Il museo dell’archeoplastica
🌍 Il colore verde #67: Enzo Suma colleziona vecchi oggetti ritrovati sulla spiaggia: ci vuole far capire che i rifiuti di plastica vivono più di noi
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Ciao, questa doveva essere l’ultima puntata prima della pausa di agosto. Ma visto che viviamo l’estate climaticamente più caotica della storia recente, meglio continuare a unire i puntini. Ad agosto riceverai una versione più slim de Il colore verde con le notizie e i link della settimana.
Le storie, gli approfondimenti e i ritratti torneranno invece il 4 settembre.
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Ok partiamo!
C’è una guida naturalistica di Ostuni, in Puglia, che durante il lockdown dell’anno scorso ha fatto nascere Archeoplastica, il primo museo dedicato ai rifiuti di plastica.
In parte esposizione fisica, in parte esposizione virtuale, Archeoplastica mostra degli oggetti che risalgono a decine di anni fa, ritrovati in quasi perfette condizioni sui litorali italiani. Un sacchetto di patatine con scadenza 1983, un barattolo di talco Felce Azzurra del 1979, un detersivo Dreft del 1963.
Enzo Suma, pugliese classe 1981, mi racconta l’idea che ha avuto: «Faccio la guida turistica in questa zona del Salento dal 2009: amo il territorio, così pieno di paesaggi diversi, e il mare è da sempre il mio luogo naturale. Non posso sopportare l’idea che l’essere umano rovini questi posti».
Così Suma ha iniziato a ripulire le spiagge vicino a casa, prima raccogliendo in maniera indistinta e poi facendo caso a ciò che trovava. «C’erano oggetti vecchi trenta, quarant’anni. Alcune avevano ancora il prezzo in lire sopra, 200, 300 lire. Ho iniziato a “collezionarli”, cercando di capire la loro storia, la loro età».
Enzo ha creato una campagna di crowdfunding per Archeoplastica: raggiunti i primi obiettivi oggi sta ancora accettando finanziamenti per completare il museo. «Gli oggetti che seleziono vengono scannerizzati in 3D, così chiunque su internet li possa vedere a 360°, in ogni loro dettaglio. Allo stesso tempo sto acquistando delle teche per esporre i reperti in mostre e musei dal vivo».
Per ora Enzo ha collezionato più di 300 oggetti, alcuni raccolti da lui, altri inviati da persone che hanno scoperto il suo progetto. Sul sito sono presenti i primi 50.
[ 🔎 Info pratica: se vuoi aiutare Enzo, contattalo direttamente, copre lui le spese di spedizione.]
Archeoplastica è un progetto che arriva anche nelle scuole. «La prima cosa che fanno i bambini è confrontare l’età degli oggetti con quella dei loro genitori o addirittura dei loro nonni. Per loro sono davvero reperti archeologici preistorici. Per questo mostrare il progetto ai giovanissimi è importante: così possono capire che gli oggetti che usano tutti i giorni, a volte solo per pochi istanti, sono potenzialmente molto dannosi per l’ambiente. Solo così possono imparare a usare meno plastica e gettare i rifiuti nella raccolta differenziata».
Ai nostri occhi adulti gli oggetti del museo ci colpiscono per quel nostalgico gusto del vintage. Possono sembrare persino belli, a una prima occhiata, ma poi il nostro cervello finisce in un vicolo cieco, facendoci sbattere contro la realtà delle cose. Il museo dell’Archeoplastica si ferma a reperti degli anni ’80: sono preistorici anche per chi è nato, come me, negli anni ’90. Ed è probabile che ci sopraviveranno, come sono sopravvissuti ai suoi originari proprietari. Diventeremo cenere prima di Pez, lo sparacaramelle con la testa di Paperino.
Scoprendo la storia dell’Archeoplastica mi sono ricordato quando, da bambini, gli insegnanti dicevano: «la plastica sta centinaia, se non migliaia, di anni a decomporsi!». Era un concetto così astratto che forse pochi l’hanno fatto proprio. Ecco, io credo che Archeoplastica sia un piccolo passo verso una comprensione più reale del fenomeno. Una storia per visualizzare i numeri impressionanti dell’inquinamento di spiagge e mari.
Legambiente a maggio ha presentato un dato: nelle spiagge italiane si trova una media di 783 rifiuti ogni centro metri lineari di spiaggia. L'84% di questi rifiuti è in plastica. (Dal rapporto “Beach Litter 2020”)
Enzo mi spiega che non vuole demonizzare la plastica: «È uno dei materiali più importanti della storia dell’umanità, ma ne facciamo un uso sbagliato, troppi oggetti sono usati per solo un istante e poi eliminati impropriamente».
Oggi lui si ritrova con garage e stanze piene di “reperti”, alcuni ancora da esaminare e catalogare: «A volte penso di essere sommerso, però credo sia la cosa giusta da fare: con Archeoplastica voglio tirare fuori qualcosa di buono da qualcosa di brutto».
📰 I link
Gli incendi devastati in Sardegna lo scorso weekend e in Sicilia in questi giorni mostrano un fenomeno estivo sempre più frequente. Dolo, cattiva gestione delle aree verdi, siccità prolungata formano una combinazione letale. Quello che però i media non restiuiscono è la frequenza e la diffusione degli incendi in tutte le regioni più calde del nostro Paese. Brucia anche la Puglia, brucia anche la Calbria, anche se le notizie non arrivano. Nicola Pinna, amico e giornalista dell’Unione Sarda che ha raccontato con chiarezza e dolore l’inferno dell’Oristanese, mi ha inviato la mappa della Nasa che mostra i fuochi registrati dai satelliti dell’Agenzia spaziale americana nelle ultime 24 ore. Da una settimana lo apro ogni giorno, zoomando sull’Italia. Fa spavento.
Da imparare a memoria: “Spazio”, l’editoriale di Giovanni De Mauro sull’ultimo numero di Internazionale. (Se la prende con Bezos e Branson)
Il rinascimento della plastica aggrava la crisi climatica. Anzi sono due facce della stessa medaglia, visto che per produrla si passa dalla raffinazione di gas e petrolio, scrive Stella Levantesi su Internazionale.
Ripensare la vita in città per affrontare le future ondate di calore: tema importantissimo, raccontato da Riccardo Liguori su Linkiesta.
Covid, clima, distribuzione: cresce la “povertà alimentare” e i prezzi del cibo crescono del 20-30% rispetto a un anno fa. Peppe Aquaro sul Corriere.
A Oxford hanno inventato un’app per imparare a mangiare meno carne. Storia e link su Greenme.it.
Le cinque nazioni migliori dove vivere se la crisi climatica si fa troppo severa? Nuova Zelanda, Islanda, Irlanda, Australia e Regno Unito, spiega uno studio inglese.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? Un puma fotografato su un iceberg della Patagonia, in Argentina. Nessun pericolo per l’esemplare, che sa nuotare e può tornare sulla terra ferma in qualsiasi momento.
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