La parola dell'anno? È “Phase-out” (non “Rizz”)
🌍 Il colore verde #185 Alla Cop di Dubai i negoziati entrano nella fase decisiva, e tutto ruota attorno all'eliminazione graduale dei combustibili fossili. Ma molti si oppongono
Hello! Stanno per arrivare le feste e io sono già in modalità natalizia ( ♪ it’s the most wonderful time of the year! ♪). Ogni mattina ascolto “Festa” di Andrea Bocelli, se non l’hai mai sentita te la consiglio.
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di Andrea Fioravanti. Parla di notizie complicate spiegate facile, partendo dall’inizio. Con Andrea ho lavorato qualche anno fa a La Stampa ed è il numero uno. Iscrivetevi qui.5️⃣ Come sta andando la COP28 di Dubai, in cinque punti
La Cop dovrebbe finire ufficialmente martedì. È possibile, però, che i negoziati vadano all’extra-time e il documento finale venga approvato con uno, due o tre giorni di ritardo. Vediamo.
I lavori sono entrati in una fase iper-tecnica: si cercano compromessi su ogni termine, ogni riferimento, ogni inclusione e omissione nel documento finale. Il testo deve trovare l’accordo di tutti, quindi è piuttosto complicato accontentare ogni Stato.
Una dovuta precisazione: nei giorni di Cop ci sembra che le decisioni della conferenza siano le più importanti della storia. Vero, ma anche falso: nel senso che poi sta agli Stati rispettare gli accordi, che sono vincolanti solo fin tanto che qualcuno ci crede. A Dubai, così come nelle precedenti 27 edizioni, si crea un po’ l’effetto gita: “Mi raccomando non perdiamoci di vista” e poi tutti tornano a casa e si perde la magia.
Penso io che il vero obiettivo delle Cop sia quello di agire sullo spirito del tempo — con piccoli passi o grandi balzi. Parigi 2015 con i suoi accordi fu un salto quantico, Cop27 dell’anno scorso gettò minime ma decisive basi per discutere di giustizia climatica e fondi per i Paesi vulnerabili. Quest’anno c’è effettivamente sul tavolo qualcosa, vediamo cosa resta quando finisce il negoziato.
Detto questo, ecco i cinque temi più importanti della settimana appena finita e dei prossimi giorni.
FONTI FOSSILI
Sì, forse, boh, no
È il grande enorme tema dell’anno (del secolo!): Che dobbiamo farcene di petrolio, gas e carbone? Nella bozza del documento finale ci sono ancora tutti i finali aperti, almeno quattro. Le frasi da tenere d’occhio sono quelle dove compare l’espressione phase-out, eliminazione graduale. Se per l’Oxford dictionary la parola dell’anno è Rizz, per noi è phase-out.
La versione più pulita e robusta è quella dell’eliminazione graduale secondo tutte le raccomandazioni possibili. Ovvero: “Phasing out of fossil fuels in line with best available science, the IPCC’s 1.5 pathways and the principles and provisions of the Paris Agreement”.
Ci sono poi versioni intermedie più diluite, ma c’è anche la quarta via, dove il phase-out neanche compare nel documento. Sarebbe una sconfitta, ma ricordiamoci che giochiamo fuori casa. Non solo perché la Cop è ospitata dagli Emirati che vivono di petrolio, ma anche perché quest’anno i lobbisti delle fonti fossili sono quasi 2500 (se fossero una delegazione, sarebbero la terza per grandezza), e perché ieri sera l’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio ha invitato tutti i suoi membri a respingere ogni accordo dove ci siano le paroline magiche phase-out.
→ Battaglia sulle parole alla Cop28 sul clima (Internazionale)
RINNOVABILI
un salto triplo nella produzione
Quello che mette tutti d’accordo, belli e brutti, è l’energia rinnovabile. Gli iper-ambientalisti sanno che deve crescere veloce, i Paesi inquinatori si tengono buoni solare ed eoliche perché puntano a un mix energetico globale dove rinnovabili e fossili vanno a braccetto. Più di cento Paesi si sono accordati per triplicare la produzione entro il 2030. L’obiettivo potrebbe finire anche nel testo finale, anche se c’è chi vuole che l’obiettivo sia unito al phase out del fossile.
Nel frattempo è uscito un report di Bloomberg, il Climatescope, che mostra come effettivamente una spinta rinnovabile ci sia nel mondo. Se sommiamo tutta la produzione elettrica globale a zero emissioni — solare, eolico, geotermico, idroelettrico, ma anche nucleare — arriviamo al 46% del totale.
→ Rivoluzione rinnovabili: nel mondo quattro quinti dei nuovi impianti per produrre energia sono verdi (mio su La Stampa)
AL JABER
La scienza e le caverne
Come ho scritto la settimana scorsa, è la Cop del Sultano Al Jaber. Nel bene e nel male. Ha un approccio molto aziendale ai negoziati, cerca risultati concreti, stringe tempi e tesse trame. Ma a volte, per presunzione o fretta, se ne esce con delle figuracce cosmiche.
Domenica è uscito un audio di Al Jaber dove dice: “Non c’è nessuna scienza che giustifichi il phase-out delle fonti fossili” (FALSO). E poi “se eliminiamo il petrolio torniamo nell’era delle caverne”. Ha pronunciato queste frasi durante una conferenza online, rispondendo a un’ex diplomatica americana. Era stizzito e nervoso, così ha dovuto passare i primi giorni della settimana a spiegare che non era esattamente quello che voleva dire.
(Pochi giorni prima la nostra premier Meloni aveva detto “Voglio una transizione ecologica, non ideologica”. Alè. A proposito di Italia: siamo stati “bocciati” dal report Legambiente-Germanwatch, che valuta gli impegni climatici dei Paesi. Nella loro classifica siamo scesi al 44° posto.)
→ Per fermare i negazionisti ci serve l’ideologia verde (un mio commento per La Stampa, qui in versione veloce su Instagram)
IL TESTO FINALE
Quattro pilastri
Ora la bozza del testo finale è lunga 27 pagine, piena di note. Mi è piaciuta una cosa che ha scritto Ferdinando Cotugno nella newsletter Areale per Domani (Cotugno è a Dubai), per veri nerd della letteratura:
Le bozze sono così piene di note e aggiunte da essere ingovernabili. Come le note di un romanzo di David Foster Wallace (spirito guida di questa COP28). Una transizione «giusta», o «ordinata», o «equa», o «rapida» o «graduale». E in che tempi? Ogni aggettivo spalanca un mondo, ogni tempo verbale è una prospettiva diversa.
Nel testo possiamo trovare almeno quattro pilastri.
• Mitigazione, che passa per cosa facciamo delle fonti fossili.
• Adattamento, con più risorse economiche e con la possibile richiesta all’Ipcc di studiarlo in un report ad hoc.
• Soldi, ovvero finanza verde da accelerare. Nuovi investimenti per cooperare con i Paesi in via di sviluppo (affinché trovino strumenti green per alimentare la loro crescita) e fondi per aiutare i Paesi già messi alle corde dal climate change
• Bilancio, ovvero il Global stocktake, che è il resoconto di quanto fatto fin qui, gli impegni presi, le promesse mantenute, le cose che mancano. Non tutti i Paesi sono felicissimi di darsi le pagelle, anche perché i voti sono piuttosto bassi.
→ Se non hai fretta, ci vediamo quando si chiude Cop e vediamo cosa si è deciso, se invece ami studiare le bozze, qui Jacopo Bencini, capo delegazione dell’Italian Climate Network alla Cop, ha analizzato il testo punto per punto.
CATTURA E STOCCAGGIO
il ruolo della tecnologia
Quest’anno si parla tantissimo anche delle tecnologie CCS, carbon capture and storage: cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Sono strumenti per assorbire la CO2 in eccesso direttamente dall’aria oppure prima che esca dagli impianti di combustione. Viene poi “pompata” sottoterra così che rimanga lì intrappolata.
Secondo i tecno-ottimisti si tratta della bacchetta magica che salverà il mondo; secondo i pessimisti è una distrazione, per i realisti serve, ma sarà marginale. L’agenzia internazionale per l’energia, tra i tecno-realisti, spiega che sì certo ci sarà bisogno di loro visto che inquiniamo senza sosta, ma credere che ci evitino il percorso di decarbonizzazione è «pura fantasia» (parole esatte di Fatih Birol a capo dell’Agenzia).
I Paesi ricchi di petrolio puntano sulla CCS, così come in parte fanno gli Stati Uniti (perché sanno che arrivare primi nella corsa tecnologica genera vantaggi competitivi a livello geopolitico). Un obiettivo sul tavolo a Dubai è quello di raggiungere quota 1,2 miliardi di tonnellate assorbite all’anno entro il 2030, un valore 25 volte superiore rispetto a quello attuale (45 milioni di tonnellate). A oggi emettiamo circa 35-38 miliardi di tonnellate all’anno di CO₂.
Ma secondo un nuovo rapporto dell’Università di Oxford, una forte dipendenza dalla CCS per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni intorno al 2050 sarebbe «dannosa dal punto di vista economico», con un costo superiore di almeno 30 mila miliardi di dollari rispetto a un percorso basato sulle energie rinnovabili. Per comprendere meglio l’enormità, la cifra di 30 mila miliardi di dollari è circa il doppio di quanto costerebbe la decarbonizzazione della Cina secondo le stime della Banca Mondiale.
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→ Come seguire la Cop ogni giorno: il think tank Ecco, l’associazione Italian Climate Network, la newsletter Areale di Ferdinando Cotugno per Domani, la cronaca e i reportage di Giacomo Talignani su Green&Blue. Aggiungo anche il podcast Un clima pesante di Lorenzo Tecleme (grazie a Federica Rossi per il consiglio). In inglese: Carbon Brief e Heated. Se ne hai altri consigliameli che li aggiungo.
🔎 LA STORIA: Pinguini riposini
Non me ne volere, ma in questi giorni ho scritto davvero troppi pezzi su Cop per La Stampa e ho bisogno di staccare un po’. Tra un pezzo e l’altro in redazione ricarico le energie con storie belle, anche se minuscole. Te ne racconto due, una dal Polo Sud e una dal Polo Nord.
Parto da Sud. Sull’Isola di Re Giorgio, 120 chilometri dall’Antartide, vivono i pigoscelidi antartici, una delle 18 specie di pinguini conosciuti. Questa settimana sono diventati improvvisamente famosi perché un gruppo di scienziati ha pubblicato uno studio sul loro comportamento. I ricercatori hanno scoperto che i pinguini fanno migliaia e migliaia di riposini, anche 10mila cicli di microsonno nel corso di un solo giorno.
Cito il Post, che ha scritto un lungo articolo sull’argomento:
Nella stagione della riproduzione i pinguini dividono le loro giornate tra i nidi dove covano le uova e l’oceano, dove vanno a caccia di cibo. Le coppie si scambiano spesso i ruoli, con turni in media di nove ore in acqua e di 22 ore per provvedere alla prole. È una routine impegnativa e faticosa, che i pigoscelidi antartici affrontano riposando 11 ore al giorno, in una miriade di microsonni che durano una manciata di secondi.
Perché dormono in questo modo tutto strano? I ricercatori ipotizzano che c’entri con la necessità di rimanere sempre vigili e protetti dai predatori. Il micro-riposino, per quanto breve, è in grado di riposare il cervello e il corpo pur garantendo un buon grado di sicurezza.
(Cari pigoscelidi, io vi invidio).
(
di spero non si arrabbi se gli rubo il mestiere per questo sabato. Anche lui ha raccontato la storia dei pinguini nella sua newsletter, e ne racconta tante e curiose ogni settimana!)📸 LA MIA FOTO PREFERITA
La seconda storia arriva dal Polo Nord, e in realtà è tutta racchiusa in una foto.
Coccole di ghiaccio. Un orso polare che riposa su un blocco di ghiaccio nell’arcipelago delle Svalbard: la foto è tra le più votate dal pubblico nel concorso Wildlife photographer of the year. Ma non è solo una foto meravigliosa, è uno scatto che ribalta il nostro immaginario: siamo abituati a vedere orsi emaciati su iceberg alla deriva, invece il nostro bell’orso se la gode tranquillo e sereno, cullato dalle onde dell’oceano.
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La comunità de Il colore verde ha un bosco di 250 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui. Se vuoi adottare un albero anche tu da ZeroCO₂, usa il codice ILCOLOREVERDE per uno sconto del 30%.
Insegno alla Scuola Holden di Torino e al Master di giornalismo della Luiss di Roma. Tengo anche dei corsi aperti, come “Progettare una newsletter” per Holden Pro.
Ho curato anche quattro podcast: Climateers (2021, Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), Verde speranza (Onepodcast/La Stampa) e Moltitudini (Laterza, 2023).
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