Un crimine contro l’umanità
🌍 Il colore verde #45. Ecocidio: un reato contro di noi e contro l'ambiente che andrebbe perseguito a livello internazionale
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«Per fermare il disastro climatico, rendiamo l’ecocidio un crimine internazionale. È la nostra unica strada», scrive questa settimana sul Guardian l’attivista Jojo Mehta, a capo della fondazione Stop ecocide.
Cos’è questa strana parola, ecocidio?
È un crimine grave contro l’ambiente. Di conseguenza è anche un crimine contro l’umanità. La deforestazione, l’inquinamento delle falde, le emissioni selvagge di gas serra, la distruzione di biodiversità: tutti quei danni “collaterali” ancora poco regolati, soprattutto nei Paesi dove la legislazione è arretrata o facilmente aggirabile.
Per farti un esempio: nella riserva nazionale degli Yanomami, nell’Amazzonia brasiliana, sono sempre più frequenti le incursioni di minatori illegali in cerca d’oro e altri metalli preziosi. I danni della deforestazione valgono per chiunque: il polmone del mondo perde pezzi. Ma è la popolazione locale a pagarne le conseguenze maggiori: un quinto degli indigeni è morto negli ultimi anni a causa di violenze, maggiore diffusione della malaria, malnutrizione e avvelenamento da mercurio, usato per trattare l’oro. Le leggi per proteggere gli Yanomami ci sono, ma non vengono rispettate né fatte rispettare, soprattutto in questi anni in cui il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, ha dimostrato poco interesse per la questione ambientale.
Simili “ecocidi” avvengono in tanti altri angoli di mondo. Il termine è nato con il Vietnam: fu coniato nel 1970 da un botanico che analizzava gli effetti dell’”Agente arancio” usato dall’esercito statunitense. Un defoliante lanciato dagli aerei militari per distruggere la foresta dove i Viet Cong si nascondevano: il composto ha continuato a provocare danni per anni anche sugli umani, a causa delle diossine presenti.
«Immaginate di essere attivisti per i diritti umani e scoprire che non c’è una legislazione contro la tortura, o gli omicidi di massa. – dice Jojo Mehta – Ecco: a chi si batte per l'ambiente uno strumento del genere manca». Il movimento guidato da Mehta parte dal lavoro dell’avocatessa Polly Higgins, morta nel 2019 appena cinquantenne.
Higgins si è battuta tutta la vita affinché l’ecocidio fosse riconosciuto nello Statuto di Roma del 1998, ovvero il documento che istituisce la Corte penale internazionale. Al momento la Corte, che ha sede a L’Aia, affronta solo quattro tipologie di crimini, detti anche “crimini contro la pace”: il genocidio, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il crimine d’aggressione, la cui definizione è ancora molto complicata.
Tutt’oggi ci sono grossi ostacoli nel percorso per istituire il crimine di ecocidio. Innanzitutto manca una chiara definizione. Cos’è un reato ambientale locale e cosa, invece, deve diventare perseguibile a livello internazionale? L’altro scoglio è altrettanto dirimente: le azioni della Corte internazionale non sono universali. Coinvolgono solo singoli cittadini e solo negli Stati che hanno firmato lo Statuto di Roma. Tra i non firmatari ci sono USA, Cina e Russia.
Allo stesso tempo, però, attivisti e politici prendono consapevolezza del tema. Uno degli ultimi è stato il presidente francese Macron: «La madre di tutte le battaglie è globale: bisogna far si che il concetto sia incastonato nel diritto internazionale», ha detto nel giugno 2020. Lo aveva preceduto Papa Francesco nel 2019, con una simile proposta giuridica, a cui aveva aggiunto una nota spirituale: «Dobbiamo introdurre nel Catechismo il peccato contro l’ecologia, il “peccato ecologico”».
Avvocati. Processi. Peccati. Sono sufficiente a fermare l’emergenza? Assolutamente no. Molto spesso i danni peggiori sono causati da una miriade di attori, giustamente non perseguibili. Non possiamo processare tutti gli automobilisti di Milano per l’alto tasso di smog. Né possiamo sostenere che sia colpa delle case automobilistiche.
Ma è una linea rossa che tracciamo. Condivisa a livello morale e giuridico. Per creare dei precedenti, per animare il dibattito e per proteggere popolazioni e luoghi vulnerabili e indifesi. «Sarebbe un radicale cambio del paradigma: costringerebbe chiunque contempli questo “vandalismo su larga scala” a chiedersi: «Finirà alla corte penale internazionale per questo?», come ha scritto nel 2019 il giornalista George Monbiot.
L’articolo di Mehta sul Guardian finisce spiegando l’etimologia di ecocidio. A volte intendiamo il suffisso “eco-” come contrazione di ecologico, e ci basta questo: eco-compatibile, eco-sostenibile. Ma la parola greca da cui deriva ha un significato superiore: oikos. Casa. Uccidere la nostra casa.
Segnalibri:
La crisi climatica vista dagli iceberg della Groenlandia. Un bel documentario di 15 min su Internazionale.
La tempesta di gelo in Texas ci dimostra come siano i poveri a pagare le conseguenze maggiori del clima impazzito. Marika Moreschi su The Vision.
A proposito: se ti piace l’approccio “Economist”, devi recuperare il numero della settimana scorsa, tutto sulla decarbonizzazione degli USA. C’è anche un articolo molto interessante sull’approccio inglese, molto più green di quanto ci aspettiamo.
La corrente del Golfo mai così debole negli ultimi mille anni: è un problema. Giuliano Aluffi su Green and Blue di Repubblica.
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A sabato prossimo!