🌍 Per 65.400 persone. O per lei.
Il colore verde #33. I nuovi dati sulle vittime da inquinamento atmosferico. Calano se confrontate con 10 anni fa, ma l’Italia rimane uno dei Paesi più colpito d’Europa
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Antonio Scurati, scrittore che leggo e ascolto sempre con attenzione, l’altra sera in tv parlava della soglia psicologica dei 50.000 italiani morti per Covid-19. Paragonava il numero, drammatico, a quello degli statunitensi morti in Vietnam, che sono stati 58.220 (in 9 anni) e sono diventati il dramma di intere generazioni.
A oggi, i morti positivi al Covid-19 in Italia sono già 53.677. Rimanessero invariate le medie quotidiane di decessi di questi giorni, arriveremmo a superare le 75 mila vittime.
Perché racconto questi numeri? Perché ne voglio aggiungere un altro: 65.700.
Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, che ha pubblicato lunedì il rapporto annuale sulla qualità dell’aria, 65.700 sono le morti premature italiane per inquinamento atmosferico (dato riferito al 2018). Una media di 200 al giorno. Uno ogni 8 minuti, il tempo di leggere due volte questa mail.
Morti premature significa complicazioni respiratorie o cardiovascolari, polmoniti, tumori causati da polveri sottili o scarsa qualità dell’aria. I più colpiti sono i neonati, gli anziani e i soggetti fragili. È un’etichetta ampia rispetto alla positività al Covid-19 o altre malattie infettive più semplici da individuare, vero, ma deve comunque spaventare, preoccupare ed essere considerato come un “dramma per intere generazioni”.
Rispetto a questo numero – di nuovo, 65.700 – ci sono due notizie: una buona e una cattiva. La buona: le morti erano 91.800 nel 2009; son scese del 30% in 10 anni. La cattiva: dopo la Germania, siamo il secondo Paese europeo per numero di morti assoluti e al primo posto in termini relativi sulla popolazione totale (lo 0,1%).
In Europa le morti totali sono state 492.600. La causa principale è il Pm 2.5, ovvero il particolato sottile, che ha causato l’84% delle morti, mentre il 13% è attribuibile agli eccessi di diossido d’azoto (NO2) nell’atmosfera. Da dove arriva questo inquinamento? Dai soliti indiziati: trasporti via terra, aerei, riscaldamenti, fabbriche, agricoltura. In Italia l’NO2 è soprattutto causato dalle auto, almeno al 70%. Per quanto riguarda il particolato, invece, dipende molto da città a città: le auto contribuiscono anche al 40% nelle città popolose, nelle città molto industrializzate sono le fabbriche a influire per più di un terzo.
Il lockdown della prima parte del 2020 ha ridotto l’inquinamento atmosferico. Forse ricordi altre mie puntate su questi temi: particolato sceso anche del 30-40%, NO2 sceso del 60-70% a Milano e Roma. Ma ora i livelli sono tornati di nuovo alti.
(Non solo: la concentrazione di CO2, gas serra che non provoca danni diretti alla salute, ma aumenta il surriscaldamento globale, nonostante il lockdown è salita anche nel 2020, toccando un nuovo record – ha detto lunedì l’Organizzazione meteorologica mondiale).
Giusto due settimane fa, la Corte di giustizia europea ha stabilito che l’Italia non ha fatto abbastanza per allinearsi alle direttive europee sull’inquinamento atmosferico: «i valori limite di particolato sono stati superati in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017». Siamo stati inadempienti e incapaci, e lo sapevamo da anni. E ancora oggi il nostro governo e quelli europei si muovono lenti.
Ma ti assicuro che non è una questione di virtù, né un lusso.
Puoi pensare che mettersi in regola sia troppo oneroso, o non prioritario. Non è così: secondo l’Ocse (organizzazione che raggruppa la maggior parte dei Paesi sviluppati) negli scorsi 10 anni il Pil italiano sarebbe potuto crescere dell’1,5%, a fronte di una spesa dello 0,01% per tenere i livelli di inquinamento atmosferico entro i limiti.
Le ragioni per essere preparati e migliori ci sono: sanitarie, per noi e i nostri cari; economiche, per il sistema. E, non bastassero, ce ne è sempre una in più.
Ce la ricorda Homer Simpson. La foto in apertura è del suo “ufficio”. Costretto a lavorare in un posto che odia a morte, decide di nascondere un infausto messaggio aziendale incollando sopra delle foto, fino a trasformarlo in una voce di speranza: Do it for her. Fallo per lei. Lei, che arriverà dopo.