Morire di pioggia, ancora e ancora
🌍 Il colore verde #180 Sette vittime in Toscana per il passaggio della tempesta Ciaran. Morti evitabili, se decidessimo di adattarci a un Pianeta e un Paese più fragile e inospitale
Ciao! Spero tu non sia stato colpito o colpita dalle forti piogge. In caso contrario, ti sono vicino. Oggi dedico la puntata solo agli effetti della tempesta Ciaran.
Due note personali prima di partire:
→ Esce la terza e ultima puntata di Moltitudini, il podcast che ho curato con Laterza dedicato alla biodiversità. Ci sono degli ospiti pazzeschi: Stefano Mancuso, Edoardo Borgomeo, Benedetta Gori. Soprattutto lo consiglio perché nei primi minuti facciamo ascoltare delle rarissime registrazioni di una paleo-foresta del Borneo. Ce le ha regalate David Monacchi, artista e compositore che da 20 anni lavora a “Fragments of Extinction”, una serie di registrazioni di bioacustica dai luoghi più vergini del Pianeta.
→ Stamattina inizia il mio corso “Progettare una newsletter” per Scuola Holden (arrivato alla quarta riedizione!), pensato per appassionati e professionisti. C’è ancora qualche posticino. È in streaming e si può vedere anche in differita. In fondo alla mail c’è un codice sconto.
Prologo terminato. Via.
Un Paese abbandonato in mezzo alla tempesta
Moriamo di pioggia, ancora e ancora. Rimaniamo al buio colpiti dalla tempesta. Si allagano le strade, le case e persino gli ospedali.
Sei morti in Toscana. La Spoon River delle vittime racconta storie simili: anziani, impreparati, non sufficientemente allertati. Filippo Fiorini ha raccontato le loro storie su La Stampa:
Il primo a morire è stato Alfio Ciolini. 85 anni, vedovo, due figlie, l’hobby dell’orto. Abitava a Bagnolo di Montemurlo e, quando il torrente è sceso per la strada, lui non ha fatto in tempo a salire le scale. Di lì a poco, l’ha seguito Teresa Pecorelli, un anno in meno. Suo genero, Mivio Micheli, racconta che raggiungerla da prato (10 km da Montemurlo), «è stato navigare e non guidare. Ci sono volute 3 ore». La sua cantina era poco allagata. I famigliari l’aiutavano a sgomberare l’acqua quando è scivolata e ha battuto la nuca. Verso valle, nelle stesse ore, marito e moglie di 70 e 65 anni hanno attraversato un ponte a Vinci, provincia Firenze. I pompieri hanno ritrovato la loro macchina 3 km più giù, dove l’ha lasciata la piena. A Prato, Tindaro D’Amico, 73 anni è rimasto folgorato mentre cercava di staccare il contatore.
200 millimetri di acqua in meno di tre ore. Campi Bisenzio sott’acqua. Così come Montemurlo, Lamporecchio, Prato. Proprio oggi, 4 novembre, cade l’anniversario dell’Alluvione di Firenze, che colpì non solo il centro storico ma molti comuni attraversati dall’Arno. All’epoca i morti furono 35. Fu un evento eccezionale, senza precedenti. Il governo rispose all’evento con la creazione di una commissione, la Commissione De Marchi, che consigliò di mettere in sicurezza i bacini idrici e soprattutto di smettere di consumare suolo naturale. Cinquantasette anni dopo l’eccezionalità è diventata la nuova normalità, il lavoro della commissione è stato dimenticato e il consumo di suolo ha toccato un nuovo record: 2,4 metri al secondo sono stati cementificati nel 2022 (dati Ispra appena pubblicati), +10% rispetto all’anno precedente.
Nel frattempo anche gli eventi estremi nel mondo sono cresciuti a velocità smodata. Negli ultimi 30 anni gli eventi meteo estremi globali sono aumentati dell’83% rispetto al trentennio precedente. Una situazione in costante crescita nel nostro Paese: secondo il Cnr, in Italia il 2022 è stato l’anno con il maggior numero di eventi meteo estremi. E l’inizio del 2023, secondo i monitoraggi di Legambiente, ha registrato un +53% rispetto al 2022.
Per l’Agenzia europea per l’ambiente, tra il 1990 e il 2021 gli eventi meteo estremi hanno causato nell’intero continente 195mila vittime e 560 miliardi di euro di danni. Confrontando i dati dei diversi Paesi Ue, emerge che l’Italia è terza – dopo Germania e Francia – per numero di morti e perdite economiche. Nel trentennio 1990-2021, il nostro Paese ha fatto registrare 22mila morti e 92 miliardi di euro di danni per eventi meteo estremi.
Il cambiamento climatico non è responsabile di ogni pioggia o nubifragio, ma – come ripetiamo all’infinito – è un moltiplicatore: con un pianeta mediamente più caldo, aumenta frequenza e intensità media degli eventi meteo. Se aggiungiamo questo moltiplicatore a un Paese fragile dal punto di vista idrogeologico come il nostro otteniamo un risultato infernale. Gli impatti della tempesta Ciaran erano previsti, ha spiegato Serena Giacomin, presidentessa dell’Italian Climate Network.
Non possiamo limitare ogni danno, ma certamente dobbiamo provare a evitare che almeno non ci siano vittime. Anche le più fragili. Lo ha spiegato molto bene Luca Mercalli in un’intervista data a Caterina Stamin per il nostro giornale:
«Quando un fenomeno è estremo dobbiamo pensare che la sicurezza al 100% non esiste ma si possono ridurre le morti “banali”, quelle del tipo “non sapevo” o “sono andato a vedere il fiume e il ponte è crollato”».
Ci vogliono cura e cultura (saper riconoscere il rischio e sapere cosa fare). E ovviamente ci vuole prevenzione. Che con il cambiamento climatico ha un nome diverso: adattamento. Perché il climate change si affronta in due modi: mitigandolo e quindi emettendo meno gas serra, e adattandoci a condizioni meno sicure e stabili. Le strategie di adattamento e riduzione del rischio sono oggi decisive.
Indovina un po’, l’Italia non ha una strategia aggiornata sull’argomento. Il Pnacc – Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici – è fermo nelle stanze del ministero dell’Ambiente: è stato pensato la prima volta dal governo Gentiloni e ancora mai approvato. Dopo l’alluvione in Emilia Romagna il ministro Pichetto Fratin aveva promesso che sarebbe stato pronto PRIMA dell’estate. Quest’estate si è chiuso l’iter di valutazione, ma poi del Piano non c’è stata più notizia. Peccato che anche quando verrà approvato sarà probabilmente tardi: si basa sui dati del 2018, quando ancora pensavamo che il climate change fosse un problema del 2050, non di oggi.
Il governo ha proclamato lo stato di emergenza per la Toscana. Siamo un Paese velocissimo a dichiarare emergenze e intervenire dopo le tragedie. Il popolo italiano ha costruito il suo dna così. Disastri massacranti, risposta immediata e promesse di ricostruzione.
A ogni tragedia ci diciamo che sarà l’ultima, che abbiamo imparato la lezione, che ora gli interventi contro il dissesto idrogeologico saranno strutturali, rapidi e agiranno su tutta la rete. Che cambierà la mentalità, che arriveranno le riforme. Poi scopriamo che i lavori si erano arenati, che i fondi non sono arrivati, che ci siamo dimenticati di tutto. Approvare il Pnacc non cambia l’Italia da un giorno all’altro, ma fa vedere che ci stiamo preparando, che stiamo facendo i compiti, che ci stiamo assumendo le responsabilità a tutti i livelli. È quel primo passo che è già in ritardo da anni.
Gli attivisti ci ripetono che “questo non è maltempo è crisi climatica”. È sicuramente vero, ma per quanto il messaggio attiri molti like sui social non è sufficiente. Si tratta di cambiamento climatico, incuria, consumo di suolo, ignoranza. Non possiamo più permettercelo.
Perché il mondo è cambiato. È cambiata la scala degli eventi: tutto succede più rapidamente e con maggiore violenza. Ogni pioggia può trasformarsi in un disastro. Dobbiamo certamente discutere di emissioni, di abbandono dei combustibili fossili, progettare un futuro più sano — ma oggi c’è da sforzarci ancora di più per proteggere noi e chi ci circonda. Ecco cosa ci accomuna: negazionisti, scettici, distratti, ambientalisti a metà, attivisti convinti… tutti noi dobbiamo essere pronti. Oggi non lo siamo. Dobbiamo ancora imparare a salvarci.
🔗 TRE LETTURINE
🙏 Gaël Giraud: «Io, gesuita ed economista: la finanza resta ancora troppo legata alla CO₂, serve una conversione» (Corriere)
🚲 Il falso mito delle piste ciclabili che soffocano il commercio (Linkiesta)
🔋 Nelle terre del litio. “Le miniere ci danno lavoro, ma la natura muore” (Green&Blue)
→ Extra: l’amico Luciano Romano, ricercatore in psicologia all’Università Europea di Roma, sta facendo un sondaggio molto interessante tra gli attivisti ambientali over 16. Se lo sei, clicca qui e dagli una mano.
📸 LA MIA FOTO PREFERITA
Un tonchio azzurro – ordine dei coleotteri – ritratto da vicinisssimissimo. La foto è tra le vincitrici del Nikon Small World 2023, tutte bellissime.
💚 GRAZIE!
Se sei qui, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 32 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Nel 2021 la newsletter ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha un bosco di 250 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui. Se vuoi adottare un albero anche tu da ZeroCO₂, usa il codice ILCOLOREVERDE per uno sconto del 30%.
Insegno alla Scuola Holden di Torino e al Master di giornalismo della Luiss di Roma. Tengo anche dei corsi aperti, come “Progettare una newsletter” per Holden Pro. Il prossimo ciclo parte il 4 novembre. Con il codice ILCOLOREVERDE sconto del 10%.
Ho curato anche quattro podcast: Climateers (2021, Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), Verde speranza (Onepodcast/La Stampa) e Moltitudini (Laterza).
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Buongiorno e piacere di conoscerti. Mi chiamo Cristina Rolfini e tengo una piccola newsletter, Pensieri Nomadi, qui su Substack, dove ho intercettato la tua. Ho letto del podcast sulla biodiversità. Sto viaggiando in Indonesia e in questo momento mi trovo proprio in Borneo, nel Kalimatan centrale. Sono venuta a visitare la foresta. Una grande emozione proprio per i suoi suoni, oltre che per gli oranghi e molte altre piccole creature.
Grazie per Colore verde. Ti seguo qui.