La lezione del Vajont, sessanta anni fa
🌍 Il colore verde #176 Un'intervista a Marco Paolini sul disastro del 9 ottobre 1963. Poi il Papa, gli attivisti e le cimici di Parigi.
Buongiorno!
Sono in treno direzione Lucca per il Pianeta Terra Festival. Partecipo a due incontri ma soprattutto presento una cosa nuova nuovissima che ho fatto insieme a Editori Laterza. Fino le ore 16 non posso fare spoiler (ma a te sì: è un podcast! 🤫).
5️⃣ ESSENZIALI
🙏Il Papa verde sta con gli attivisti radicali
Il Papa ha pubblicato il 4 ottobre, il giorno di San Francesco, il suo nuovo documento Laudate Deum. Qualche settimana fa l’avevo chiamato “il sequel di Laudato Si’”, la sua enciclica in difesa del Creato e dell’ambiente. In questo documento Bergoglio è stato molto specifico: citando dati e studi scientifici, riconosce che il cambiamento climatico non solo è evidente e causato dall’uomo, ma che non stiamo facendo abbastanza. Se la prende con il modello di crescita occidentale, sottolineando la questione della giustizia climatica e le forti diseguaglianze globali. E infine protegge gli attivisti radicali: “occupano uno spazio necessario nella società”. Come titola Domani, La Laudate Deum è una carezza del papa agli attivisti del clima.
🪧 I fridays son tornati in piazza, purtroppo sono sempre di meno
Mai nella storia c’è stato un così forte allineamento di pensieri: il Papa, le organizzazioni internazionali, gli attivisti dicono tutti la stessa cosa sul cambiamento climatico. Basta diseguaglianze e basta combustibili fossili.
Ieri il movimento Fridays for future è tornato in piazza per uno sciopero globale. “Siamo la resistenza climatica”, era uno dei principali slogan italiani. La partecipazione è stata buona, ma non è ai livelli di quattro anni fa, quando abbiamo conosciuto Fridays. Non è colpa dei presenti, ma probabilmente non tornerà mai a quei livelli. Dobbiamo iniziare a farci i conti: per diverse ragioni giovani + clima non rappresenta più un binomio automatico e indissolubile.
✊ Il congresso sulla giustizia climatica, a Milano
A proposito di attivismo e giustizia climatica, la prossima settimana Milano ospita il World Congress for Climate Justice. Ovvero una grande assemblea “contro il capitalismo fossile e la repressione del climattivismo”. Dal 12 al 15 ottobre all’Università Statale e negli spazi del Leoncavallo ariverrano 200 delegati da movimenti di giustizia climatica da tutto il mondo, insieme a movimenti e associazioni. Ci aspetta un “autunno caldo”, come scrive Caterina Orsenigo, tra le organizzatrici dell’evento. Qui il programma.
🍌 Fa un caldo da record che non ci sono più parole
Settembre è stato il settembre più caldo da quando misuriamo le temperature. Questo primo weekend di ottobre sembra in realtà il 68°giorno di agosto. A livello globale, a settembre 2023 la temperatura media dell’aria superficiale è stata di 16,38°C (dati Copernicus). Si tratta di 0,93°C in più rispetto alla media 1991-2020. Se poi viene paragonato a quello del 2020, che fino a ieri era primo in classifica, il settembre di quest’anno ha registrato mezzo grado in più.
Alcuni scienziati anglosassoni hanno definito questo caldo “gobsmackingly bananas”, traducibile come assurdamente pazzo (going bananas è una forma colloquiale per dire “impazzire”). Mi sembra un’ottima sintesi.
🪲 Le cimici del letto sono a Parigi
Una menzione speciale va alle cimici del letto, che ci hanno spaventato molto questa settimana. In Francia queste bestie piuttosto fastidiose hanno colpito l’11% delle famiglie francesi, si legge su Il Post, e Parigi sta vivendo una vera infestazione (e un po’ di paranoia social). La questione fotografa un problema più grande e universale: gli insetti prosperano sempre di più nelle grandi metropoli. C’entrano tanti fattori, tre in particolare vanno a braccetto: l’introduzione di specie aliene che diventano invasive, il surriscaldamento globale che offre migliori condizioni climatiche e la perdita di biodiversità, che elimina predatori naturali come gli uccelli. (Per chi si è lasciato prendere dal panico: ecco come evitare di entrare in contatto con le cimici dei letti.)
🔎 IL FOCUS: La lezione del Vajont, un disastro umano e non naturale
Il Vajont è parte del mio dna. Per la ferocia di quella tragedia, così imponente nella nostra memoria, italiana, friulana, veneta. Ma è nel mio dna anche per come è stata raccontata dai giornalisti Tina Merlin e Giampaolo Pansa con i loro reportage e inchieste dell’epoca, e dal’attore Marco Paolini e il suo monologo del 1993.
Lunedì 9 ottobre saranno sessantanni dal disastro del Vajont. Per chi non sa di cosa si tratta: nel 1959 viene inaugurata sui monti tra Veneto e Friuli, poco sopra Longarone, la diga del Vajont. All’epoca è la diga più grande del mondo e a reallizzarla è la Sade, Società Adriatica Di Elettricità, azienda privata che produce energia elettrica. Ma il Monte Toc che si trova dietro la diga, dove si forma il bacino d’acqua, è fragile, troppo fragile. Nella notte del 9 ottobre 1963, alle 22.39, dopo le forti piogge, si staccano dalla montagna 260 milioni di metri cubi di roccia, un volume doppio rispetto all’acqua del bacino. Si alza così un onda che supera di 250 metri l’altezza della diga e si schianta a valle. La diga resiste e l’onda spazza via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Anche Erto e Casso, che invece si trovano a monte, vengono devastati. 1913 morti.
Ci vorranno anni di indagi per stabilire che non fu una vendetta della natura ma tantissimi errori e negligenze umane. La Sade sapeva dei rischi e le fragilità della montagna e non fece nulla per evitare il disastro. Anzi, tacque.
Poco più di trent’anni fa il Disastro del Vajont è diventato un monologo teatrale, portato prima nei teatri e poi in tv dall’attore Marco Paolini. Non uno spettacolo, ma un fulgido esempio di testimonianza civile. A casa mia c’era la videocassetta, nel cofanetto Feltrinelli insieme al libricino. Spero che tu abbia avuto la possibilità di vederlo. (In caso, puoi recuperare lunedì sera — verrà ritrasmesso su Rai 5 alle 21.15)
Per l’anniversario ho intervistato Marco Paolini per La Stampa. Un privilegio. Il pezzo è uscito sul giornale cartaceo, e nella pagina successiva abbiamo ripubblicato lo storico reportage di quel giorno di Giampaolo Pansa, che iniziava così: “Scrivo da un paese che non esiste più”. Se faccio questo mestiere, è anche grazie a chi è venuto prima di me e ha saputo raccontare le grande ferite del mondo, depositandole nella nostra coscienza collettiva. Riporto qui l’intervista a Paolini.
Paolini, qual è la lezione del Vajont?
«Non compiere mai più gli errori del passato».
L’abbiamo imparato?
«Ci consoliamo attribuendo le colpe, celebrando la memoria. La storia del Vajont è quella di un avvenimento che inizia a poco a poco e poi accelera senza più freni. Inesorabile. Sono stati ignorati i segnali, che c’erano da almeno 3 anni, e quando si è preso coscienza del problema era troppo tardi. In questi tempi, dove rischio idrogeologico e crisi climatica sono ancora più forti, non si possono ripetere le stesse inerzie».
Il suo monologo ha trent’anni. Lunedì sera sarà riproposto in 136 teatri italiani. Vajonts, con la s plurale (qui la mappa completa degli eventi). La vicenda verrà resa attuale?
«Il monologo non ha bisogno di essere attualizzato, penso che quella storia ne contenga già delle altre: oggi chi lo ascolta pensa a se stesso, a ciò che accade ovunque. Il Vajont è qualcosa che ci tiene insieme, è un segno condiviso. Non siamo più gli stessi di 30 o 60 anni fa, oggi sappiamo, abbiamo letto i report, può accadere tutto su scala molto più grande».
Una storia universale?
«È come una tragedia classica. Per Vajonts siamo partiti dal basso, creando una rete di scopo, nessuno ci ha finanziato. Abbiamo scritto ai teatri e agli artisti per fare del teatro civile capace di dialogare con i cittadini».
Per dire cosa?
«Il compito di Vajonts non è affrontare le emergenze, ma fare prevenzione civile. Per farci sentire meno soli. È anche un invito al sistema teatrale, perché non si celebri solo la memoria. È una forma di resistenza. E di ribellione al destino».
Non ha paura che tanti spettacoli snaturino il progetto?
«No, anzi. Ogni teatro farà la sua versione, noi abbiamo dato un canovaccio, per il resto sono liberi. Abbiamo anche dato la possibilità di farlo a chiunque voglia da casa. Sul nostro sito internet sono arrivate richieste da tutto il mondo, così tante che è andato in tilt. Qualcosa del genere non è mai accaduto per un monologo teatrale, è l’effetto flashmob, ma questa non è un’azione muta. Si apre la bocca e si racconta a voce alta. L’oralità è la nascita della civiltà».
22,39. L’ora esatta della tragedia. Come la si spiega a chi non conosce la tragedia?
«Il momento esatto in cui l’acqua piomba su Longarone. Negli spettacoli di lunedì, tutti si fermeranno. All’epoca i giornali non sapevano nemmeno quante fossero le vittime, parlano di apocalisse nelle Alpi, Hiroshima del Cadore. L’acqua che scavalca la diga e arriva a valle farà alla fine 1.913 vittime. E proprio quella diga, ancora lì, ci fa credere che la forza della natura sia stata micidiale, che l’uomo non abbia responsabilità. Ci sono voluti anni e tante indagini per capire che non si tratta di disastro ambientale, è una definizione troppo ambigua, i francesi direbbero “disastro industriale”».
10 settembre 2023. A Derna, in Libia, due dighe crollano e l’acqua si mangia un’intera città. Ci sono similitudini con il Vajont?
«In quei giorni ciò che mi ha colpito di più è stata la nostra reazione. Al tempo del Vajont il primo pensiero di tutta Italia è stato: “Povera Longarone. Cosa possiamo fare per loro?”. Oggi il primo pensiero, ma anche il modo in cui è stata data la notizia sui tg, è stato: “Ora ci aspettano 46 mila migranti climatici in più”. Abbiamo registrato la notizia, un’immane tragedia, ma un attimo dopo ci siamo spaventati delle conseguenze a casa nostra».
Un ragionamento cinico, ma piuttosto diffuso.
«È un retro-pensiero, è la pancia che parla per noi, ma sarebbero cose indicibili. Non possiamo lasciare che l’amigdala, la ghiandola che gestisce le emozioni, abbia la meglio sulla corteccia prefrontale, la parte del cervello adibita ai pensieri sociali. Certo, le paure vengono prima della nostra cultura, ma non possono diventare la regola sdoganata».
La crisi climatica, però, aumenterà le migrazioni e in generale aumenterà l’incertezza. Come fare?
«Il clima determinerà spostamenti mostruosi, ma davanti a questo scenario l’argine che dobbiamo creare non è verso di loro, ma proprio verso l’amigdala, fermare il nostro spirito di autodifesa dal diverso. Dobbiamo ricostruire una dignità sociale».
Non le sembra una sfida persa in partenza?
«Se non sentiamo la solidarietà, almeno tacciamo la paura».
L’arte ha questo scopo? Andare oltre le nostre “impostazioni predefinite”?
«Non si possono offrire soluzioni. La forza della parola è quella di creare paradossi. Abbiamo un bisogno cane di investimenti in energie civili, di idee e dibattiti, che vadano contro negazionismo e demagogia. Sa cosa vorrei fare?».
Che cosa?
«Vorrei mettere diecimila scialuppe nelle città italiane. Non sulla riva del mare, ma in centro, nei parcheggi fuori dai teatri, nelle piazze. Chi se lo immaginava che sarebbero servite le scialuppe a Forlì, lo scorso maggio durante l’alluvione. Certo una scialuppa non avrebbe salvato nessuno la notte del Vajont. Ma oggi l’acqua arriva da sotto e la scialuppa è un guscio».
A cosa serve la scialuppa?
«Piazzarla in ogni città significa dire che non esiste più la terraferma e tutto è a rischio. Un’arca di Noè, per ricordarci che dobbiamo ancora salvarci».
📸 LA MIA FOTO PREFERITA
Un’orca in mezzo a un banco di arringe, nei mari tra i fiordi norvegesi, bella da matti. La foto è tra le vincitrici del Nature Photographer of the year. Qui la gallery.
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Insegno alla Scuola Holden di Torino e al Master di giornalismo della Luiss di Roma. Tengo anche dei corsi aperti, come “Progettare una newsletter” per Holden Pro. Il prossimo ciclo parte il 4 novembre. Con il codice ILCOLOREVERDE sconto del 10%.
Ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (Onepodcast/La Stampa).
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