Halloween in maniche corte
🌍 Il colore verde #129: L'autunno più caldo di sempre, le zanzare a Natale, i dati micidiali dell'Onu. E le poesie di Pascoli che non possiamo capire più
GEMELLI BUONI
Buon sabato! Tutto bene?
Me lo auguro. Sto per distruggerti l’umore con una serie di brutte storie, e come sempre, in anticipo mi scuso.
Però ho anche due micro-belle novità, che mi gioco subito. Sta per tornare Verde speranza, il mio podcast che è un po’ il gemello buono di questa newsletter: se qui do solo brutte notizie, con Verde speranza provo a combattere l’eco-ansia (qui la prima stagione su Spotify). La prossima settimana, poi, ti manderò il link per la nostra biblioteca sostenibile: tutti i consigli di lettura un po’ miei e soprattutto vostri!
Va bene, torniamo alle note dolenti. Ecco il menù:
🍂 L’autunno caldo e le zanzare a Natale
🌡️ Non sembra esserci un percorso credibile per l’obiettivo 1,5°C
💨 Nel 2025 il picco di emissioni, ma le compagnie energetiche quest’anno hanno registrato 2 mila miliardi di extraprofitti
🥫Letturine: il rapper che lancia girasoli sulle zuppe, strisce della biodiversità, il compostaggio umano
🍂 L’autunno caldo delle brutte notizie
Il 2021 è stato l’anno della speranza. Il 2022 sarà quello della sconfitta?
Basta guardarsi intorno per capire che qualcosa sta andando storto: fa un caldo indicibile. Ci siamo dovuti inventare una nuova parola: novembrata, farà così caldo che a inizio novembre in molte città italiane (ed europee) toccheremo i 25-30 gradi. Halloween in maniche corte è il vero film horror della stagione.
Vero, più gite fuori porta e meno consumi per il riscaldamento. Ma c’è poco da star sereni: lo sconvolgimento meteorologico influenza tutto il resto. Avremo zanzare anche a Natale, gli animali faticheranno ad andare in letargo, il foliage autunnale è in drammatico ritardo, per non parlare della neve: nevicherà sempre più tardi, sempre di meno, con conseguenze estreme per il ciclo dell’acqua ma anche per noi umani. L’economia della montagna sarà devastata.
Proprio in questi giorni alle scuole elementari staranno studiando a memoria la celebre poesia di Pascoli, come noi abbiamo fatto prima di loro. Novembre.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.
E tutti quei bambini, me li immagino, si chiederanno spaesati: “fredda… in che senso?”, visto che a scuola sono ancora in maniche corte. Il freddo, il vero freddo, sarà per loro come per noi è il telefono a disco: roba da museo.
Non bisogna confondere meteo e clima, ce lo diciamo tante volte: è una situazione eccezionale, certo, che si può spiegare solo a grandi linee, non nel fenomeno particolare di un giorno, nelle temperature di una settimana. Ma l’eccezionalità fa anche parte di una media sempre crescente: su questo non ci sono dubbi. I gas serra nell’aria sono sempre di più, così la temperatura media cresce.
Per il Cnr fino ad ora il 2022 è l’anno più caldo mai registrato in Italia, con una temperatura media più alta di 0,96°C rispetto ai dati registrati nel trentennio 1990-2020. Il dato è ancora più assurdo se si esaminano solo le temperature di ottobre: più alte di quasi 4°C rispetto alla media.
L’anno scorso era stato l’anno della ripartenza verde, iniziato con l’insediamento di Joe Biden e finito con le buone (o almeno accettabili) promesse della Cop26 di Glasgow. C’erano ampi margini di ottimismo.
Quest’anno è iniziato con la guerra in Ucraina, proseguito con la crisi energetica, delle materie prime, dell’inflazione, e sta per finire con alcuni dei dati peggiori mai registrati sul cambiamento climatico e le nostre deboli strategie per contrastarlo. Ci siamo accorti che stiamo perdendo l’equilibrio, che dondoliamo su una sedia che sta per cadere. Ma facciamo poco, ancora pochissimo.
Nell’ultima settimana sono stati pubblicati dei report micidiali per le nostre speranze verdi. Ne commento tre qui sotto. È l’estate, fredda, dei morti.
🌡️ Non c’è un percorso credibile per il +1,5°C
Dall’era pre-industriale, quindi circa un secolo e mezzo fa, la temperatura media del pianeta è salita di 1,1/1,2°C. La parola media è importante: perché gli oceani si scaldano più lentamente mentre la superficie terrestre più rapidamente.
Con gli accordi di Parigi, nel 2015, gli Stati si erano dati l’obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura “ben al di sotto i due gradi” entro la fine del secolo, individuando come livello ottimale quello di +1,5°C. È l’unico scenario, la dico facile, che ci evita le rogne peggiori della crisi climatica.
Bene. L’Emission Gap Report 2022, appena pubblicato dall’Unep – l’organizzazione delle Nazioni unite che si occupa di ambiente e cambiamenti climatici – dice chiaramente che non c’è un “credible pathway to 1.5C in place”. Non c’è uno scenario credibile che porti al livello +1,5°C. La riduzione delle emissioni di gas serra, in altre parole, nei dati registrati in questi anni e nelle promesse degli Stati, non è abbastanza veloce e intensa. I progressi sono stati “tristemente inadeguati”, spiega il report Unep. Le emissioni di CO₂ dovrebbero dimezzarsi per la fine del decennio: molti Paesi l’hanno promesso, quasi nessuno lo sta facendo. Anzi, le emissioni da qui al 2030, se continuiamo così, ma anche se prendessimo tutti le strategie e le politiche che gli Stati hanno messo in campo per il 2030, la temperatura media sarebbe destinata a crescere di 2,8°C. Se aggiungessimo le promesse per il 2030 (anche quelle non ancora in campo): 2,6°C. E se proprio volessimo aggiungere le promesse fatte per il 2050 (remote, imprevedibili): +1,8°C (quest’ultimo calcolo è dell’Agenzia internazionale dell’energia, fatto l’anno scorso).
L’Unfccc, che è l’organo delle Nazioni unite che organizza le Cop, ha detto che solo 24 paesi su 193 hanno per ora aggiornato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni (gli NDCs, Nationally determined contributions), nonostante un anno fa a Glasgow tutti avevano firmato un accordo per inviarne di nuovi entro 12 mesi. Non solo, molti di quei 24 hanno cambi minimi. Mettendo insieme obiettivi e promesse, dice l’Unfccc, da qui al 2030 le emissioni cresceranno di circa il 10% rispetto ai livelli del 2010, invece di diminuire (l’anno scorso calcolavano +17%).
Più il tempo passa più il gap delle emissioni, ovvero la distanza tra ciò che facciamo e ciò che dovremmo fare, diventa un buco enorme, una voragine impossibile da colmare. “L’unico modo per arrivare a +1,5°C è una rapida trasformazione delle società”, spiegano dall’Unep. Ma come recita l’ormai celebre frase dell’americano Fredric Jameson:
È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.
Dove per capitalismo possiamo intendere il modo odierno di produrre, estrarre, sfruttare natura, materie e persone.
I report Unep e Unfccc sono usciti a poco più di una settimana di distanza dalla Cop27 di Sharm el-Sheikh, nella speranza di scuotere l’opinione pubblica e soprattutto di smuovere politici e diplomatici che dovranno negoziare in Egitto obiettivi più stringenti.
💨 Nel 2025 il picco di emissioni, ma per le rinnovabili servono molti più investimenti
Un po’ meno grigio è il report appena pubblicato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea). La guerra in Ucraina ha accelerato la transizione energetica, perché molti Stati stanno cercando strategie per liberarsi dalla dipendenza dal gas, in particolare da quello russo. Nel breve termine queste strategie portano a consumi maggiori di altri combustibili fossili, dal carbone al petrolio, ma nel medio termine spalancheranno le porte alle fonti rinnovabili. Così il picco delle emissioni di CO₂ arriverà (probabilmente) già nel 2025. Dal 2025 in poi, le emissioni diminuiranno.
Nel 2030 gli investimenti per l’energia pulita arriveranno a 2 mila miliardi di dollari l’anno, il 50% in più rispetto a oggi. Ma perché si raggiunga il livello di emissioni zero nel 2050 gli investimenti dovrebbero essere il doppio: 4 mila miliardi all’anno.
Sempre l’Iae ci dice che quest’anno il settore degli idrocarburi incasserà degli utili netti pari a 4 miliardi di dollari (stessa cifra che servirebbe per le rinnovabili). Due mila miliardi di quei quattro sono extraprofitti.
La maggior parte delle compagnie energetiche ha guadagnato il doppio dell’anno scorso, come dimostrano i bilanci pubblicati proprio in questi giorni. L’italiana Eni ha fatto ancora meglio, incassando 10 miliardi di euro in soli 9 mesi, +311% rispetto al 2021. Una notizia che mi pare si commenti da sola.
📰 Rassegna verde
Esiste un’estetica dell’attivismo? (La Svolta)
Chissà che penserebbe Van Gogh (Daniele Scaglione su Non so come dirtelo)
Il nuovo attivismo è un’infantilizzazione dell’Apocalisse (Michael Shellenberger)
Il nuovo Robinson in edicola ha la storia di copertina dedicata ai “Mad Men del clima” e parla di arte e attivismo. Interessante. (Repubblica)
Da poco è nato un nuovo sito americano di informazione, Semafor, che doveva rivoluzionare il giornalismo. Peccato che la sua newsletter sia sponsorizzata da Chevron, una big oil. Gli ambientalisti sono insorti. (Heated)
In California ci sarà il “compostaggio umano” (Il Post)
Le “biodiversity stripes”, un disegno/grafico per capire quanta biodiversità stiamo perdendo, ispirata alle celebri strisce climatiche (Finding Nature)
La transizione ecologica sarà completa solo con più donne protagoniste (Corriere)
La diplomazia climatica non sente l’Africa (La Svolta)
Piantare alberi non basta: i casi di riforestazione falliti (Repubblica)
Segnalo due cose mie:
Su Green&Blue ho approfondito quello che dicevo nella scorsa puntata.
“Perché non andrò alla Cop27 in Egitto: senza libertà non c’è ambientalismo”Su La Stampa ho affinato il pensiero sull’attivismo radicale: è anche una buona notizia.
“Se la lotta per l’ambiente diventa performance”
📸 La mia foto preferita
Due, vengono entrambe dal Comedy wildlife photography awards 2022 (qui la gallery completa). La prima sono io ogni sabato mattina:
La seconda sei tu che arrivi sempre fino in fondo alla newsletter per vedere la foto della settimana:
💚 Grazie!
Se sei arrivat* fin qui sotto, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. La newsletter esce ogni sabato, feste incluse. Nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
Da quando mi occupo di ambiente, ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, prodotto da Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (2022, Onepodcast/La Stampa).
Se vuoi darmi una mano:
• Condividi la puntata sui social. Se lo fai su Instagram, taggami: nicolas.lozito.
• Considera una donazione. Mi aiuteresti a sostenere questo progetto editoriale. Puoi donare su DonorBox o Paypal.