Cosa diavolo è successo a New York
🌍 Il colore verde #72: Il Nord Est degli USA è stato colpito pesantemente dalla coda dell'uragano Ida. Perché? Extra: Il ministro Cingolani vs. i radical chic
New York, mercoledì sera. 19.00, ora locale: inizia a piovere. È il passaggio, annunciato, della coda dell’uragano Ida, che qualche giorno prima ha colpito New Orleans e la Louisiana, con più forza di Kathrina (ma meno danni): Ida è stato il quinto uragano più potente della storia degli USA.
Il passaggio su New York, più debole, sembra proseguire nella norma. I bollettini meteo hanno previsto la pioggia e il forte vento, ma niente di preoccupante. Per un po’, a Flushing Meadows si continuano a giocare gli US Open di tennis e tutta la città, anche se gli ombrelli svolazzano, continua ad andare avanti con tranquillità. È pur sempre New York, la capitale del mondo, una delle città più ricche ed efficienti del Pianeta.
Poi, però, la situazione cambia. A Central Park, tra le 21.50 e le 22.50 cadono 8 centimetri di pioggia. Per fare capire quant’è a chi, come me, non è esperto di precipitazioni… è straordinariamente tanta.
L’Nws, il servizio meteo pubblico statunitense, è costretto – per la prima volta nella storia – a lanciare un allarme per una “flash flood”, espressione che si traduce con “inondazione improvvisa”: «è severamente a rischio la vostra vita» avvisa l’Nsw via messaggio, «cercate riparo e rimanete in posti elevati».
Non era mai caduta così tanta pioggia su New York in così poco tempo. Il precedente record è di circa 4 centimetri/ora, ed era stato battuto durante un’altra flash flood recente, quella del 22 agosto quando sulla città passò la tempesta tropicale Henri.
New York è una città densamente popolata. Nell’isola di Manhattan e nelle zone periferiche, incluso il vicino New Jersey, molto è fatto è di cemento e acciaio: case, strade, infrastrutture dallo scheletro vecchio o riadattato negli anni. Così tutta l’acqua che cade sulla città nella notte si accumula proprio nelle strade, finisce dentro i seminterrati dei condomini, e ovviamente nei tunnel della metro.
Mercoledì notte i vagoni della metro si riempiono di acqua, cascate scrociano sulle banchine delle fermate: le immagini fanno il giro del mondo. Non fosse un disastro, sembrerebbe un parco giochi acquatico. Le scene sono ancora più impressionanti della volta in cui New York fu colpita dall’Uragano Sandy nel 2014: un evento che sembrava epocale, e invece era solo un assaggio.
Viene dichiarato lo stato di emergenza e c’è il divieto di circolare per le strade nella notte, ma alcune auto rimangono comunque bloccate, semi-sommerse, con i guidatori che sono costretti ad arrampicarsi sul tetto dei veicoli ed aspettare lì i soccorsi, che arrivano in gommone. In gommone, a New York.
Alcuni, muoiono proprio intrappolati in auto. Altri in casa. Le vittime sono almeno 45 in tutto il Nord Est degli Stati Uniti: più di una ventina a New York e dintorni, soprattutto nel Queens e nel New Jersey. Nessuna a Manhattan.
Se nei libri gialli è sempre colpa del maggiordomo, in questo genere di disastri c’è sempre (e sempre di più) lo zampino del cambiamento climatico. A dirlo non ci sono solo gli ambientalisti, ma ormai chiunque abbia capito il problema. «È un segno infausto della capacità del cambiamento climatico di creare un nuovo tipo di disastro», ripete il New York Times all’inizio dei suoi articoli. «Non possiamo più definirli eventi “imprevedibili”. Niente è, ormai, impervedibile», ha spiegato la neo-governatrice dello Stato di New York, Kathy Hochul. «Ida a est e gli incendi a ovest [in California] sono uno scorcio della vita distopica che ci aspetta nei prossimi anni», sintetizza lo scrittore e giornalista Andy Horowitz.
Negli ultimi anni gli uragani sono sempre più intensi, perché il calore superficiale dell’acqua del mare fa accumulare più energia e l’atmosfera più calda fa accumulare nelle nuvole più acqua. Il climate change non aumenta la possibilità che compaia un uragano, ma ne aumenta la sua intensità e la velocità con cui si forma: un processo che si chiama “rapida intensificazione”, che accade anche in punti dove di solito gli uragani passavano più deboli.
Così le aree che possono dirsi al sicuro sono ormai poche.
Anche perché le città non sono ancora pronte a fronteggiare questi eventi estremi: ci vorrebbero budget miliardari per prevenire tutto, anche se spesso i danni sono ancora più costosi (Sandy causò 63 miliardi di danni negli USA, per intenderci). Nei prossimi anni città ricche e cittadini benestanti riusciranno a mettersi in salvo, chi meglio e chi peggio. Ma le coste degli Stati Uniti, così come le coste di tutto il mondo che affacciano sugli oceani, non sono fatte solo di città ricche e persone benestanti. Molte non riusciranno ad adattarsi in tempo: le case verranno distrutte, le popolazioni migreranno, molti moriranno.
Concludo facendoti leggere come Paolo Mastrolilli, corrispondente da New York per La Stampa, ha raccontato il risveglio di giovedì, quando ormai a New York splende il sereno, nelle strade la pioggia caduta forma enormi pozze e la gente prova a ripulire tutto dai detriti:
Si va a letto sentendo la pioggia che picchia incessante sui vetri, ma pregando che si tratti solo di un grande spavento. Ci si sveglia nella tragedia. Forse la più drammatica, secondo le cronache di New York Times e New York Post, è quella accaduta sulla 64th Street di Woodside, al Queens. Verso le 9.30 Mingma Sherpa, una donna di 48 anni che vive con la famiglia in uno scantinato probabilmente illegale, ha chiamato Choi Sledge, la vicina del terzo piano: «L’acqua entra dalle finestre, aiuto!». Choi racconta di averla invitata a salire da lei: «Ma non è mai arrivata. Quelle sue parole sono state le ultime che ho sentito».
Mingma è morta affogata, insieme al compagno Ang Lam e al figlioletto Ang di due anni. Muoiono cinque persone ad Elizabeth, annegate in un altro scantinato; un uomo spazzato via con la sua auto a Passaic; una donna di 86 anni a Glendale. Sono storie che si assomigliano tutte, perché in questi casi a pagare di più sono quasi sempre i più deboli. I poveri che vivono in condizioni pietose, o illegali; la gente che non può fare a meno di uscire, per lavorare o altro; gli anziani senza assistenza.
🤦♂️ Extra: Cingolani vs. ambientalisti radical chic
(Un pippone che se vuoi puoi saltare)
Mercoledì Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica del governo Draghi, ha fatto una delle sue sparate ad effetto. All’inizio di una lezione/conferenza organizzata dal partito Italia Viva, dove il ministro era stato invitato per raccontare i principi scientifici del cambiamento climatico e gli strumenti italiani ed europei per contrastarlo, ha detto:
«Io vorrei condividere con voi delle riflessioni. E anticipo una conclusione: il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti ed ideologici. Loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati se non facciamo qualcosa di veramente sensato. Però loro sono parte del problema»
Boom.
Ho parecchio da ridire. Ma non voglio sembrare un incendiario quindi includo una premessa: il video integrale lo trovate qui, l’intervento inizia a 1 ora e 02 per finire a 2 ore e 10 minuti. Me lo sono visto tutto. Tolta la premessa sgangerata, è una lezione dove cingolani spiega le cose con chiarezza e a rigor di scienza. Insomma: nel suo campo è preparato, più di tanti ministri italiani ed europei, ma non lo scopro certo io e non lo scopriamo certo ora. Ha persino parlato con coscienza di energia nucleare, spiegando come sia un’alternativa da considerare in un mondo che vuole abbandonare i carburanti fossili (ne avevo scritto qui).
Eppure quella frase iniziale stona. Perché le parole di un ministro, per quanto tecnico e non appartenente a partiti, sono politiche, sempre. Ogni suo gesto, ogni sua frase, ogni suo silenzio è politico. E dire certe cose, dirle male, può pregiudicare le buone intenzioni e la legittimità tecnico-scientifica. C’è un grave problema di comunicazione, come fa notare Valigia Blu, che ci va giù ancora più pesante di me. Anche perché poi in questo mondo di squali va a finire che “fa titolo” – come si dice in gergo giornalistico – proprio la sparata o la gaffe. La prima pagina di giovedì mattina di Libero, giornale schierato a destra, ne è la prova: «Le parole del ministro stendono i gretini». E da quel giorno la polemica si è allargata: l’ex premier Giuseppe Conte, in difesa dell’ambientalismo dei suoi 5Stelle, ha chiesto un incontro per chiarire, e anche le sue frasi sul nucleare – messe vicine al commento sugli ambientalisti troppo idealisti – sono suonate male, riaccendendo polemiche decennali.
Non mi sento un radical chic dell’ambientalismo e ho persino scritto più volte che è un errore arroccarsi su posizioni estreme. Ma mi sento in dovere di difendere la categoria, se non altro perché non mi sembra poi così numerosa e perché mi vengono in mente almeno dieci cose che, in questo campo, sono peggio: i negazionisti; i grandi ricchi che inquinano senza porsi il problema; le 100 multinazionali che da sole hanno contribuito al 76% delle emissioni globali (nell’elenco c’è un’italiana: l’ENI), i governi che si fanno corrompere e gli imprenditori che corrompono; le eco-mafie; l’abusivismo edilizio; chi sottovaluta i rischi idrogeologici; e in generale chi può fare e alla fine… Non fa. Mai. Nulla.
Caro ministro, è poco pragmatico prendersela con loro?
📰 I link
Fridays For Future compie tre anni. Moda del momento o movimento storico? Una riflessione di Sebastiano Michelotti, membro di FFF, sul Corriere.
Una “dieta” per il clima: 7 cose da fare a settembre per ridurre (davvero) l’impatto e generare consapevolezza. Sul mio Instagram, se te lo sei perso.
A Londra c’è una grande protesta di Extinction Rebellion, che ha attirato critiche da molti lati della politica e dell’economia. Poi però, anche un commento sul Financial Times ha detto «possono essere fastidiosi, ma hanno un ruolo vitale».
Nel Tevere, fiume della Capitale, continuano a morire migliaia di pesci. Perché? Ancora non si sa di preciso, ma potrebbe c’entrare l’inquinamento oppure per l’eccesso di detriti arrivati nel fiume dopo i temporali che bloccato l’afflusso di ossigeno in acqua. Sul Post la storia.
Recupero solo ora un approfondimento della redazione di Duegradi su un tema molto interessante: nel mondo sempre più attivisti per l’ambiente vengono uccisi.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? Una foto scattata da Chee Kee Teo a Singapore: mostra una femmina di lontra che prende per la collottola il suo cucciolo. L’autore delle foto, finalista al “Wildlife comedy photography award”, premio dedicato alla fotografia naturalistica dai risvolti comici, ha intitolato lo scatto “Time for school”. Salvati la foto per mandarla la prossima settimana a chi ha figli, sorelle, fratelli, nipoti che stanno tornando in classe svogliatamente.
Le altre foto finaliste del concorso le trovi qui, i vincitori verranno annunciati il 22 ottobre.
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