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L’inevitabilità della guerra
nicolaslozito.substack.com

L’inevitabilità della guerra

🌍 Il colore verde #97: Il conflitto non è una forza naturale, spiega lo storico Yuval Noah Harari. Avremo mai la possibilità di diventare una specie rigenerativa?

Nicolas Lozito
Feb 26
9
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L’inevitabilità della guerra
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Il colore verde è una newsletter settimanale sulla crisi climatica e sulla sostenibilità. Esce ogni sabato e iscriversi è gratuito:


Una settimana fa non avremmo mai pensato di trovarci dove siamo ora, con una guerra alle porte dell’Europa. Dato questo scenario – così violento, inspiegabile, convulso – è difficile parlare di ambiente, e oggi infatti lo tratterò solo lateralmente.

Di fronte alla violenza cambia improvvisamente la percezione delle nostre esistenze: per un attimo o per sempre – a seconda di quanto sia distante da noi il conflitto – ritorniamo finiti, mortali e fragilissimi. In lotta per la sopravvivenza, scappare o fuggire. Qualsiasi progetto per il futuro svanisce: ci penseremo una volta usciti dal tunnel.

Stiamo vivendo in uno dei periodi più pacifici della storia recente dell’umanità, pur tuttavia negli ultimi decenni continuano a scoppiare piccoli e grandi conflitti, capaci di creare ferite enormi ai popoli coinvolti e di riflesso al mondo intero.

Ancora oggi, la pace ci sembra sempre fragile e la guerra sempre inevitabile.

Sull’Economist lo storico Yuval Noah Harari ha provato ad analizzare il conflitto Russia-Ucraina.

Al cuore della crisi Ucraina si trova una questione fondamentale riguardo la natura umana e la nostra storia: il cambiamento è possibile? Possiamo cambiare il nostro comportamento? O la storia non fa altro che ripetersi e gli esseri umani sono per sempre condannati a ripetere le tragedie del passato senza cambiare nulla, eccetto gli arredamenti?

È un dubbio attuale, che si riflette anche sui comportamenti fondativi dell’homo sapiens: siamo la specie che più distrugge – e ha distrutto – di tutto il regno dei viventi. Abbiamo possibilità di diventare una specie capace di rigenerare? O il nostro patrimonio culturale e genetico ci rende impossibile liberarci della legge del più forte?

Truppe ucraine su una delle principali strade che portano al centro di Kiev (foto Gleb Garanich/Reuters)

Continua Harari:

Una scuola di pensiero nega fortemente la possibilità di cambiamento, sostenendo che il mondo è una giungla, dove chi è forte preda chi è debole e dove la supremazia militare è tutto ciò che previene dall’essere aggrediti.

Un’altra scuola di pensiero sostiene invece che la legge della giungla non è per nulla una legge naturale. L’hanno creata gli esseri umani, e gli esseri umani possono cambiarla. Al contrario di alcuni diffusi pregiudizi, le prime prove di guerra organizzata risalgono appena a 13.000 anni fa. E anche dopo questa data ci sono stati molti periodi dove l’archeologia non ci dà traccia di conflitti. L’esistenza della guerra, così come la sua intensità, dipende da fattori tecnologici, economici e culturali sottostanti. Come cambiano questi fattori, cambia anche la guerra.

L’articolo integrale – e in inglese – qui.

L’invasione russa in Ucraina si può spiegare con tante ragioni diverse: la mania di Putin, i precedenti storici, le questioni geopolitiche. C’è anche una questione di risorse: territorio, campi, minerali, gas e approvvigionamenti.

Ci siamo accorti di quanto il conflitto abbia ripercussioni sulle nostre economie e sulle nostre reti energetiche: l’Italia dipende al 40% del suo mix energetico dal gas che arriva dalla Russia e passa dall’Ucraina. Addirittura ieri Draghi in Parlamento ha suggerito che si possa «riaprire le centrali a carbone per compensare il gas russo».

Ma mentre analizziamo tutti questi dati, e iniziamo a fare la conta di morti, feriti, città cadute – già assuefatti dagli eventi –, non dobbiamo perderci dalla riflessione più ampia: far scoppiare una guerra è una scelta. È sempre una scelta. Non è un destino, non è una strada a senso unico.

Se, quando e come si concluderà questo conflitto determinerà la direzione dell’umanità molto più di quanto crediamo. Perché potrebbe ritrasformare l’Europa (e poi il mondo) in uno scacchiere iper-militarizzato.

Nell’agosto 2020 uscì su Nature uno studio della ricercatrice Denis Garcia intitolato: “Reindirizzare i budget militari per affrontare la crisi climatica e la pandemia”. Un messaggio utopistico, ma anche molto concreto: solo nel 2020 gli Stati hanno speso 1,98 mila miliardi di dollari per i loro eserciti e i loro armamenti, un numero che cresce di anno in anno invece che diminuire. Per fare un confronto, seppur spurio: quanto è stato investito nello stesso anno per combattere il climate change? 632 miliardi, un terzo. Il parallelo fa intuire quanto profondo sia l’abisso.

Una giovane coppia dentro un bunker di Kiev: si sono sposati negli scorsi giorni e subito dopo si sono arruolati nelle forze civili (foto Mikhail Palinchak/EPA)

Se distruggiamo vuol dire che non stiamo sistemando le cose. Ma è vero anche il contrario: quando diventeremo una specie rigenerativa, vuol dire che non staremo più facendo la guerra. E lo so che sembra un eco-pacifista hippie. Ciò che dico non è molto lontano dal motto “mettete fiori nei vostri cannoni”. Però Harari nel suo pezzo lascia una frase che sarebbe da ripetere in ogni angolo di mondo:

«A differenza della gravità, la guerra non è una forza della natura».


📰 Link, Link, Link

• Tre persone su quattro, nel mondo, vorrebbero abolire già ora e ovunque la plastica monouso, secondo un sondaggio Ipsos realizzato con un campione di 20.000 persone. In Italia il dato sale all’83%. Il 28 febbraio a Nairobi si terrà la quinta assemblea dell’Assemblea sull’ambiente delle Nazioni unite: qui gli Stati potrebbero raggiungere un accordo sul divieto della plastica monouso nel mondo: sarebbe un risultato pari agli accordi di Parigi, sostengono molti.

• Nel 2050 gli incendi saranno il 30% più frequenti, e del 50% nel 2100. Lo sostiene un nuovo rapporto dell’Unep, l’agenzia dell’Onu dedicata all’ambiente, spiegando che la causa è il riscaldamento globale. «Climate change e incendi si stanno mutualmente esacerbando». Gli incendi non solo cambieranno la geografia di intere aree, città e Stati, ma influenzano anche l’atmosfera: la combustione produce gas serra e soprattutto inquinamento atmosferico.

• Chi sa a cosa corrisponde una tonnellata di CO2? Se non impariamo a conoscere i numeri della crisi climatica, non capiremo mai fino a che punto ci troviamo nei guai. Un bel pezzo di Edoardo Vigna per Corriere 2030.

• Mini documentario di 13 minuti: “La sopravvivenza dei pigmei del Congo è in pericolo”. Vivono in simbiosi con la natura della foresta dell’Africa centrale, ma la loro cultura non è integrata nelle moderne società africane. E così tra deforestazione e accaparramento di terra, rischiano di scomparire. Su Internazionale.

• Come seimila tonnellate di rifiuti italiani esportati in Tunisia sono tornate in Campania. Un’inchiesta di Sara Manisera e Arianna Poletti su Green and Blue. (Online è a pagamento, altrimenti è in edicola con Repubblica il 3 marzo).

• Tra i tanti effetti delle temperature che crescono se ne aggiunge ancora una: aumentano i casi di ricoveri d’emergenza per disturbi mentali. Stress, schizofrenia, abuso di medicinali o droghe. Lo studio è stato realizzato negli USA, nei giorni in cui la temperatura era del 5% più alta delle temperatura media, i ricoveri salgono in media dell’8%. Lo studio dell’Università di Boston.


👇 La foto più bella

Pecore sul picco del mondo, che sembrano tantissimo la nostra strana umanità. Un bellissimo foto-reportage su una famiglia di pastori nomadi delle dolomiti. Un progretto del fotografo Bruno Zanzottera e l’antropologa Elena Dak, pubblicato dal Guardian.

(Foto di Bruno Zanzottera)

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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:

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