Il climate change non è una scusa
🌍 Il colore verde #80: Nel Mediterraneo passa un "uragano" e la Sicilia ne paga le conseguenze maggiori. Ma non è solo colpa dell'emergenza climatica.
Il colore verde è una newsletter settimanale sulla crisi climatica. Esce ogni sabato da marzo 2020 e la curo io, Nicolas Lozito. Da poco il progetto ha vinto anche un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.
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Oggi voglio dire una cosa che mi sta molto a cuore.
Il cambiamento climatico, il caos climatico, chiamiamolo come vogliamo, non può improvvisamente diventare una scusante.
Non possiamo avvallare il ragionamento per cui visto che c’è il cambiamento climatico… allora dobbiamo accettare che le nostre città (e quelle degli altri) finiscano sott’acqua, con danni, incidenti e morti.
Mi riferisco a quello che è successo in questi giorni in Calabria e in Sicilia, con i nubrifagi prima e il passaggio devastante di Apollo poi, un ciclone che si è trasformato in qualcosa di più grosso ancora, tanto da ricevere l’etichetta di medicane (pronuncia inglese, medi–kein), ovvero un mediterranean hurricane, uragano mediterraneo.
Di categoria 1, almeno secondo alcuni parametri, come la velocità sopra i 120 km/h. Si tratta della categoria più bassa per gli uragani, ma anche la più alta mai raggiunta nel nostro mare (una manciata di casi simili sono stati registrati nelle ultime due decadi).
I media hanno usato titoloni sensazionalistici, soffermandosi su quanto, negli ultimi anni gli eventi estremi come piogge e tempeste e medicane colpiscano il nostro Paese e tutta l’area mediterranea.
Vero, verissimo: il climate change è un moltiplicatore. All’aumento della temperatura media globale, aumenta anche l’intesità delle perturbazioni. Succede perché – in sintesi – l’acqua evapora più velocemente, si accumula nelle nuvole in maggiore quantità e si sfoga in tempo più breve.
Le flash flood, alluvioni improvvise, sono il simbolo tragicamente perfetto di questa tendenza: le città vengono colpite da slavine di acqua in poco tempo e tombini e fognature non riescono a gestire il deflusso, causando danni enormi e, nel peggiore dei casi, morti.
Catania è stata la città più colpita dalle piogge di questa settimana: sono morte tre persone e la città ha vissuto giornate apocalittiche. Martedì è piovuta in 24 ore la quantità che cade mediamente in sei mesi. Nella seconda parte della settimana, poi, tutti gli abitanti hanno vissuto un vero e proprio lockdown: chiusi in casa per aspettare che la perturbazione passi (da oggi il ciclone è regredito e si sta allontando).
Fino a poco fa l’avremmo definito Maltempo. Oggi lo chiamiamo Climate change.
Ma è sbagliato fermarsi qui.

Entrambe le etichette sono figlie di errori di valutazione gravi. Perché il primo, maltempo, sottovaluta gli effetti della natura che maltratta e viene maltrattata – e il secondo, climate change, sminuisce il nostro ruolo nella prevenzione dei rischi. Rischi idrogeologici, sociali, economici, iper-locali o internazionali, grandi e piccoli.
Se il clima sta cambiando non dobbiamo solo fare di tutto perché la situazione non peggiori, ma dobbiamo essere pronti ad adattarci. Sono due gesti diversi, entrambi egualmente necessari. Siamo i tre porcellini e il problema non è solo il lupo alla porta, ma anche la casa stessa: i mattoni non bastano più.
E se il primo gesto è ancora possibile farlo con promesse lontane nel tempo («entro il 2050 arriveremo a emissioni nette zero di gas serra»), il secondo esiste solo con la prevenzione.
Due dati chiave per collocare il disastro di Catania:
La Sicilia è la regione che ha ricevuto la quota maggiore del fondo italiano per la prevenzione dei rischi idrogeologici, ma è anche la regione che ne ha spesi di meno. Solo 45 milioni tra 2014 e 2020, il 19% dei fondi stanziati – percentuale che si riduce a 5% se si prende in considerazione il totale dei fondi previsti fino al 2030, 789 milioni di euro.
A Catania è ancora in fase di “lavori in corso” un progetto per il Canale di gronda, ovvero un condotto di scolo lungo 9 chilometri che dovrebbe attraversare la città intercettando, a monte, l’acqua in arrivo e permettendo un deflusso più controllato. Il progetto è del 1985 (l’anno di Like a Virgin di Madonna – per darti un riferimento spazio-temporale), ma si è più volte bloccato. Nel frattempo «solo nell’ultimo anno l’edilizia selvaggia ha consumato 400 ettari di terreni verdi».
C’è un’immagine che mi ha colpito molto leggendo le cronache di questi giorni. Il gestore di un locale di Catania ha raccontato la sua giornata in mezzo alla tempesta, come fosse Moby Dick, ma ambientato in un bar-ristorante nella piazza del Duomo della città siciliana:
Ci sembrava, come ogni anno, il solito fiumiciattolo che allagava di pochi centimetri il locale. Eravamo già pronti con le scope a ripulirlo. Ma in pochi minuti ci siamo accorti che questa volta era diverso. Non saremmo usciti vivi se non fossimo saliti sui frigo per evitare la furia dell’acqua. Eravamo come pesci nell’acquario. L’acqua ha raggiunto i due metri e mezzo, entrando da due lati senza darci via d’uscita. A un certo punto anche il frigo ha iniziato a muoversi sollevato dall’acqua. Ci siamo aggrappati agli elettrodomestici come naufraghi in mezzo al mare. Abbiamo pregato, non dimenticherò mai.
Ecco perché il climate change non può essere una scusa. Dobbiamo agire, prevenire, mettere in sicurezza il nostro mondo.
Per non naufragare.
📰 Si apre la COP, cosa leggere per arrivare preparati
Se vuoi stare al passo con le notizie sulla Cop26, che si apre domani a Glasgow e finirà fra due settimane, ti consiglio: il Guardian e il New York Times (in inglese). In italiano Domani e Lifegate (Tommaso Perrone, direttore della testata, sta facendo delle newsletter molto approfondite sulla questione).
Io ne ho parlato ieri a Radio 3 Scienza — e in un podcast del Messaggero (registrato però a inizio settimana, quando mancava qualche nuovo dato).
In generale, non c’è molto ottimismo sui risultati delle trattative, ma non si sa mai. Una sintesi perfetta la dà l’Economist, che ha dedicato al tema la copertina: COP-Out, un gioco di parole, che in inglese significa “tirarsi indietro”, “evitare le responsabilità”: la rivista parla di un negoziato che sarà cruciale e anche insoddisfacente.
📰 Link, Link, Link
La sporca dozzina: i 12 americani che contribuiscono maggiormente all’inquinamento, raccontati con incredibile franchezza dal Guardian. C’è Zuckerberg e Joe Manchin, il senatore che tiene in ostaggio il pacchetto di riforme climatiche di Biden. Magari facessimo una simile inchiesta in Italia.
Mezzo milione di pasti vegani donati per «togliere la pandemia dal piatto di tutti». La storia della Ong Million dollar vegan. Valeria Sforzini su Pianeta 2021.
L’Unione europea vuole proteggere l’Artico, ma non è così facile. Enrico Pitzianti su Greenkiesta.
Sai quanto adoro Giorgio Parisi, il fisico che ha appena vinto il Nobel per la Fisica (qui una mia recente puntata): il 16 novembre terrà una lezione/incontro al Festival di Green&Blue di Repubblica. Sarà aperto a tutti anche online, ed è un incontro pensato soprattutto per le scuole.
Uno spot divertentissimo contro il climate change: un dinosauro prende la parola nell’Aula dell’Onu e dice: “Mica volete finire estinti come noi?”. La voce è di Jack Black.
L’associazione Selva Urbana organizza due giornate di “Forestazione partecipata” in zona Milano: sabato 6 novembre a Rho e il 13 novembre a Cesano Boscone puoi andare a piantare circa 1500 alberi con loro. Molto bello. Le info sui loro social o contattandoli dal loro sito.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? Un orso kermode, detto anche “orso spirito”, che si scrolla di dosso l’acqua di un fiume della British Columbia, Canada. La foto, scattata da Michelle Valberg, ha vinto il concorso BigPicture Natural World Photography. Qui una gallery con altre foto premiate.
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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, sono friulano, sono un giornalista e ho 30 anni. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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