Procrastinare is the new negare
🌍 Il colore verde #57: Decalogo delle strategie usate da chi vuole ritardare le azioni per il clima. Extra: la nuova puntata di “Climateers”
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🔊 È uscita la nuova e terza puntata del podcast! Qui il link a Spotify; se la vuoi sulle altre piattaforme cerca “Climateers” o “Pillow Talk Platform”. Fammi sapere se ti piace: parlo di Wangari Mathaai, ambientalista keniana, prima donna a vincere il premio Nobel per la Pace.
Ciao, oggi la sparo grossa: i negazionisti del clima non sono più l’ostacolo principale alle soluzioni dell’emergenza climatica.
Certo: bisogna sempre tenerli d’occhio, ma non sono più quelli di una volta. Perché ora si sono messi in moto almeno due grandi meccanismi. Da una parte, la popolazione si è convinta in larga maggioranza dell’esistenza dei cambiamenti climatici (il 93% degli europei; il 72% degli americani, per citare due sondaggi 2020). E dall’altra chi ancora ha grande interesse a sminuire il problema lo fa attraverso una nuova strategia: non lo nega, ma prova a rimandarlo.
Detta in inglese: “delay is the new deny”, la procastinazione è la nuova negazione.
L’anno scorso l’argomento della procastinazione climatica è stato approfondito da un rigoroso paper dell’Università di Cambridge, che ha illustrato i meccanismi in atto; e da poco in Germania è uscito una guida (a fumetti) che ne parla.
A volte sono vere e proprie strategie: delle grandi industrie, dei politici, di qualche imprenditore furbo o del marketing. A volte sono nostri tic: cose che ci ripetiamo senza mai averci fatto abbastanza attenzione.
Conoscere questo decalogo di strategie è un buon modo per perfezionare le nostre azioni e il nostro modo di comunicare. Capirle significa poter smontare al volo inesattezze e furbizie degli altri. Conosci il tuo nemico, insomma: può fare la differenza tra risolvere un problema invece che scoraggiarsi.
1. Benaltrismo
Focalizzando la comunicazione su qualcosa di esterno, distante e fuori dal nostro controllo, ci liberiamo delle pressioni interne. Esempio: «Possiamo impegnarci quanto vogliamo, ma l’Italia emette solo l’1% della CO2 globale, mentre la Cina e gli USA più del 20%». Ma dicendo così ci allontaniamo da soluzioni articolate e azioni tempestive.
Corollario: esotismo
Non tutti i problemi ambientali si trovano in Paesi lontani e poveri. Succede anche da noi, e succede già ora: dobbiamo affrontare anche le storie più vicine.
2. Individualizzazione
Uno non vale uno. E ridurre il problema a una questione solo di scelte individuali sposta l’attenzione da fronti ben più importanti, come quello delle grandi aziende, dei super-ricchi o dei governi.
Per darti un’idea: la stessa idea di “impronta personale del carbonio” è stata resa popolare dalla compagnia petrolifera BP per distogliere l’attenzione mediatica dalle loro attività estrattive, responsabili di buona parte delle emissioni globali.
3. Il problema del free rider
Un concetto economico celebre: come fare con chi ottiene benefici da una cosa ma non la paga? (per esempio, l’evasore che va all’ospedale).
Con il clima la questione si ribalta, e tanti soggetti (Trump ne era l’esempio) si chiedono: perché dovrei pagare io il prezzo della transizione energetica, se poi gli altri Paesi/aziende non rispettano quella regola e ci guadagnano? Questa strategia “win-lose” però vale solo nel breve tempo, e alimenta gli scontri.
4. Ottimismo tecnologico
La tecnologia ci ha salvato e ci salverà ancora. Ma non può essere una scusa: è un errore aspettare l’invenzione perfetta e nel frattempo vivere come se niente fosse.
L’ottimismo tech si trasforma in una leva anti-cambiamento quando, per esempio, qualcuno dice che darsi obbiettivi per il 2030 può disincentivare obbiettivi (e invenzioni) a più alto impatto per il 2050.
5. Tante parole, pochi fatti
Grandi annunci a cui non seguono azioni concrete nell’immediato: dichiarazioni di stati di emergenza, promesse di riduzione emissioni, ecc. Lo fanno le aziende e i politici, molto spesso, e assomiglia un po’ a quelli che dicono “dopo le ferie inizio la dieta”.
Corollario: i target
A volte è un vero e proprio circolo vizioso: accordi internazionali, promesse dei capi di Stato, pubblicità delle industrie che si danno dei target molto grandi ma anche molto distanti, per raccogliere consensi e fare bella figura. Ma come in 1984 di Orwell, cosa si fa quando la data arriva e l’obiettivo non è stato raggiunto? Si cambiano i numeri del passato, e si ristabilisce un nuovo target futuro. In questo modo ognuno definisce la propria linea di successo ed è impossibile tenere traccia dei reali progressi.
6. Solo incentivi, niente penalizzazioni
L’idea che il mondo si autoregoli davanti a incentivi e benefici è meravigliosa, ma smentita, più volte, dalla storia: ci vogliono anche leggi, divieti, limitazioni. Bene la carota, ma «porta con te un grosso bastone», diceva Theodore Roosevelt.
7. Soluzioni fossili
«È nell’interesse delle compagnie estrattive risolvere il problema delle emissioni di gas serra dei combustibili fossili» ci sentiamo dire spesso. Non è proprio così: sperare che la soluzione arrivi dal problema stesso è quantomeno ingenuo, se non in malafede.
8. Difesa dello status quo
L’idea che passare a un’economia più sostenibile porti povertà, perdita di benessere e di posti di lavoro. Ma è proprio questo il punto della parola “transizione” energetica ed ecologica: cambiare paradigma senza perdere nessuno per strada.
9. Perfezionismo
È importante trovare la giusta soluzione, soprattutto in politica dove leggi e programmi pro-ambiente devono essere scritti con precisone. Ma non troppa: il perfezionismo a volte è una scusa furba (dammi più tempo e lo faccio meglio), a volte è una trappola mentale in cui cadiamo. Meglio essere reali che perfetti.
10. Fatalismo
«Siamo spacciati, il problema è troppo grave: tanto vale non fare nulla»: la retorica dell’apocalisse accettata prima ancora che avvenga, e della nostra impotenza, è una stupidaggine. Non farti fregare.
🍀 Iniziative verdi
La onlus World Rise, insieme ad Axa, assegna delle borse di studio per una summer school in Sardegna di una settimana dedicata al climate change. Qui tutte le info.
Una summer school di tre settimane sui Monti Sibillini a tema lana, legno e territorio: 30 borse di studio disponibili.
I disegni, alcuni mooolto belli, vincitori del concorso “Io rispetto gli animali” della LAV con le scuole elementari e medie.
🔖 Segnalibri
A proposito di negazionisti del clima: è uscito, per Laterza, I bugiardi del clima della giornalista Stella Levantesi (che spesso in questa sezione segnalo). L’ho messo in lettura e ti farò sapere com’è. Nel frattempo c’è una recensione di Roberto Saviano sul Corriere.
Quanta plastica ingeriamo ogni settimana, mese, anno, fotografata.
Ma tutta questa microplastica che mangiamo, fa male, quanto? Il Guardian prova a rispondere. Riassumendo: “ancora non è chiaro”.
Un video di 1 minuto che devi assolutamente vedere. Sull’Istagram di Greenpeace.
20 grandi compagnie internazionali producono il 55% dei rifiuti di plastica mondiali. É uscito il nuovo rapporto Plastic Waste Makers: ci voglio tornare su in una delle prossime puntate, ma se hai fretta trovi tutto qui.
Il Polo Nord è la nuova frontiera delle rivalità geopolitiche. Su Internazionale.
Nel 2020 gli eventi climatici hanno sfollato il triplo delle persone rispetto alle guerre. Nuovo report dell’Internal Displacement Monitoring Centre.
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