L’inevitabilità della guerra
🌍 Il colore verde #97: Il conflitto non è una forza naturale, spiega lo storico Yuval Noah Harari. Avremo mai la possibilità di diventare una specie rigenerativa?
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Una settimana fa non avremmo mai pensato di trovarci dove siamo ora, con una guerra alle porte dell’Europa. Dato questo scenario – così violento, inspiegabile, convulso – è difficile parlare di ambiente, e oggi infatti lo tratterò solo lateralmente.
Di fronte alla violenza cambia improvvisamente la percezione delle nostre esistenze: per un attimo o per sempre – a seconda di quanto sia distante da noi il conflitto – ritorniamo finiti, mortali e fragilissimi. In lotta per la sopravvivenza, scappare o fuggire. Qualsiasi progetto per il futuro svanisce: ci penseremo una volta usciti dal tunnel.
Stiamo vivendo in uno dei periodi più pacifici della storia recente dell’umanità, pur tuttavia negli ultimi decenni continuano a scoppiare piccoli e grandi conflitti, capaci di creare ferite enormi ai popoli coinvolti e di riflesso al mondo intero.
Ancora oggi, la pace ci sembra sempre fragile e la guerra sempre inevitabile.
Sull’Economist lo storico Yuval Noah Harari ha provato ad analizzare il conflitto Russia-Ucraina.
Al cuore della crisi Ucraina si trova una questione fondamentale riguardo la natura umana e la nostra storia: il cambiamento è possibile? Possiamo cambiare il nostro comportamento? O la storia non fa altro che ripetersi e gli esseri umani sono per sempre condannati a ripetere le tragedie del passato senza cambiare nulla, eccetto gli arredamenti?
È un dubbio attuale, che si riflette anche sui comportamenti fondativi dell’homo sapiens: siamo la specie che più distrugge – e ha distrutto – di tutto il regno dei viventi. Abbiamo possibilità di diventare una specie capace di rigenerare? O il nostro patrimonio culturale e genetico ci rende impossibile liberarci della legge del più forte?
Continua Harari:
Una scuola di pensiero nega fortemente la possibilità di cambiamento, sostenendo che il mondo è una giungla, dove chi è forte preda chi è debole e dove la supremazia militare è tutto ciò che previene dall’essere aggrediti.
Un’altra scuola di pensiero sostiene invece che la legge della giungla non è per nulla una legge naturale. L’hanno creata gli esseri umani, e gli esseri umani possono cambiarla. Al contrario di alcuni diffusi pregiudizi, le prime prove di guerra organizzata risalgono appena a 13.000 anni fa. E anche dopo questa data ci sono stati molti periodi dove l’archeologia non ci dà traccia di conflitti. L’esistenza della guerra, così come la sua intensità, dipende da fattori tecnologici, economici e culturali sottostanti. Come cambiano questi fattori, cambia anche la guerra.
L’articolo integrale – e in inglese – qui.
L’invasione russa in Ucraina si può spiegare con tante ragioni diverse: la mania di Putin, i precedenti storici, le questioni geopolitiche. C’è anche una questione di risorse: territorio, campi, minerali, gas e approvvigionamenti.
Ci siamo accorti di quanto il conflitto abbia ripercussioni sulle nostre economie e sulle nostre reti energetiche: l’Italia dipende al 40% del suo mix energetico dal gas che arriva dalla Russia e passa dall’Ucraina. Addirittura ieri Draghi in Parlamento ha suggerito che si possa «riaprire le centrali a carbone per compensare il gas russo».
Ma mentre analizziamo tutti questi dati, e iniziamo a fare la conta di morti, feriti, città cadute – già assuefatti dagli eventi –, non dobbiamo perderci dalla riflessione più ampia: far scoppiare una guerra è una scelta. È sempre una scelta. Non è un destino, non è una strada a senso unico.
Se, quando e come si concluderà questo conflitto determinerà la direzione dell’umanità molto più di quanto crediamo. Perché potrebbe ritrasformare l’Europa (e poi il mondo) in uno scacchiere iper-militarizzato.
Nell’agosto 2020 uscì su Nature uno studio della ricercatrice Denis Garcia intitolato: “Reindirizzare i budget militari per affrontare la crisi climatica e la pandemia”. Un messaggio utopistico, ma anche molto concreto: solo nel 2020 gli Stati hanno speso 1,98 mila miliardi di dollari per i loro eserciti e i loro armamenti, un numero che cresce di anno in anno invece che diminuire. Per fare un confronto, seppur spurio: quanto è stato investito nello stesso anno per combattere il climate change? 632 miliardi, un terzo. Il parallelo fa intuire quanto profondo sia l’abisso.
Se distruggiamo vuol dire che non stiamo sistemando le cose. Ma è vero anche il contrario: quando diventeremo una specie rigenerativa, vuol dire che non staremo più facendo la guerra. E lo so che sembra un eco-pacifista hippie. Ciò che dico non è molto lontano dal motto “mettete fiori nei vostri cannoni”. Però Harari nel suo pezzo lascia una frase che sarebbe da ripetere in ogni angolo di mondo:
«A differenza della gravità, la guerra non è una forza della natura».
📰 Link, Link, Link
• Tre persone su quattro, nel mondo, vorrebbero abolire già ora e ovunque la plastica monouso, secondo un sondaggio Ipsos realizzato con un campione di 20.000 persone. In Italia il dato sale all’83%. Il 28 febbraio a Nairobi si terrà la quinta assemblea dell’Assemblea sull’ambiente delle Nazioni unite: qui gli Stati potrebbero raggiungere un accordo sul divieto della plastica monouso nel mondo: sarebbe un risultato pari agli accordi di Parigi, sostengono molti.
• Nel 2050 gli incendi saranno il 30% più frequenti, e del 50% nel 2100. Lo sostiene un nuovo rapporto dell’Unep, l’agenzia dell’Onu dedicata all’ambiente, spiegando che la causa è il riscaldamento globale. «Climate change e incendi si stanno mutualmente esacerbando». Gli incendi non solo cambieranno la geografia di intere aree, città e Stati, ma influenzano anche l’atmosfera: la combustione produce gas serra e soprattutto inquinamento atmosferico.
• Chi sa a cosa corrisponde una tonnellata di CO2? Se non impariamo a conoscere i numeri della crisi climatica, non capiremo mai fino a che punto ci troviamo nei guai. Un bel pezzo di Edoardo Vigna per Corriere 2030.
• Mini documentario di 13 minuti: “La sopravvivenza dei pigmei del Congo è in pericolo”. Vivono in simbiosi con la natura della foresta dell’Africa centrale, ma la loro cultura non è integrata nelle moderne società africane. E così tra deforestazione e accaparramento di terra, rischiano di scomparire. Su Internazionale.
• Come seimila tonnellate di rifiuti italiani esportati in Tunisia sono tornate in Campania. Un’inchiesta di Sara Manisera e Arianna Poletti su Green and Blue. (Online è a pagamento, altrimenti è in edicola con Repubblica il 3 marzo).
• Tra i tanti effetti delle temperature che crescono se ne aggiunge ancora una: aumentano i casi di ricoveri d’emergenza per disturbi mentali. Stress, schizofrenia, abuso di medicinali o droghe. Lo studio è stato realizzato negli USA, nei giorni in cui la temperatura era del 5% più alta delle temperatura media, i ricoveri salgono in media dell’8%. Lo studio dell’Università di Boston.
👇 La foto più bella
Pecore sul picco del mondo, che sembrano tantissimo la nostra strana umanità. Un bellissimo foto-reportage su una famiglia di pastori nomadi delle dolomiti. Un progretto del fotografo Bruno Zanzottera e l’antropologa Elena Dak, pubblicato dal Guardian.
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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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