Per un ecologismo non binario
🌍 Il colore verde #53: Allarghiamo lo "spettro della sostenibilità" per supportare la complessità e la ricchezza delle azioni climatiche. Extra: la promessa di Joe Biden
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«La sostenibilità è uno spettro». E no, non nel senso di fantasma.
A sostenerlo sono due attiviste per la giustizia climatica, Céline Semaan e Sophia Li, che hanno appena lanciato una serie su Youtube chiamata All the Above, un «talk show per la giustizia climatica».
«Oggi il dibattito sul clima è visto in termini binari, con una mentalità da tutto o niente. Ma questo approccio è destinato a fallire».
Se ci pensi, succede ogni giorno: vegano integralista vs. carnivori feroci; scelte individuali vs. impotenza davanti alle grandi aziende e governi; zerowaste vs. inquinamento selvaggio; presente vs. futuro.
«Questo dualismo ti porta a pensare: sono una cattiva persona perché uso la plastica?, ma non offre risposte incoraggianti», dicono Semaan e Li. E aggiungo io: ghettizza molto. Guarda il tema delle nuove generazioni: meritano molto di più della semplice etichetta “giovani per l’ambiente”, ma l’approccio binario (giovani attenti vs. vecchi distruttori) li trasforma in un blocco monolitico, che trasmissioni tv e riviste sfoggiano con orgoglio pensando così di esaurire il loro spazio da dedicare al clima.
«Facciamo un ponte tra questi due estremi: perché la natura non è binaria, il clima non è binario. Il pensiero binario limita le possibilità di un futuro visionario e diverso».
Sembra un semplice problema di dialettica, ma secondo me è una delle sfide più importanti, oggi, della cultura ambientalista: riconosciuta e condivisa, ma non abbastanza matura per propagarsi al di fuori di piccole nicchie fortunate o diffusissimi slogan vuoti.
In questi anni abbiamo vissuto un crescente coinvolgimento per la causa: il movimento è stato guidato da figure molto convinte, spinte dai fortissimi ideali, capaci di trasformare la loro vita in simbolo. Persone in grado di entusiasmare e ribaltare le nostre idee. In grande: Greta Thunberg. In piccolo: i green influencer su Instagram.
Ma gli iper-entusiasti o i radicali sono solo una parte dello spettro. Sono una minoranza, così come scienziati, imprenditori verdi o, dalla parte opposta, negazionisti. Modelli minoritari non replicabili su larga scala: sono l’eccezione.
Un’eccezione privilegiata. Occidentali, benestanti, si possono – anzi, mi metto dentro: ci possiamo – permettere di diventare vegani, di non prendere aerei, di acquistare prodotti biologici, di scagliarci contro i potenti. Possiamo chiamare le nostre preoccupazioni “eco-ansie”, come si trattasse di un problema innanzitutto psicologico. Ma vale anche l’esatto contrario: gli apatici climatici possono sfruttare, arricchirsi, distruggere senza particolari conseguenze nella totale indifferenza.
Ma chi sta nel mezzo dello spettro? Che fanno loro?
Sono tantissimi: diffidenti o magari indaffarati in altro. Amici, parenti, persone lontanissime. Tra loro c’è chi vive in zone del pianeta già danneggiate dai cambiamenti climatici: comunità “al fronte” che non si possono permettere gli stessi privilegi di cui godiamo noi. Non sono né bianco, né nero, ma se abbiamo occhi solo per queste due tonalità non riusciamo a vederli.
🔊 Intermezzo: hai ascoltato il primo episodio di Climateers? È il mio nuovo podcast. Lo trovi su Spotify (o qui per le altre piattaforme).
Nelle scorse puntate ho segnalato il dibattito intorno a Seaspiracy, un nuovo documentario su Netflix che invita tutti a non mangiare mai più pesce, sostenendo che non esiste nessun modo per rendere sostenibile la pesca. È un pensiero meraviglioso, ma pieno di pregiudizi. Ma che fare con i 3 miliardi di persone che vivono in zone o in comunità dove il pesce è la principale – e difficilmente sostituibile – fonte di proteine?
Un Machiavelli ecologista potrebbe pensare: non importa con che tesi convinciamo il mondo a non mangiare pesce, importa solo il risultato. Ma appunto: Machiavelli è binario, la sostenibilità non può esserlo più.
Ogni volta che estremizziamo un fenomeno facciamo un favore a noi stessi, perché ci mettiamo sul più ideale dei piedistalli, ma non sempre aiutiamo il progresso della cultura ambientalista, che per maturare ha bisogno di tante nuove sfaccettature.
«Creiamo un terzo spazio per supportare la complessità e la ricchezza delle azioni climatiche», tornando alle parole di Semaan e Li. Prendiamo l’esempio dell’alimentazione sostenibile: è celebre la proposta dello scrittore americano Jonatan Safran Foer di passare a una dieta per due terzi vegetale. Un compromesso anti-binario che non piace ai vegani convinti, ma che ha un alto impatto ed è più facilmente condivisibile con le masse.
Le due attiviste di All of the above mostrano uno schema dello “spettro della sostenibilità”, che ho tradotto per te.
La visione binaria porta a vedere il problema della sostenibilità come una battaglia fatta di rinunce e frustrazioni continue. Uscire dal dualismo significa abbracciare una consapevolezza diversa, “rigenerariva”, come la chiamano loro. Il percorso è più complesso del previsto, ma anche più ricco. Prova a posizionarti o posizionare la tua azienda (o città, o comunità) lungo lo spettro. Qual è il prossimo passo da fare?
Se vuoi dirmi cosa ne pensi sarei molto felice.
Extra: le promesse di Joe Biden
Che settimana!È iniziata con i social impazziti per lo scioglimento di A68, il più grande iceberg del mondo (ma non per colpa del climate change), ed è finita con gli annunci di Joe Biden.
Il presidente americano ha approfittato del Giorno della Terra per promettere una riduzione, entro il 2030, delle emissioni di gas serra del 50-52% rispetto ai livelli del 2005. Una cifra doppia rispetto alle promesse di Obama, ma ancora lontana da essere realizzata: ora bisognerà capire come intervenire. L’annuncio è arrivato giovedì in un imponente summit internazionale sul clima voluto da Biden.
Quando ci sono sviluppi concreti, faccio una puntata sul tema. Se intanto vuoi approfondire ti consiglio: il punto de Linkiesta; le critiche dell’ISPI (al piano di Biden “manca l’ambizione”, dicono); lo spiegone di Vox; i possibili percorsi per ottenere il risultato sul NY Times; e, infine, l’intervento di Draghi.
Segnalibri
Come far uscire il nostro cervello dall’età della pietra. Annamaria Testa su Internazionale.
“Climatariani” e imprenditori (di se stessi): come cambia la Gen Z e che cosa insegna ai brand. Barbara Millucci sul Corriere della Sera.
Jason Hickel: «così il capitalismo uccide». Intervista di Stella Levantesi sul Manifesto.
Da non perdere questo post Instagram di LifeGate per l’Earth Day.
È uscita la traduzione italiana di The future we choose, gran libro di Christiana Figueres, diplomatica a capo dei negoziati degli Accordi di Parigi, scritto insieme a Tom Rivett-Carnac: Scegliere il futuro, edizioni Tlon. Ne ho scritto sul Messaggero.
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