L'homo sapiens ha fallito
🌍 Il colore verde #114: La Marmolada è diventata simbolo dell'emergenza climatica. Non basterà ridurre il nostro impatto, ora dobbiamo difenderci
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In questi giorni è anche uscita l’ultima puntata di Cambiamenti, il mio podcast per Emons record, dedicato a pioniere e pionieri dell’ambientalismo. In questo ultimo episodio racconto Alexander Von Humboldt, scienziato ed esploratore tedesco dell’Ottocento, il primo ad aver “inventato” la natura come la conosciamo: non mero paesaggio, ma protagonista interconnesso alle nostre sorti. La ascolti su tutte le piattaforme, oppure qui su Spotify.
Questa settimana l’abbiamo capito. Tutti e tutti insieme: il cambiamento climatico è un’emergenza. Domenica scorsa, 3 luglio, poco prima delle due di pomeriggio, sulla cima della Marmolada, un pezzo di ghiacciaio si è staccato ed è venuto giù a 300 chilometri all’ora. Il serracco della Punta Rocca era lungo 200 metri e largo una sessantina e nella discesa ha portato con sé, oltre ai blocchi di ghiaccio, anche pietre e terra.
Il distacco è stato causato dalle alte temperature, che hanno sciolto parte del ghiaccio che fissava la formazione alla cima della montagna: nei giorni precedenti all’incidente si erano registrati 10°C, una totale anomalia persino nel periodo estivo. Punta Rocca raggiunge i 3.300 metri sul livello del mare.
Tutte queste notizie le conosci già, ma è giusto metterle ancora una volta nero su bianco, a futura memoria. Sarebbe potuto succedere qualsiasi giorno, ma è capitato di domenica: gli escursionisti nella zona, come ogni weekend, erano tanti.
Il bilancio della tragedia è di 11 morti. Storie e vite che se ne sono andate in un istante, spazzate via da una valanga furiosa. Corpi straziati, irriconoscibili se non grazie a piccoli dettagli. Oggi, sabato 9, a Canazei, provincia di Trento, si celebreranno messe e funerali in loro ricordo.
Non possiamo attribuire direttamente al cambiamento climatico la causa di questo disastro naturale. Non bisogna confondere meteo (breve periodo) con il clima (lungo periodo). Quello che possiamo dire, però, è che il cambiamento climatico c’entra. C’entra sempre e c’entrerà sempre di più.
Come ho detto tante, ormai tantissime, volte il climate change ha un effetto moltiplicatore. È come una lente di ingrandimento. Intensifica. Accellera. Rende più frequente gli eventi meteo estremi. Non è un rapporto lineare: all’aumentare della temperatura media del Pianeta, gli effetti sul clima aumentano esponenzialmente: siccità, alluvioni improvvise, uragani, innalzamento dei mari, mutamenti di ecosistemi e biodiversità. Stanno già colpendo ovunque.
I ghiacciai sono la vittima predestinata dell’emergenza climatica. Questo perché sulle vette ghiacciate bastano davvero pochissimi gradi per cambiare completamente lo stato dell’acqua: superata la temperatura di 0°C, l’acqua passa da solida a liquida, scatenando effetti a catena a volte imprevedibili e velocissimi.
In cento anni i ghiacciai della Marmolada si sono ritirati per l’80% e nei prossimi 15-30 anni potrebbero addirittura scomparire. Una fine comune attende molti altri ghiacciai alpini: entro la fine del secolo il 92% del ghiaccio sulle Alpi potrebbe scomparire. Il Mediterraneo è una delle zone dove gli effetti del climate change sono più amplificati al mondo.
Non è un caso che molti scienziati definiscano i ghiacciai come il canarino nella miniera: il primo campanello d’allarme, il primo indicatore che le cose stanno cambiando.
Ho iniziato la puntata dicendo che “questa settimana l’abbiamo capito”. Ma più i giorni passavano, e più discutevamo dei fatti di Punta Rocca, più notavo un crescente riflusso: quando il mondo mainstream (istituzioni, media, politica) finalmente univa i puntini e parlava apertamente di disastro climatico, ecco che rispuntavano i negazionisti.
Ho scoperto che da settimane c’è una minoranza rumorosa di italiani che nega apertamente e senza paura la siccità, nega il cambiamento climatico e anzi grida al complotto (e alle scie chimiche). Minoranza che è dopo la Marmolada è stata ben rappresentata anche da certo giornalismo:
Stella Levantesi ha inquadrato bene il fenomeno su Internazionale con il suo pezzo Chi fa da megafono ai negazionisti climatici:
“Quanto ancora andranno avanti alcune piattaforme mediatiche a ospitare negazionisti climatici? Quanto tempo ancora verrà perso?”
Ho cercato una risposta a questa domanda. E penso che perdere meno tempo possibile la prima cosa da fare sia ammettere la sconfitta.
Abbiamo perso. Abbiamo perso come specie. L’homo sapiens è stato sconfitto. Abbiamo pensato per secoli di essere la specie dominante, il deus ex machina di ogni singolo angolo di mondo, di ogni pianta, di ogni animale, di ogni roccia e ogni goccia d’acqua.
La verità oggi è lampante: siamo come l’apprendista stregone della celebre metafora. Abbiamo evocato forze che non siamo più in grando di controllare. L’Antropocene, l’era dell’essere umano, come viene definita dagli scienziati, dove la nostra specie è un agente di cambiamento più forte di qualsiasi altro fenomeno naturale, è in realtà l’era dove noi siamo tanto carnefici quanto vittime.
La valanga siamo noi, ha scritto in questi giorni Antonio Scurati sul Corriere della Sera:
Siamo giunti a un punto di non ritorno e non soltanto sotto il profilo ambientale. Fino a ieri il surriscaldamento climatico era un’astrazione scientifica, ora è divenuto un dato esperienziale.
E poi:
Per millenni, nelle società tradizionali, l’umanità ha vissuto con lo sguardo rivolto all’autorità del passato, poi, a partire dalla Rivoluzione francese, venti generazioni di donne e di uomini hanno legittimamente sperato che la vita dei loro figli e nipoti potesse essere migliore della loro e di quella dei loro padri. Fu un’autentica rivoluzione dello sguardo, non più rivolto indietro ma avanti. Quelle donne e quegli uomini avevano scoperto il futuro. E hanno lottato per esso, lavorato duramente, trepidato e creduto. Infine, a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, il futuro è stato dimenticato, forse ripudiato, rimosso, abbiamo cominciato a vivere confinati nel mero presente, abbiamo smesso di alzare lo sguardo sull’orizzonte.
Siamo colpiti ma siamo anche colpevoli. Il cambiamento climatico non è un fenomeno accidentale, è causa nostra. Abbiamo usato troppi combustibili fossili – carbone, petrolio, gas – e così, liberando quantità enormi di gas serra nell’atmosfera, abbiamo fatto venire la febbre al mondo. E anche se lo sappiamo da decenni che il climate change funziona proprio così, non abbiamo fatto niente per fermarlo, e ora certo non facciamo abbastanza per invertire la rotta.
Non ci basterà, nei prossimi anni, comportarci meglio. Non basterà ridurre a zero le emissioni, convertire il nostro modo di produrre energia, non basterà una transizione ecologica. Dobbiamo costuire trincee: dobbiamo difenderci, dobbiamo adattarci.
Il mondo è già cambiato, il clima è già cambiato: noi siamo rimasti indietro. A piangere lacrime aride.
📰 I link
• Tassonomia europea. Il Parlamento Ue si è espresso nel annoso tema della tassonomia verde metano e nucleare: per Strasburgo le due fonti possono rimanere nell’elenco delle attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale coperte dalla cosiddetta tassonomia dell’Unione europea. Moltissimi ambientalisti sono insorti: il metano è di per sé un gas serra e ne produce molti quando viene bruciato (ma meno che petrolio e carbone); il nucleare non produce gas serra ma la gestione delle scorie rimane un tema complicato da risolvere. Politici e un’altra fetta di ambientalisti però sposano la scelta: è un compromesso necessario alla transizione ecologica, e alla complessa politica energetica europea. In alcuni Paesi il nucleare è fondamentale, come in Francia, mentre il gas è decisivo per altri Stati, su tutti la Germania.
Tre opinioni sul tema:
La tassonomia verde diventa grigia (Il Manifesto)
La via stretta d’Europa (Avvenire)
328 emuli di Crono (La Svolta)
L’Ue sbaglia ma non finisce qui (Stefano Ciafani di Legambiente su Repubblica)
• Chi vuole prendersi il mare. Le nuove tecnologie permettono lo sfruttamento delle acque internazionali e dei fondali oceanici, dove le leggi sono poche e nessuno le fa rispettare. Ti segnalo la cover story di Internazionale di questa settimana. (In edicola o, a pagamento, qui)
• Eco-Toker, la sostenibilità tema portante della generazione T, la community di TikTok. (ANSA)
• Tornando sul tema desalinizzazione dell’acqua: Siccità, anche l’Italia si cimenta con la desalinizzazione. Ma i problemi non mancano. (Lifegate)
• Paradosso: manca la CO2 per fare l’acqua gassata, perché costa troppo (produrla e stoccarla in bombole è un processo) particolarmente energivoro) e perché è cresciuta la richiesta delle strutture sanitarie, che la usano in diverse situazioni. Così alcune aziende che imbottigliano acqua frizzante o bevande gassate hanno dovuto interrompere la produzione (la più celebre è Sant’Anna). (La Stampa)
• Chi parlerà la lingua della flora. Uno studio scientifico mostra come l’estinzione delle lingue indigene minacci il patrimonio di conoscenze mediche legate all’uso delle piante curative. (La Svolta)
👇 La foto più bella
A chi è già in vacanza al mare dedico queste due foto. Sono tra le premiate al Best WildArt photography. Qui la gallery completa.
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO2: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
L’anno scorso ho fatto un podcast: Climateers, sulle pioniere e i pionieri dell’ambientalismo, che quest’anno è ripartito con un altro nome, Cambiamenti. Lo trovi su tutte le piattaforme.
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