan che cantano per strada bloccando il traffico (“What do we want? Climate justice! When do we want it? Now!”), ma è un vero e proprio cambio di paradigma: non possiamo vedere la crisi climatica come un semplice problema di emissioni in eccesso, ma dobbiamo inquadrarlo come un fenomeno che crea forti diseguaglianze e che allarga sempre di più la forbice tra ricchi e poveri, tra Nord globale che inquina e Sud che subisce già gli effetti dell’emergenza climatica e ambientale.
Durante la Youth4Climate ci sono stati due interventi che hanno colpito più degli altri: quello attesissimo di Greta Thunberg, che si è scagliata contro il “Bla bla bla” dei politici che tanto promettono e poco fanno, e se l’è presa con eventi come lo Youth4Climate, dove ai partecipanti viene dato il contentino del proscenio e mai reale ascolto; e quello di Vanessa Nakate, ragazza dell’Uganda, tra le leader del movimento dei Fridays for future, che ha parlato proprio degli effetti che già ora colpiscono il suo Paese e l’Africa tutta.
Mi voglio soffermare su Vanessa Nakate perché questa settimana il suo volto ha occupato molte prime pagine dei giornali e parecchi spazi sui siti e sui social. Pensa che un anno e mezzo fa, durante un incontro a Davos, la stessa Nakate era stata tagliata fuori da una fotografia ufficiale. Lo scatto originale dell’agenzia fotografica americana Ap mostrava cinque attiviste per l’ambiente: al centro Greta Thunberg, circondata da altre ragazze bianche e bionde, e poi tutta a sinistra lei. Ma lo scatto distribuito e diffuso dalla stampa ne ritraeva solo quattro: le quattro bianche, che meglio restituivano l’idea di un innocuo e facilmente comprensibile attivismo ambientale. Nakate protestò molto per quel gesto, ma poco si fece per recuperare il danno. Ecco: questa settimana l’attivista ugandese ha preso la sua degna rivincita, e spero davvero possa prendersene tante altre.
Alla Youth4Climate e alla Pre-Cop che è seguita hanno parlato anche gli “adulti”. Mario Draghi ha promesso che i giovani saranno ascoltati, e amesso che finora i politici si sono tirati indietro dalle loro responsabilità sui temi ambientali. Boris Johnson, padrone di casa alla Cop di Glasgow ha inagurato un nuovo slogan: coal, cars, cash, trees. Carbone (da eliminare); auto (da convertire in elettriche), soldi (da investire in economia verde) e alberi (da piantare e proteggere).
Il suo slogan si può tradurre anche in uno schema più “scientifico”:
MITIGAZIONE, ovvero riduzione delle emissioni;
ADATTAMENTO, ovvero far fronte agli effetti immediati del climate change, e proteggere esseri umani, luoghi e biodiversità a rischio;
FINANZA VERDE, ovvero investire nell’economia verde e disinvestire da ciò che è legato ai combustibili fossili;
COOPERAZIONE, ovvero aiutare i Paesi in via di sviluppo a progredire e sviluppare benessere in un mondo più caldo e meno dipendente da carbone, petrolio e gas.
Queste sono le quattro sfide internazionali della Cop26. Sono tutti temi che erano già stati introdotti con gli accordi Parigi, ma molti di essi sono stati poco approfonditi o dimenticati. Per esempio, nonostante in molti avessero accettato l’obiettivo di dimezzare entro il 2040 le proprie emissioni (addirittura l’Europa punta a ridurle del 55% entro il 2030) e arrivare a emissioni nette zero entro il 2050, quasi nessuno è in linea con questi numeri: secondo le analisi Climate Action Tracker, solo un Paese nel mondo è in linea con gli obiettivi di Parigi. Il Gambia. Tutti gli altri sono indietro o addirittura severamente indietro, come Russia, Iran, Arabia Saudita, Cina, India, Brasile e Australia.
Dicevo che non è solo una questione di emissioni: a Parigi ci eravamo promessi che i Paesi ricchi avrebbero dovuto raccogliere, dal 2020 in poi, 100 miliardi all’anno da destinare alla lotta ai cambiamenti climatici negli Stati in via di sviluppo: anche qui siamo indietro, perché siamo arrivati appena ai primi 79 – e l’Italia è proprio uno dei Paesi che ha donato di meno.
La Cop26, a differenza delle precedenti, è importante perché arriva in un momento di spinta molte forte, se non addirittura decisiva, per la lotta al climate change. Due anni fa, all’ultima Cop di Madrid, era andato tutto storto: nessuna decisione e molte proteste. L’allora presidente americano Trump aveva ormai deciso di uscire dagli accordi di Parigi, quindi la situazione era abbastanza drammatica. Ma, anche a causa dell’insuccesso politico così evidente, da quel giorno la voce del mondo esterno si è fatta sempre più forte: giovani e non, privati e aziende, ma anche influencer, artisti, sportivi, che chiedono di fare di più e fare meglio. Questo incontro forse è davvero l’ultimo per evitare di superare la soglia di 1,5°C di surriscaldamento. “To keep 1,5°C alive”, come sintetizzano gli inglesi: la Cop 26 serve a lasciare in vita la speranza dello scenario con meno rischi.
Ecco perché la diplomazia è importante, e perché oggi ho fatto questa puntata così lunga e a tratti un po’ noiosa: non perché risolve problemi o riscrive la storia, ma perché è il punto di caduta della nostra società. È il verbale della nostra assemblea condominiale grande come il mondo. Un verbale che oltre a dover essere approvato all’unanimità, deve essere approvato dall’umanità.
Il lavoro della diplomazia serve a fissare paletti, linee rosse, standard, obiettivi, ma anche a decidere strumenti e modi per mantenere le promesse fatte. Per questo è necessario che ogni tanto ci interessiamo anche noi alla diplomazia: perché chiusi in quelle stanze, leader e ministri, tecnici e burocrati devono sentire il nostro rumore. La nostra voce. Le nostre idee. La nostra voglia di futuro.
📰 I link
Sul tema delle Cop, più della mia voce vale quella dei protagonisti: un gruppo di attivisti e divulgatori di Fridays for future sta curando uno spazio sul quotidiano Domani, ricco di idee, punti di vista e approfondimenti. Si chiama Destinazione Cop e ti consiglio di salvare la pagina tra i preferiti e leggerla spesso.
Come far coesistere città e natura, in 10 stupendi progetti architettonici in giro per il mondo. Sul Guardian. (Se sei un* insegnante, dai un occhio perché mi sembra un tema perfetto per tesine e ricerche)
Mentre ancora cercavano fondi e strumenti per proteggerle, 23 specie animali e vegetali dichiarati a rischio dagli gli Stati Uniti si sono definitivamente estinte. La storia, triste ed esemplare, la racconta Laura Loguercio su Lifegate.
La Francia prova a salvare le librerie da Amazon: una proposta di legge per impedire all'e-commerce di spedire gratis i libri ne diminuirebbe il vantaggio concorrenziale. Su Il Post.
Un caricabatterie universale farà diminuire i rifiuti elettronici? (Anticipo parte della risposta: solo nelle case degli inglesi ci sono 140 milioni di cavi inutilizzati, abbastanza per fare cinque volte il giro della Terra).
È ripartito ieri CinemaAmbiente, il festival dedicato alle pellicole green che ogni anno si tiene a Torino. Chiude il 6 ottobre e il programma lo trovi qui.
Benzina sul fuoco, un nuovo podcast sui responsabili della crisi climatica. Prodotta da Piano P.
Ho intervistato il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, che mi ha raccontato da dove arriva (è entrato nell’associazione come volontario a fine Anni ‘90) e dove vuole arrivare con l’associazione: «Sogno un giorno che Legambiente non debba esistere più». L’intervista è su Scaglie – un progetto del Consorzio del Parmigiano Reggiano.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? Una gorilla in mezzo a una nuvola di farfalle.
Questo scatto – realizzato nella riserva naturale di Dzanga Sangha, Repubblica Centroafricana – ha vinto il Gran premio del Nature Conservancy 2021 e il suo autore, il fotografo Anup Shah, l’ha commentato così: «Mi piace questa foto perché ti trascina al suo interno: ti attirano gli insetti, ti attira il volto della gorilla: sta mostrando tolleranza verso le farfalle che lei stessa ha agitato? O il suo è un viso di beatitudine?».
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