“Sogno la pioggia ogni notte”
🌍 Il colore verde #134: Una puntata speciale, dal Kenya. Dove manca l'acqua e crescono le malattie infettive. Ma dove rinasce, grazie alle donne, la speranza
Ciao, e buon martedì!
Scusa il ritardo. Ti scrivo di ritorno dal Kenya. Ho passato una settimana con la onlus Amref e con Fabio Bellumore, che si occupa della comunicazione di Amref Italia (e che ringrazio di cuore). Siamo stati nella contea di Isiolo per capire come quell’angolo di mondo, stretto nella morsa della siccità estrema, può sfidare le sorti dell’emergenza climatica, ambientale e sanitaria. Un viaggio incredibile.
La puntata che stai per leggere è un po’ speciale. Lo è per me e spero lo sia anche per te. Il testo che trovi qui sotto è una versione più breve del mio reportage che oggi è uscito su La Stampa. Se passi da un’edicola compra una copia, siamo in prima pagina!
Buona lettura e ci risentiamo sabato, quando Il colore verde tornerà al suo solito formato.
La sete del Kenya, dove la pioggia non cade più
C’era una volta l’acqua. Oggi rimangono i corpi degli animali morti di sete e fame. Carcasse ovunque. La contea di Isiolo – che si estende dal centro del Kenya verso il nord-est, dove negli ultimi sei mesi sono piovuti meno di 10 millimetri di pioggia – ne è piena. Lungo le strade sterrate, in mezzo ai campi siccitosi. Vacche, capre, asini e cammelli. Ci sono anche i sopravvissuti: bestie irriconoscibili. Scheletri uniti da pelle sbiadita, piena di segni e ferite. I cammelli hanno perso la gobba, sembrano un macabro scarabocchio di un bambino che non ne ha mai visto uno. È il nuovo orrido spettacolo del cambiamento climatico.
La siccità qui non ha precedenti: se prima pioveva poco, ora non piove più. È la differenza tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Nel centro e nel nord est del Kenya, sopra la linea dell’Equatore, si sta concludendo il terzo anno consecutivo con piogge sotto la media, il sesto anno negli ultimi dieci. I pastori più anziani ripetono tutti la stessa cosa: «Una volta pioveva poco, ma bastava. Ora senza acqua non sappiamo più cosa fare», dice Galgalo Jadesa, a capo della comunità di Gafarsa, remota località a 160 chilometri da Isiolo.
Il meteo estremo non colpisce solo il bestiame. La malnutrizione infantile è cresciuta esponenzialmente negli ultimi mesi: tra agosto e ottobre sono saliti del 30% i casi di malnutrizione moderata registrati nell’ospedale di Isiolo; del 60% i casi di malnutrizione grave.
Non bastano più gli integratori alimentari che arrivano dagli aiuti internazionali. Lo fa capire Yare Jattani Huka, di Gafarsa, 37 anni, due figli e un marito che se ne è andato:
«Gli integratori finiscono subito. Me li danno solo per il figlio più piccolo, ma io devo dividerli con l’altro figlio. Li dividevo anche con l’unica capra che avevo, ma lo scorso mese è morta».
Siccità significa anche malattie infettive: tra gli animali e tra gli esseri umani. Un esempio su tutti, la leishmaniosi. «Non era mai stata registrata in questa zona del Kenya. Ma negli ultimi sei mesi c’è stata un’epidemia spaventosa: 150 casi in poche settimane, 10 morti», spiega Soransora Tadicha, che coordina il reparto dell’ospedale di Isiolo dedicato alle malattie tropicali e le zoonosi. «Dopo le indagini abbiamo capito cosa è successo: nei fiumi secchi si creano delle crepe, buie e umide. Qui sono migrati i pappataci, i vettori del kala azar». Kala-azar, questo il nome popolare della leishmaniosi che significa “malattia nera”.
Nella contea sono aumentati i casi di brucellosi, di febbre della Rift Valley e febbre gialla. Anthony Odhiambo, 40 anni, project manager keniota per la onlus Amref, mette a fuoco la questione:
«Il 75% delle malattie della contea è di origine animale. È un dato fondamentale per capire come rispondere all’emergenza. La siccità sta mettendo a rischio la sicurezza alimentare e quella sanitaria. Ecco perché la risposta deve essere olistica, e comprendere tutto».
Amref sta intervenendo seguendo l’approccio One Health, una salute, un approccio medico che mette insieme tre facce della salute: animale, umana e ambientale. Il contributo di Amref quindi non si vede nelle infrastrutture o nei semplici aiuti a paracadute, ma nel supporto che parte dal basso. Nelle comunità coinvolte dal progetto One Health, Amref ha messo a disposizione un’unità mobile che raggiunge i pastori per curare tanto gli animali quanto gli uomini. Hanno poi fornito delle piccole stazioni meteo affinché le comunità registrino piogge e temperature autonomamente, e possano avere (e fornirci) un’idea precisa del microclima. Amref e i suoi partner supportano degli incontri mensili dove organizzazioni e membri della comunità affrontino collettivamente i problemi e segnalino lo scoppio di epidemie. E infine hanno dato il via a dei gruppi di supporto tra le madri dei villaggi.
Ed è proprio questa una delle chiavi per capire il futuro di queste comunità: il ruolo delle donne. Perché sono loro a rimanere nei villaggi aridi, mentre i mariti sono nei pascoli lontani. Hanno responsabilità nuove, difficili. Ma affrontandole porta idee nuove. A Leparua, una comunità a est di Isiolo, dove è piovuto negli ultimi tre giorni di novembre, si prova a rinascere. Se la pastorizia non basta più, è tempo di coltivare. Sono nati i kitchen garden (giardini domestici): piccoli orti dietro casa, dove coltivare verdure e frutta. Christine Nkaai Mainge, 25 anni, e Margaret Naiku Kortol, 27 anni raccontano la novità con orgoglio:
«Ci scambiamo i consigli a vicenda. Coltiviamo spinaci, patate, amaranto, peperoni. Prima pensavamo che le verdure facessero venire i vermi allo stomaco. Ora però vediamo i nostri figli più sani, più robusti».
Sembrano sfide impossibili al tavolo di un gioco truccato dal cambiamento climatico. Ma la partita non è ancora persa: forse c’è un modo per non dover migrare da queste zone inospitali.
Anche perché in questo angolo di mondo, dove milioni di anni fa è nata l’umanità, basta un giorno di pioggia per cambiare tutto, per trasformare la terra da marrone arido a verde speranza: «Io sogno la pioggia ogni notte», dice Margaret. «È una benedizione», «un miracolo». Non è un caso che qui, quando si avvicinano nuvoloni pieni d’acqua, si dica: «È arrivato il bel tempo».
Se vuoi fare una donazione ad Amref questo è il loro sito.
🇰🇪 Un ultimo dietro le quinte
Voglio concludere con un retroscena un po’ fantozziano. Quando raggiungevamo il lontano villaggio di Gafarsa, un viaggio di 4 ore all’andata e quattro al ritorno attraversando il nulla del Kenya centrale a bordo di una jeep, abbiamo bucato la gomma. Dopo solo un’ora dalla nostra partenza. E poi abbiamo bucato di nuovo, un’altra ora dopo. Avevamo due ruote di scorta, quindi alle 9 di mattina erano finite già tutte. Dopo un’altra ora, arrivati in un villaggio intermedio, ne abbiamo recuperata una terza con una serie di baratti. Ma grazie al cielo non abbiamo avuto altri incidenti.
L’autista della nostra jeep è sempre intervenuto prontamente, ma a un certo punto l’ho aiutato. E questa foto la mostrerò fiero ai miei nipoti. Non avevo mai cambiato una gomma in vita mia.
💚 Grazie!
Se sei arrivat* fin qui sotto, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. La newsletter esce ogni sabato, feste incluse. Nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
Da quando mi occupo di ambiente, ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, prodotto da Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (2022, Onepodcast/La Stampa).