Riparare un punto azzurro pallido
🌍 Il colore verde #36. Il 2020 finisce con la storia di una delle più belle foto dell'umanità
Un’opera di Nicolás Ortega (Instagram)
«Cosa diremo quando guarderemo indietro?» è la domanda che ha pronunciato due settimane fa Angela Merkel, durante quello che abbiamo sentito definire come il discorso più emotivo della sua lunga carriera.
In altre parole: abbiamo adoperato al meglio il nostro tempo? In questo 2020, in questa epoca dell’umanità?
Certo: possiamo risponderci che “di più non potevamo e non possiamo fare”, sommersi da impegni e fatiche e sfortune. È una risposta sempre valida.
Io conservo l’ambizione – forse frutto di una vita relativamente agiata – che l’umanità in effetti debba avere una responsabilità storica. Provo a sintetizzare questo compito citando a memoria un passaggio di un libro di qualche anno fa: «Cosa fare ora? Seppellire i morti e riparare i viventi». Quel Riparare i viventi, che da anche il titolo al libro della francese Maylis de Kerangal pubblicato in Italia da Feltrinelli (grazie di cuore a Marina per il regalo!), mi sembra l’ambizione perfetta.
Riparare il mondo forse è ancora più centrato. È il titolo dell’ultimo libro di Christian Raimo uscito per Laterza a settembre. Raimo – insegnante e scrittore – fotografa lo sgretolamento della nostra coscienza politica collettiva. Si è avverata l’auto-profezia di Margaret Thatcher, prima ministra nel Regno Unito negli Anni ’80: «La società non esiste, esiste solo l’individuo». (Ne deriva, oggi, una vera “Ideologia dell’isolamento”, come scrive Rebecca Solnit in Chiamare le cose con il loro nome).
Per Raimo la crisi climatica appartiene a un insieme di temi da affrontare con urgenza. Eppure, ne siamo poco interessati o, meglio, non ci vogliamo pensare: un «tentativo quasi infantile di cercare sollievo dall’ansia». C’è però, davanti a noi, un bivio molto chiaro: «Continuiamo ad alimentare sogni di fuga o ci mettiamo alla ricerca di un territorio abitabile per noi e i nostri figli?».
Mi concedo questa puntata esistenzialista perché sta finendo l’anno e perché la prossima settimana faccio 30 anni. Insieme ai miei coetanei condivido il compleanno con quella che io considero una delle più belle foto della storia dell’umanità. Questa qui è una versione leggermente zoomata:
È stata scattata nel 1990 dalla sonda Voyager della Nasa a 6 miliardi di chilometri di distanza dalla Terra. La sonda era in viaggio da 13 anni per raccogliere dati sulla galassia e l’universo. Ma non si era mai guardata indietro: fu Carl Sagan, scrittore e astronomo americano, che convinse la Nasa a far scattare una fotografia del nostro pianeta da lassù. Lo scatto prese il nome di Pale blue dot, punto azzurro pallido, dalla descrizione che gli diede lo stesso Sagan. Perché dentro quell’inquadratura scura c’è un pixel azzurro, quasi bianco. «È noi». Riesci a scorgerlo? Sagan dedicò allo scatto un libro intero, e in particolare questo testo, famoso ancora oggi.
«Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita.
«L'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo è messa in discussione da questo punto di luce pallida. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
«La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
«Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.»
Sono passati 30 anni: cosa ci diremo fra altri trenta quando guarderemo di nuovo indietro?
Buone feste, Il colore verde torna il 2 gennaio.
Tre segnalazioni di visione/lettura:
Lo S·T·R·E·P·I·T·O·S·O editoriale di De Mauro su Internazionale.
Un pensiero per Natale: il listone di alcuni imperdibili documentari “verdi” su Netflix.
Dove trova la speranza Al Gore, nonostante una battaglia così difficile (NY Times).