L'ansia climatica della generazione Z
🌍 Il colore verde #74: I giovanissimi e la paura per le sorti del Pianeta. Extra: il prezzo dell'energia che sale, perché?
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Quattro giovani su dieci hanno paura di avere figli a causa della crisi climatica.
È uno dei dati impressionanti che emerge dal più grande studio sull’eco-ansia (o ansia climatica) realizzato in dieci Stati diversi intervistando 10.000 ragazze e ragazzi tra i 16 e 25 anni, ovvero chi fa parte della cosiddetta Generazione Z.
«Un fenomeno globale», spiega lo studio riferendosi agli stati di ansia, preoccupazione, rabbia, vergogna, resa che possono colpire chiunque quando si parla di cambiamento climatico, dei suoi effetti presenti e futuri e delle (in)azioni dei governi a riguardo. I giovani e i giovanissimi – dicono i dati – ne sono più soggetti per molte ragioni: perché gli scenari climatici futuri li riguardano più direttamente, perché sono i soggetti con minore potere decisionale sulla questione, perché affrontano per la prima volta sfide così grandi.
La ricerca, condotta dall’Università di Bath e pubblicata su The Lancet (nella forma del “pre-print”, quindi ancora non sottoposto a revisione completa) ha preso in considerazione i giovani di Regno Unito, Finlandia, Francia, Stati Uniti, Australia, Portogallo, Brasile, India, Filippine e Nigeria.
Alcuni altri dati dello studio:
Il 59% degli intervistati è “estremamente preoccupato” per il climate change, e se allarghiamo la categoria includendo quelli che sono “moderatamente preoccupati” saliamo all’84% del totale.
Il 56% è convinto che «l’umanità sia spacciata» (traduco l’espressione inglese “doomed”).
Il 75% pensa che il futuro sia «terrorizzante» (traduco l’espressione inglese “frightened”)
Il 50% sostiene di provare “eco-ansia”, il 45% pensa che questa preoccupazione influenzi la vita quotidiana e le decisioni prese.
Solo il 31% si fida delle azioni del proprio governo, e solo il 33% pensa che gli Stati stiano facendo abbastanza per garantire un futuro sostenibile ai giovani.
Analizzando i dati Paese per Paese emerge un’altra sfumatura interessante: i giovani degli Stati del “Sud globale”, ovvero quelli che vivono negli Stati “in via di sviluppo”, sono addirittura ancora più preoccupati rispetto a chi vive in zone più ricche del pianeta. Il dato dell’umanità “spacciata”, per esempio, schizza al 74% in India, e al 73% nelle Filippine – due Paesi già ora molto colpiti dall’emergenza climatica – mentre si abbassa a 43% in Finlandia. Questo reinquadra la narrazione tipica, secondo cui l’ansia per il clima sia una sorta di privilegio delle classi agiate.
Cosa significano tutti questi numeri, però? Sappiamo ormai bene che i sondaggi sono come gli oroscopi, e possiamo dire che hanno ragione solo a fine giornata. Però questo studio ci indica un trend molto preciso: la preoccupazione si sta trasformando in paura. E se per indirizzare la preoccupazione ci sono tanti modi, per gestire la paura l’essere umano ha solo due meccanismi: fight or flight, combatti o scappa.
Così, se presi dal terrore climatico, il rischio è che la sfida sembri insormontabile e venga abbandonata in partenza, proprio da chi si trova in prima linea a combattere per il proprio futuro.
Ci sono due altri studi – più leggeri – usciti questa settimana che voglio raccontarti perché indicativi del fenomeno e del ruolo che si deve assumere la politica, la comunicazione e in generale chiunque sia in posizione di influenzare in positivo chi verrà dopo di noi.
Una ricerca del consorzio inglese Albert ha preso in considerazione le parole più menzionate dai principali canali tv inglesi nel 2020, esclusi i notiziari:
Climate change è stato pronunciato 10 volte di meno della parola cake (torta). 12.715 menzioni contro 133.437.
Il dolce Banana bread (una sorta di plum cake alla banana) è stato pronunciato più volte di solar power e wind power, ovvero energia solare ed eolica, combinati. Lo studio prende in considerazione anche la frequenza dei temi trattati a confronto con il loro reale impatto sulla riduzione di emissioni: in tv si parla spesso di raccolta differenziata ma pochissimo di sostenibilità dei trasporti, seppure proprio i trasporti siano responsabili di sette volte tante emissioni rispetto ai rifiuti. La conclusione dello studio: i media dovrebbero parlare di più di questi temi, e farlo meglio.
L’altra, invece, ha provato a verificare l’assunto secondo cui “le vecchie generazioni non fanno nulla per il clima, e solo i giovani sono interessati all’argomento”. Gli studiosi del King's College di Londra si sono trovati di fronte uno scenario ribaltato: secondo quanto hanno raccolto, sta succedendo il contrario: se è vero che i giovani sono i più interessati all’argomento, sono però anche quelli che credono maggiormente che «non abbia senso cambiare il proprio comportamento perché non farebbe differenza». Nella Generazione Z questa categoria rappresenta il 33% degli intervistati dallo studio, contro il 20% dei Baby Boomers (57-75 anni), generazione che, inoltre, dichiara maggiore impegno nella scelta di prodotti o marchi più sostenibili.
Ripeto: sono percentuali che valgono fino a che non vengono smentite. Ma che accendono una lampadina di allarme su come raccontiamo e affrontiamo collettivamente la questione climatica, sia a parole sia in pratica. A scuola, a casa, in tv, su internet.
E ci dicono che ora dobbiamo impegnarci per trasformare l’ansia dei più giovani in fiducia, e la paura in azione.
🔌 Extra: il prezzo dell’energia sale, perché?
Si è tanto parlato delle bollette di gas e luce che schizzeranno alle stelle nei prossimi mesi. Il Post spiega bene perché: costano di più le materie prime, e – con incidenza molto minore – costa di più scambiare energia non “pulita” nel mercato ETS (i produttori di energia che inquinano di più comprano “quote pulite” da chi inquina di meno, in un sistema europeo di compensazione delle emissioni).
Nel breve periodo questo aumento sarà attutito dal governo, che sta studiando un piano per ridurre i costi stanziando fondi speciali. Ma nel medio-lungo periodo il problema va affrontato in maniera strutturata. Draghi ha suggerito che i costi della tranisione energetica europea non vengano conteggiati nella somma del debito pubblico degli Stati: «Non c’è più tempo perché i costi per i nostri Paesi e i nostri cittadini sarebbero immensi», ha detto ieri ad Atene.
Ma non tutti sono così illuminati e lungimiranti. Qualcuno, nella politica e nei media, ha approfittato per dire: “Ecco! Questi aumenti sono il prezzo della transizione verde!”. Non è così, anzi: è proprio perché siamo lenti nel cambiare fonti energetiche che abbiamo questo problema. Lo spiega bene Giovanni Mori, ingegnere energetico e uno dei volti dei Fridays for future, in questo post su Facebook. Tra le conclusioni, Mori scrive: «Viene da chiedersi se siano una serie di infelici uscite, o se non sia una pillola che – pian piano – stia venendo somministrata, a mostrare che questa transizione non s'ha da fare, e scaricare ogni colpa proprio sulle persone che chiedono, da anni, di risolvere questa situazione».
📰 I link
La storia – e le foto – della mattanza dei delfini delle Faroe ha fatto il giro del mondo: più di 1.500 esemplari uccisi nella “tradizionale” mattanza del Grindadráp, la caccia a cetacei approvata sull’isola. Nel frattempo, viste le critiche internazionali, il governo locale ha promesso che rivedrà regole e numeri per le prossime battute di caccia.
«Possiamo diventare una potenza energetica, vento e sole sono il nostro petrolio» dice Roberto Cingolani nell’intervista che Stefano Liberti e Christian Raimo hanno fatto per l’Espresso al ministro per la Transizione ecologica.
La lotta agli “inattivisti” del clima. L’intervista di Stella Levantesi al climatologo Michael Mann. Sul Manifesto.
Un’altra intervista, questa volta video: Zoro incontra Greta Thunberg. È andata ieri in onda a Propaganda Live.
Nessun Paese del G20 è in linea con gli obiettivi degli Accordi di Parigi: uno studio di Climate Action Tracker.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? La gallery delle foto vincitrici del “Nikon Small World Photomicrography”, premio fotografico dedicato alla fotografia microscopica. Le mie preferite? Un fiocco di neve, le cellule epiteliali dell’intestino e questo mega zoom delle ali di una farfalla:
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