John Vaillant: “Il nuovo triangolo del fuoco: uomo, clima e fonti fossili”
Intervista allo scrittore nordamericano, autore del libro "L'Età del Fuoco" uscito per Iperborea: "Gli incendi rivelano chi siamo e mostrano le nostre colpe"
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«Il fuoco rivela chi siamo», afferma John Vaillant per mostrare quale sia il cuore pulsante del suo ultimo libro, L’Età del fuoco, pubblicato in estate per Iperborea (titolo originale: Fire Weather). Non esiste nulla che sia allo stesso tempo biologicamente inanimato e così vivo come il fuoco. In inglese per riferirsi a un incendio incontrollato si usa la parola wildfire: fuoco selvaggio. Una bestia che si muove furiosa e divora tutto. Lo scrittore americano-canadese racconta uno dei più grandi incendi della storia, quello che ha colpito Fort McMurray, Alberta, Canada, nel maggio 2016 costringendo centomila persone a fuggire dalle proprie case. Un incendio incontrollabile — sarà dichiarato estinto 15 mesi dopo — che divampa prima nella foresta boreale secca a causa del cambiamento climatico e poi arriva alla città, incenerendo e vaporizzando interi quartieri. Le fiamme raggiungono anche il giacimento di sabbie bituminose dell’Athabasca, dove si estrae bitume e si raffinano derivati del petrolio, costringendo le aziende a chiudere per la prima volta i pozzi. «Ci è voluta la fine del mondo per fermare le aziende petrolifere».
Vaillant, in questa storia c’entra anche l’Italia. Era qui quando ha deciso di scrivere questo libro. Qual è stata la scintilla?
«Nella primavera 2016 mi trovavo a Donnini in Toscana in un ritiro per scrittori, lavoravo al mio romanzo (The Jaguar’s Children) in questa vecchia torretta romana. Un giorno ho avuto la malaugurata idea di collegarmi a Twitter e lì ho scoperto che in Alberta, non molto lontano da dove vivo, c’era questo enorme incendio. L’Alberta è il Texas del Canada, è pieno di giacimenti. La storia mi ha colpito nel profondo e ho pensato: se oltre alle notizie avanzerà qualcosa da raccontare, si rivelerà a me».
E come si è rivelata?
«In sogno, proprio in quei giorni. Il sogno, e in un certo senso l’Italia, mi ha mostrato la via, accorciando la distanza tra la mente e la musa. Il fuoco era divampato anche nel mio inconscio. Ho sognato una montagna, probabilmente il Cervino, con quattro picchi e per ognuno c’era uno scalatore che risaliva. Ho capito che per raccontare questa storia dovevo raccontare le sue molteplici facce, unendo il comportamento del fuoco, la scienza del cambiamento climatico, le aziende petrolifere e l’essere umano che agisce nella crisi».
Le fiamme del 2016 sono state un presagio di un Pianeta sempre più caldo e caotico. Il suo è un libro sull’apocalisse?
«Non avrei mai potuto scrivere un libro così se fossi stato un fatalista. Ma è evidente che stiamo ricevendo dei segnali insistenti che ci invitano a rinegoziare il nostro rapporto con la natura».
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