I figli che (non) vogliamo
🌍 Il colore verde #92: Va sempre più di moda l'anti-natalismo per l'ambiente. Ma non è del tutto vero che meno siamo, meno inquiniamo.
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Piccolo riassunto: Il colore verde esce ogni sabato, la scrivo sempre io, Nicolas Lozito, e l’idea è semplice: scoprire tutte le sfumature dell’ambientalismo e della sostenibilità. Ogni puntata si legge in cinque minuti e, spero, faccia riflettere tutta la settimana.
Per darti il benvenuto ti lascio un po’ di link a qualche puntate passata, potrebbero incuriosirti o tornarti utili:
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Domenica scorsa un articolo sul settimanale Specchio ha acceso un piccolo grande dibattito sulla maternità in Italia: “I figli che non voglio” di Simonetta Sciandivasci fa intravedere un fronte sempre più grande di giovani donne felici di non avere figli.
Negli stessi giorni è uscito sul Guardian un articolo che mi ha colpito fin dal titolo: “Gli uomini che si fanno la vasectomia per salvare il Pianeta”. Un numero crescente, almeno nel mondo anglosassone.
Il pezzo, scritto da Simon Usborne, rivela i numeri di una celebre clinica australiana: l’anno scorso il 3% dei pazienti che hanno richiesto la procedura chirurgica di contraccezione l’ha fatto proprio per la questione ambientale e climatica.
Oggi affrontiamo questo tema: fare figli è un problema per l’ambiente? L’impatto del sovrappopolamento è troppo alto e va fermato in qualche modo?
Non è un problema da poco. Quasi tutto ciò che facciamo – mangiare, muoverci, produrre – oggi provoca enormi emissioni di gas serra in atmosfera, e quindi il climate change. È ragionevole pensare che più siamo, peggiore diventi la situazione. Cent’anni fa sulla Terra c’erano 2 miliardi di persone, oggi siamo a 7,9 miliardi: la temperatura è salita di 1,2°C e salirà ancora.
Buona parte della popolazione ha una vita dall’alto impatto ambientale e climatico: c’è chi sostiene se è il caso di darci un taglio netto.
Dando almeno due motivazioni. Una statistico-demografico: meno siamo meno impattiamo. Secondo diversi studi “fare meno figli” è al primo posto per le scelte salva-clima che possiamo compiere. Project Drawdown, uno degli enti americani più importanti nella lotta al climate change, mette la riduzione del tasso di fecondità e all’educazione di ragazze e donne al secondo posto della sua classifica degli strumenti più efficaci.
L’altra ragione dietro l’anti-natalismo è più etico-sociale: abbiamo davvero il coraggio di dare alla luce dei piccoli umani che un giorno dovranno vivere in un Pianeta probabilmente meno ospitale e più soggetto al caos climatico?
Qualche mese fa mostravo i risultati di un sondaggio realizzato con un campione di 10.000 giovani tra i 16 e 25 anni di varie parti del mondo: quattro giovani su dieci dicono di essere spaventati dall’idea di fare figli in un mondo sempre più colpito dall’emergenza climatica. L’eco-ansia colpisce anche il nostro istinto riproduttivo.
Lo ha sintetizzato molto bene la parlamentare americana Alexandra Ocasio Cortez durante un discorso del 2019:
«Vi parlo da essere umano, da donna i cui sogni di maternità ora hanno un sapore dolceamaro, visto ciò che so sul futuro dei nostri bambini».
Harry e Meghan, duca e duchessa del Sussex, in un’intervista a Vogue avevano detto di non volere più di 2 figli, citando la crisi climatica come motivo della scelta.
La questione è trattata molto bene anche in un libro appena uscito, Più idioti dei dinosauri, scritto da Daniele Scaglione – caro amico de Il colore verde – e pubblicato da Edizioni e/o. L’autore affronta la crisi climatica dal punto di vista di un padre che sta consegnando al figlio un mondo in fiamme. Alterna dati, riflessioni e idee: lettura consigliata.
Nel capitolo dedicato ai figli Scaglione parte da una contraddizione. Da una parte le paure per un’umanità che cresce all’infinito, come si temeva fino pochi anni fa; e dall’altra le preoccupazioni per il crollo demografico, ovvero la riduzione del tasso di natalità in tutti i Paesi sviluppati. Secondo le ultime previsioni potremmo addirittura non superare i 10 miliardi di esseri umani, ma raggiungere il picco nei prossimi due decenni intorno a 9 miliardi e mezzo e poi iniziare a scendere.
Scaglione riporta alcune conversazioni che ha avuto con i giovani attivisti di Fridays for future, offrendoci così una fotografia molto vivida della questione.
«Il numero ideale di figli che vorrei è tre, mentre quand’ero piccola era cinque» mi dice Barbara, che ho contattato tramite il gruppo torinese di Fridays for future. «A quindici anni – me lo ricordo molto bene, perché l’ho scritto – ho iniziato a preoccuparmi per la sovrappopolazione. Da un paio d’anni a questa parte s’è aggiunta la crisi climatica». Dall’incastro di queste due cose, mi spiega, discende la rinuncia ad avere figli o almeno a generare figli, perché adottare le piacerebbe. Tra otto o dieci anni, chissà. «A parte le cose che passano per la testa di una ventenne», l’emergenza climatica è il tema che più occupa i suoi pensieri.
Poche righe dopo il ragionamento si fa più ancora profondo.
Nei tre quarti d’ora della nostra conversazione, Barbara nomina la colpa almeno una decina di volte. La sua colpa, quella che si sentirebbe addosso se mettesse al mondo un essere umano. La prospettiva di diventare madre tramite l’adozione non cancella del tutto questo sentimento. «Dovrei spiegare ai bambini che adotto la situazione che devono affrontare e questo pensiero mi fa stare molto male».
Senso di colpa, sconforto, ansia, sfiducia: sono segnali di allarme che non possiamo sottovalutare. E anzi, dobbiamo affrontare. A tutte le età, come poi suggerisce Scaglione, raccontando degli stimoli che si possono dare a grandi e piccini affinché si interessino all’ambiente senza essere sopraffatti dal senso di impotenza.
Il dibattito potrebbe andare avanti all’infinito, e sono sicuro che nel frattempo anche tu ti sia fatto qualche nuova idea.
Io non voglio dare conclusioni affrettate. Ma mi sento di dire una cosa: non possiamo ragionare con il principio – semplice e lineare – dell’uno vale uno. Uno non vale uno.
Come i fiocchi di neve e le impronte digitali, non c’è un essere umano con l’esatta impronta ambientale di un altro. Ci sono persone molto leggere e altre pesanti. Non solo nelle scelte che compiono, ma anche per ciò che pensano, i gesti politico-sociali, il lavoro e la capacità di influenza.
Basta osservare qualsiasi statistica sull’origine delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo per capire come l’antinatalismo ecologista non sia la giusta chiave per trovare una soluzione.
Ci sono Paesi con pochi abitanti che inquinano tantissimo, e Paesi enormi che inquinano pochissimo. E ci sono classi sociali e settori decisamente più inquinanti di altre. Un dato che bisogna imparare a memoria e che io ripeto sempre: secondo Oxfam l’1% più ricco del pianeta produce il doppio delle emissioni del 50% più povero. E se prendiamo il 10% più ricco, raggiungiamo il 49% delle emissioni totali.
Ma non è questione di soli numeri. Ho da sempre un’indissolubile e ingenua fiducia nel futuro. Noi abbiamo combinato tanti pasticci, non c’è dubbio, ma non è automatico che lo schema si ripeta all’infinito. Anzi, in futuro cambierà l’energia, cambierà l’economia e probabilmente il nostro impatto individuale diminuirà. Anche grazie a chi arriverà dopo. Oggi stiamo rendendo il mondo più invivibile per le prossime generazioni, ma è anche vero che abbiamo, avremo e avranno la possibilità di riscattarsi. Abbracciare la sfida e portare un passo più avanti la nostra umanità.
📰 Link, Link, Link
Non vorrei fare quello che dice “ve l’avevo detto”, ma… L’Esma, ente regolatore del mercato finaziario dell’Unione europea ha suggerito questa settimana di vietare il mining dei Bitcoin per risparmiare energia.
Macron invece ha chiesto di inserire protezione dell'ambiente e aborto nella Carta dei diritti dell’Ue. David Carretta su Il Foglio.
L’Italia ha un inviato speciale per il clima: «Sarò la voce di chi si occupa di transizione ecologica», ha detto Alessandro Modiano a Green&Blue di Repubblica nella sua prima intervista.
Nuove tappe nel dibattito sulla tassonomia verde dell’UE: gli esperti consultati dalla Commissione hanno fatto capire che nucleare e gas non si possono considerare fonti “green” e sostenibili. Il punto di Alessia Conzonato sul Corriere.
Per salvare il pianeta basterebbe il 2% del Pil globale, scrive Yuval Noah Harari su Repubblica.
Le nanoplastiche arrivano persino ai Poli, spiega un nuovo studio, che ha trovato tracce sia nell’Artico sia nell’Antartico di particelle vecchie anche di 50 anni. Sul Guardian.
Cos’ha reso l’eruzione vulcanica a Tonga così devastante? Su Internazionale.
Stazione Panarea: il nuovo osservatorio meteo italiano che sfida il climate change. Riccardo Liguori su Greenkiesta.
La mappa delle foreste: quante ne abbiamo perse e quante ne sono cresciute in 30 anni. Giacomo Talignani su Green&Blue di Repubblica.
👇 La cosa più bella
Potrei stare ore a guardare queste immagini che mostrano alcuni orsi polari mentre occupano gli edifici abbandonati in un villaggio attorno al Mare dei Ciukci, tra Alaska e Russia. Il progetto è del fotografo Dmitry Kokh, qui la gallery.
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Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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