“Questa piccola donna”
🌍 Il colore verde #34. Le vincitrici e i vincitori del Goldman Environment Prize 2020, ovvero i “Nobel verdi”
Le puntate che mi piace più scrivere sono quelle dedicate alle persone che cambiano le cose con le loro idee e progetti. Rinnovano la mia fiducia per il genere umano, mi incuriosiscono e mi fanno sentire partecipe di una grande missione universale. Spero piacciano anche a te.
Oggi ti parlo dei vincitori del Goldman environmental prize, annunciati lunedì scorso. Il premio, conosciuto anche come “il Nobel verde”, dal 1989 seleziona sei attivisti ambientali provenienti da tutto il mondo che difendono gli ecosistemi, promuovono la sostenibilità, influenzano politiche verdi, o si battono per la giustizia sociale e ambientale. «Cittadini ordinari che si assumono il rischio personale di salvaguardare l’ambiente e la loro comunità», come spiega la giuria del premio. Eccoli qui.
Kristal Ambrose ha trent’anni ed è delle Bahamas. Biologa, si batte contro l’inquinamento nelle isole dell’arcipelago: il nemico non è solo la plastica, ma anche la cultura ambientalista nel Paese. La salvaguardia dell’ambiente è vista come una tematica dell’élite bianca, piccola minoranza ancora molto potente e benestante (le Bahamas sono indipendenti dal Regno Unito appena dal 1973). Ambrose è partita dal basso, dalla sua comunità nera e dai giovani per ribaltare l’equazione. Ha creato un movimento fatto di manifestazioni, eventi, dibattiti. Nel 2018 è arrivata nella capitale Nassau, chiedendo la messa al bando della plastica monouso. È stata invitata dal governo a contribuire alla bozza di legge, che quest’anno è entrata in vigore.
Anche la storia di Lucie Pinson, francese di 34 anni, è meravigliosa. Ha convinto le più grandi banche e assicurazioni francesi a smettere di finanziare progetti energetici legati al carbone. Per farlo si è intrufolata in consigli di amministrazione, ha scritto lettere personali, ha creato report per la stampa: i giganti della finanza sono stati “costretti” a cambiare politica dei prestiti. Al momento Pinson ha contribuito a reindirizzare almeno 7 miliardi di investimenti.
Chibeze Ezekiel, ghanese di 40 anni, coordina un movimento giovanile dedicato alla giustizia ambientale. Negli ultimi 4 anni si è battuto per bloccare la costruzione del primo impianto a carbone del suo Paese. Ci è riuscito, e ora il governo ha avviato un piano energetico basato sulle rinnovabili.
Nemonte Nenquimo è una donna ecuadoriana di 33 anni della popolazione nativa Waorani. Si tratta di abitanti della foresta vergine entrati in contatto con il resto del mondo solo nel 1958. Quando nel 2017 il governo stava per assegnare l’ennesima concessione per deforestare e estrarre risorse dalle loro terre, Nenquimo ha iniziato una battaglia su più fronti. Ha unito le diverse comunità, ha lanciato campagne online internazionali, ha fatto installare pannelli solari e guidato un movimento politico che ha portato il caso alla Corte suprema del Paese. Nel 2019 è arrivata la sentenza: i 500,000 acri dove risiede il cuore della comunità Waorani sono intoccabili. Il caso è diventato un esempio e un precedente a favore delle popolazioni indigene in tutto il Sud America.
Anche Paul Sein Twa si è battuto per la popolazione indigena a cui appartiene. Quarantenne del Myanmar, fa parte dei Karen, una delle minoranze del Paese nativa del bacino del fiume Salween, luogo con una forte concentrazione di biodiversità. Grazie al lavoro di Sein Twa l’area è diventata una riserva naturale protetta: il “Parco della pace del Salween”.
Leydy Pech, cinquantacinquenne messicana (nella foto in apertura), è un’apicoltrice di un collettivo agricolo tutto al femminile di discendenza Maya. Per difendere le tradizioni e la cultura dei suoi antenati ha avviato una battaglia legale contro la Monsanto, multinazionale agricola che coltiva attorno alle terre del suo popolo. Grazie alla causa di Pech contro Monsanto, ora in Messico sono vietate le coltivazioni di soia geneticamente modificata se manca l’autorizzazione delle popolazioni locali. Quando nel 2018 ha vinto la causa i giornali hanno riportato una frase di un avvocato della Monsanto: «proprio non ce lo aspettavamo che “questa piccola donna” ci potesse battere». E invece.
E invece una piccola donna ce l’ha fatta. Piccoli uomini e donne che stanno attorno a noi (li sappiamo riconoscere?) che tirano fuori un gran coraggio e riescono a costruire un ponte tra scienza e comunità locali, tra passione e scopo.
Con questo, buon dicembre!
(tutte le foto nel testo: © Goldman Environmental Prize 2020)
Tre rapide segnalazioni di visione/lettura:
• Se oggi hai ancora 7 minuti da concedere a questi temi, devi vedere questo breve video documentario pubblicato su Internazionale: “Il Brasile brucia e la colpa è spesso delle multinazionali”. Capirai alcuni passaggi a volte sottovalutati.
• L’Economist dedica il suo ultimo numero al carbone, fonte fossile che emette più gas serra di tutti. “Making coal history” si legge in copertina: in Europa e in USA l’uso sta diminuendo tantissimo, ma la vera sfida è l’Asia.
• Il New York Times pubblica un’inchiesta sui danni che lo smog e il fumo degli incendi provocano nei bambini: pazzesco.
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