Il gatto di Schrödinger ha caldo
🌍 Il colore verde #241 L’anno 2050 è più vicino del 2000. La crisi climatica accelera nel disinteresse generale. Così i possibili scenari futuri sono sempre di meno
Buongiorno e ben ritrovati! Torno dalla lunga pausa con una puntata speciale. Ci serve a rimetterci in pista: in un’estate così bollente Il colore verde ci servirà per le notizie, le analisi, il ragionamento e il confronto. Per la resistenza e la speranza. Non so ancora con che cadenza e che giorno mi farò sentire. Il sabato è davvero diventato troppo saturo di newsletter. Ma intanto… Buona lettura!
Parentesi che mescola newsletter e calcio: benvenuta alla neonata newsletter di Spogliatoio, scritta da Emanuele Corazzi. Emanuele e io ci siamo conosciuti grazie a e abbiamo capito di condividere un sacco di passioni.
Non so voi, ma io sono una di quelle persone che pensa che il passato sia molto più vicino di quanto realmente sia. Che gli Anni ’80 siano vent’anni fa e non quaranta, che il 2000 sia dietro l’angolo, che il Mondiale vinto dall’Italia nel 2006 non sia poi così trapassato. Forse è fenomeno tipico dell’età adulta: guardando all’indietro tutto sembra più vicino. Come scrivono negli specchietti retrovisori americani: Objects in the mirror are closer than they appear.
Immaginatevi quindi il mio stupore quando, il 2 luglio, metà esatta dell’anno, ho scoperto che ora siamo più vicini al 2050 che al 2000. Se sono qui oggi, a riscrivere Il colore verde dopo oltre due mesi di stop, è per questa scoperta (e perché Vitalia ha insistito molto ❤️).
IL PARADOSSO QUANTISTICO
In questi anni abbiamo usato il 2050, traguardo di metà secolo, come il parcheggio delle nostre promesse impossibili. La questione climatica è l’esempio più lampante: per il 2050 moltissimi Paesi e migliaia di aziende hanno promesso emissioni zero; gli accordi internazionali puntano tutti al 2050 per ridurre gas serra e surriscaldamento globale, per il 2050 tutti vogliono riempire il globo di rinnovabili. Il 2050 sembrava sufficientemente lontano da garantire infiniti futuri possibili.
Un futuro quantistico, come nel famoso paradosso del gatto di Schrödinger: chiuso in una scatola, il gatto è al tempo stesso vivo e morto, almeno finché non si apre il contenitore. Per rimanere nel ragionamento di meccanica quantistica: il 2050 ci appare come un sistema che, fin tanto che non viene osservato, si trova in una sovrapposizione degli stati “evento avvenuto–non avvenuto”.
Dal 2 luglio 2025 però dobbiamo fare i conti con una realtà: le combinazioni possibili, gli scenari immaginabili, si sono ridotti. Ed è bene iniziare a sbirciare nella scatola e vedere come sta il gatto, che nella metafora quantistica siamo noi esseri umani.
Le probabilità che qualcosa accada o non accada non sono più alla pari. Oggi sappiamo bene che nel 2050 ci sono più probabilità di una guerra (o di uno scenario post-bellico) rispetto a quelle che immaginavamo 25 anni fa, o anche solo 5 anni fa. Sappiamo, dal Covid in poi, che è possibile il ritorno di una pandemia, e che abbiamo tecnologie e risorse sufficienti a sviluppare vaccini su scala globale. Sappiamo che sarà ancora impossibile sconfiggere del tutto la fame, visti gli insuccessi degli ultimi decenni; ma anche che l’obesità sarà sempre più dilagante.
UN VIRUS COME CURA
Arrivo presto alla questione climatica, permettetemi ancora una digressione, perché non ha senso focalizzarci solo sulle brutte notizie. Qualche giorno fa ho conosciuto Luigi Naldini, dottore e direttore dell’Istituto Telethon dell’Ospedale San Raffaele di Milano. È il pioniere della terapia genica in Italia. A fine degli anni ’90 ha iniziato dei test che sembrano folli: ha preso il virus dell’Hiv e ha provato ad “addomesticarlo”. Pensava di togliere le componenti dannose del virus e trasformarlo in un vettore per curare malattie genetiche rare. Il virus, ipotizzava lui, poteva essere un cavallo di Troia, entrare con forza nella cellula portando con sè pezzi di codice genetico che servono a correggere le stringhe di Dna errate. Le malattie genetiche rare sono spesso frutto di un’imperfezione minima, ma decisiva, del codice genetico. Pochissime lettere del Dna che, ipotizzava Naldini, possono essere “aggiustate” con una terapia su misura paziente per paziente. E poi lo stesso metodo può essere applicato anche a tumori più comuni.
Per preparare l’intervista ho trovato un articolo del 15 giugno 2000, esattamente 25 anni fa, che parlava di tutto ciò che stava sperimentando Naldini con ottimismo smisurato: “Dal virus dell’Hiv un proiettile biologico contro i tumori”. Ma all’epoca nessuno aveva ancora ricevuto una terapia genica. Da quel giorno di 25 anni fa la previsione si è avverata? Le ricerche di Naldini hanno portato a dei risultati?
All’Istituto Telethon del San Raffaele il team di Naldini ha curato 180 persone, soprattutto bambini, affetti da malattie rare genetiche che, molto spesso, avevano già colpito mortalmente altri membri della famiglia. Non solo, perché la terapia genica è stata usata in Italia per curare almeno 50.000 persone da diversi tumori, soprattutto tumori del sangue. Per guardare nel futuro, come mi ha spiegato Naldini, possiamo pensare che quel “proiettile biologico” potrà un giorno trovare una cura anche per diversi tumori “solidi” per cui oggi ancora non c’è una cura.
IL FUTURO VISTO DAL PASSATO
Gli archivi dei giornali sono pieni di storie del genere: previsioni sul futuro che sembrano folli o sembrano possibilissime. Solo un anno fa La Stampa osannava la rivoluzione calcistica di Thiago Motta alla Juventus, allenatore poi esonerato malamente; oppure nelle pagine dell’Economia si leggeva che i nostri risparmi potevano finalmente tornare a crescere grazie alla stabilità della finanza internazionale. Non ci aspettavamo certo i dazi di Trump e tutto il resto.
Tornando indietro all’inizio del millennio, si diceva già qualcosa del clima del futuro. Nel novembre 2000 il Guardian raccontava di uno studio del Ufficio Meteorologico britannico: “Il mondo si starebbe scaldando sempre più velocemente”. Un mese prima, sul New York Times, si raccontava come gli scienziati fossero sempre più convinti delle cause del surriscaldamento: l’uso dei combustibili fossili. Nel 2001 Luca Mercalli su La Stampa raccontava degli studi internazionali sul surriscaldamento globale: “Il ’98 è stato l’anno più caldo degli ultimi mille anni”, e faceva presagire che la situazione fosse destinata a peggiorare.
E poi c’era stato il 2003, l’anno del grande avvertimento. Una serie di ondate di calore senza precedenti aveva colpito l’Europa, causando decine di migliaia di morti premature, soprattutto tra fragili e anziani. Secondo uno studio dell’Istituto nazionale della salute francese ci furono 70.000 morti in 16 Paesi. In Italia, a seconda delle fonti, sono state stimate tra le 4000 e le 18.000 vittime.

LA NOSTRA ESTATE INVIVIBILE
Come siamo arrivati, invece, a oggi, luglio 2025, dati reali alla mano? Peggio delle più pazze previsioni.
Intanto: il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre. In questi giorni stiamo vivendo un’ondata di calore che potrebbe non avere precedenti. In molte parti d’Italia e d’Europa. Ha fatto “notizia” che a Parigi, dove sono stati raggiunti i 38°C, la sommità della Tour Eiffel è stata chiusa ai turisti in via precauzionale. Ma abbiamo visto anche i nubifragi nel nostro Nord-Ovest, con un morto a Bardonecchia, incendi in diversi punti dell’Europa, tra cui la Catalogna. In Sardegna ieri sono morte due persone in spiaggia. Un camionista è stato trovato morto nel suo abitacolo in una piazzola di sosta dell’A4, si sospetta sia deceduto a causa del caldo.
Ci siamo anche accorti come il caldo non crei solo disastri. Ma abbia un impatto quotidiano piuttosto importante persino sul nostro lavoro. Quasi tutte le regioni italiane hanno deciso di “vietare” i lavori all’aperto nelle ore più calde. Il governo e i sindacati hanno trovato di nuovo l’accordo per la cassa integrazione “per caldo”, ovvero una misura per garantire delle risorse economiche a chi non può lavorare in queste condizioni.

Ieri la Commissione europea ha confermato il piano di voler ridurre le emissioni di gas serra del 90%. C’è chi si aspettava un obiettivo ancora più coraggioso, chi invece voleva l’esatto opposto. Diversi governi, ministri e partiti hanno già promesso battaglia nei prossimi mesi, quando il Piano dovrà trasformarsi in direttive e leggi. Tra gli oppositori più rumorosi c’è la Lega di Matteo Salvini: “Vogliono distruggere l’industria italiana” hanno fatto sapere.
Eppure secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, 2,41 miliardi di persone nel mondo lavorano in condizioni di esposizione al calore eccessivo. Significa morti, feriti, malattie. E significa anche cali sistemici: la produttività cala del 40% a 32°C e fino al 66% a 38°C. In termini economici significa una perdita di 2.400 miliardi di dollari l’anno su scala globale entro il 2030. L’Italia potrebbe perdere l’1,2% del PIL ogni anno, pari a circa 25 miliardi, il quadruplo rispetto a Germania e Francia. I settori più esposti sono quelli a contatto diretto con l’ambiente: agricoltura, edilizia, trasporti, turismo, raccolta rifiuti.
L’orrore delle guerre e l’incertezze geopolitiche quotidiane esauriscono giustamente il grosso della nostra attenzione e delle nostre preoccupazioni. Come facciamo a occuparci di scenari climatici futuri quando il caldo non ci fa nemmeno pensare a come arrivare al weekend? Ma anche, come parlare di cambiamenti climatici quando a Gaza ci sono sessanta mila morti, quando l’Ucraina è ancora sotto le bombe? E ancora: perché occuparsi di futuro quando gli stipendi non crescono, le diseguaglianze scavano solchi profondi tra poveri (vecchi e nuovi) e giganteschi ricchi.
Eppure la crisi climatica non è più un’apocalisse lenta, come spesso anche qui l’abbiamo chiamata. È una patologia degenerativa in forte accelerazione.
VELOCE COME IL CLIMA CHE CAMBIA
Parla proprio di “grande accelerazione”
, climatologo e analista per Carbon Brief. In una recente puntata della sua newsletter The Climate Brink ha mostrato come la somma dei dati scientifici oggi punti con forza verso un’accelerazione del riscaldamento globale.Le temperature superficiali globali degli ultimi anni sono ben al di sopra del trend post-1970, con tre anni su dieci (2016, 2023, 2024) che hanno superato i limiti statistici, anche tenendo conto delle oscillazioni climatiche naturali. Il contenuto di calore degli oceani — che assorbono oltre il 90% del calore in eccesso — cresce oggi a un ritmo circa del 25% superiore rispetto ai picchi già elevati dei primi anni 2000. Lo squilibrio energetico terrestre (Earth Energy Imbalance), ovvero il calore netto che il pianeta trattiene, è aumentato in modo marcato: segnale diretto di un’accumulazione di calore superiore a quanto previsto da molti modelli.
Hausfather spiega che, oltre all’aumento dei gas serra prodotti dall’uomo che conosciamo tutti, c’è un’altra concausa di questa accelerazione: la forte riduzione degli aerosol inquinanti (come il biossido di zolfo), che per decenni avevano nascosto parte del riscaldamento indotto dalla CO₂, visto il loro potere di “riflettere” i raggi solari e di generare nubi.
Insieme, questi dati rappresentano quella che Hausfather definisce una consilience of evidence: la convergenza di più evidenze indipendenti — temperature, oceani, bilancio radiativo e modelli — che rafforzano la tesi dell’accelerazione. «Non è più solo una questione di curve tracciate sui grafici: la convergenza di tutte queste linee di evidenza rende l’accelerazione ormai difficilmente contestabile».
Eppure, sono sicuro, se il mondo intero avesse appeso al frigo di casa questi dati, la percezione del problema non cambierebbe in molte persone. Domandarsi “perché non ce ne frega niente?” non è più sufficiente.
, sempre precisa nel fotografare i fenomeni attraverso i dati, ha evidenziato che siamo pieni di dati su meteo e clima ma pochissime analisi per prendere decisioni immediate, “mancano i dati per agire”. Nell’ultima puntata della sua newsletter Ti spiego il dato ha scritto:«Mi stupisce però che ogni anno ci troviamo senza strumenti e senza indicazioni, senza un vero piano governativo».
Nessun problema si risolve solo con tabelle, dati e progetti; ma certo studio e pianificazione servono a capire il problema molto meglio rispetto a chi si fida del semplice intuito. E nemmeno mostrare per la centesima volta l’immagine del viale alberato con temperature più basse rispetto a una strada di cemento non è più sufficiente.
IL TEMPO DI SEI STAR WARS
Mancano ventiquattro anni e poco meno di sei mesi al 2050. Dopo Trump, sono cinque mandati alla Casa Bianca, sei mondiali di calcio, tre nuovi presidenti della Repubblica italiana. Ventiquattro anni sono quattro anni in meno del tempo che ci ha messo George Lucas a fare i suoi sei film di Star Wars. Soprattutto, è il tempo di una generazione. Se oggi nasce una bimba in Italia, nel 2050 è probabile che non abbia ancora avuto figli.
È anche probabile che non solo dovrà evitare le ore calde del giorno, ma che se vivrà in città di cemento allora non potrà stare all’aperto buona parte dell’estate. Vivrà in case super refrigerate, oppure farà fatica ad arrivare a ottobre. Il surriscaldamento globale impatterà la società ben oltre le previsioni che abbiamo fatto fin oggi. Con le sue ondate di calore sempre più frequenti e gli eventi meteo sempre più estremi, sarà lo spartiacque che dividerà ancora di più chi si può permettere di vivere e chi non ha i mezzi per sopravvivere.
Per concludere questa mail ritorno a Torino. Se siete mai stati in questa città, è probabile che abbiate camminato sotto i portici di Via Po. Qualsiasi guida turistica vi sa raccontare che uno dei due lati della via, quello nord, è completamente coperto: i portici sovrastano anche i tratti dove la via si apre alle sue traverse. Le coperture sono state realizzate per scelta di Vittorio Emanuele I di Savoia, che voleva arrivare al Po, e poi alla chiesa della Gran Madre, senza prendere la pioggia. Un vizio da re e regine. In questi giorni i portici non salvano più solo dalla pioggia, perché quel lato di via Po è diventato l’unico modo per attraversare la città senza finire sotto i violenti raggi del sole. Mentre cammino lì sotto immagino future città nascoste dal sole, futuri dove l’umanità cerca riparo come pietruzze d’oro nella miniera.

E così mi domando… ma davvero l’unica alternativa che ci rimane è prendere atto che dentro la scatola il gatto ormai è destinato a morire? Che, fuori di metafora quantistica, l’umanità è destinata a resistere come può alla crisi climatica, adattarsi alla bell’e meglio a condizioni sempre più insopportabili?
LE CITTÀ INVISIBILI E IL NOSTRO INFERNO
Il 2050 è dietro l’angolo e l’inferno è già qui. Resta un piccolissimo spiraglio per ribaltare la situazione. Una singola possibilità tra 14 milioni e 605 futuri possibili. Un po’ come le probabilità che aveva Luigi Naldini, all’inizio degli anni 2000, quando provava a trasformare il virus dell’Hiv in vettore di cura.
Io però non so quale sia la singola possibilità che ci salva. E in questi mesi mi sono sempre risposto che non avevo più l’energia e la speranza per trovarla. Poi sotto i portici di Via Po, nelle bancarelle dove da decenni si vendono libri usati, è arrivato Italo Calvino e mi ha dato una mano. Nel suo libro Le Città invisibili, Calvino fa pronunciare a Marco Polo queste parole:
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Diamo spazio a ciò che inferno non è.
Se siete qui, vuol dire che Il colore verde vi piace davvero e vi è utile. La newsletter è nata nel marzo 2020 ed è fatta a mano ogni settimana. Io sono Nicolas Lozito, friulano, 34 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Insegno alla Scuola Holden e al Master di Giornalismo della Luiss.
La comunità de Il colore verde ha un bosco di 300 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovate la sua storia qui. Se volete adottare un albero anche voi da ZeroCO₂, usate il codice ILCOLOREVERDE per uno sconto del 30%.
Bentornato!
Diamo spazio, anche quando le.forze sembrano ve ire a mancare...per un colpo di calore. 🔥♥️
Speriamo che i nostri governanti rinsaviscano ma non ho molte speranze purtroppo