Cosa è stato Seveso, 45 anni dopo
🌍 Il colore verde #64: Cronaca dell'incidente del 1976, quando dalla fabbrica dell'ICMESA uscì una nube di diossina che causò uno dei peggiori disastri ambientali della nostra storia
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C’è un tassello di storia italiana che chi coltiva una coscienza e una cultura ambientalista deve assolutamente conoscere, ricordare e tramandare: il disastro di Seveso. Avvenuto esattamente 45 anni fa, il 10 luglio 1976. Ho raccontato di Seveso anche nella ultima puntata del mio podcast: se l’hai già sentita, oggi puoi scoprire altre sfaccettature della vicenda e vedere le immagini dell’epoca.
Era sabato, proprio come oggi, sabato 10 luglio 1976. Un sabato di un’estate normalissima: nelle case si cantava “Non si può morire dentro” di Gianni Bella, vincitore del Festivalbar. C’erano stati da poco gli Europei, proprio come in questi giorni: la coppa la vinse la Cecoslovacchia, nella storica sfida ai rigori con la Germania Ovest in cui Antonín Panenka si inventò, per la prima volta, il tiro a cucchiaio.
Era un sabato normalissimo in bassa Brianza, in Lombardia, e più precisamente a Meda, a un passo dal confine con la città di Seveso. Qui si trovava l’ICMESA, una fabbrica chimica attiva già dal dopoguerra e di proprietà del gruppo svizzero Givaudan. Produceva un composto chimico di base, il triclofenolo, usato per cosmetici, disinfettanti e diserbanti.
All’epoca l’Italia era tra i leader mondiali nel campo della chimica e della plastica: in un certo senso, ce l’eravamo inventata noi la plastica, grazie ai lavori di Giulio Natta, premio Nobel nel 1963 per le sue ricerche nel campo dei polimeri sintetici (tra cui il suo Moplen, diventato famoso per un jingle al Carosello: “E mo’, e mo’: Moplen!” che canticchiava Gino Bramieri).
Ore 12.37 di quel sabato 10 luglio 1976. Il turno settimanale è finito, al lavoro ci sono sono le squadre di manutenzione. I reattori chimici vengono arrestati. Ma qualcosa va storto: il sistema di raffreddamento non parte, o non viene azionato, e le reazioni chimiche all’interno del reattore proseguono, generando sempre più calore e pressione: questa variazione di temperatura cambia anche i processi chimici all’interno, e iniziano a prodursi composti molto diversi dal triclofenolo.
La valvola di sicurezza non regge più e si spacca, liberando una nube di 400 chili di gas e particelle: 14 chili sono di diossina TCDD, la più pericolosa delle diossine, un composto estremamente tossico e cancerogeno, tra i più potenti veleni conosciuti.
La nube tossica esce dalla fabbrica e con il vento viene spinta a sud, verso la cittadina di Seveso, avvolgendo vegetazione, animali al pascolo, e chiunque sia all’aperto. Ora tu ti stai immaginando una scena apocalittica da film, con la gente che scappa e urla, gli allarmi che suonano, l’esercito che arriva in fretta e furia.
A Seveso non succede niente di tutto ciò. Da almeno 30 anni dall’ICMESA escono miasmi o scarichi insalubri, tanto che i contadini sono soliti presentarsi alla fabbrica con i capi di bestiame morti o ammalati per chiedere dei piccoli rimborsi. Nessuno, quel sabato, immagina che la nube contenga diossina.
Ci vogliono circa 24 ore perché l’incidente venga segnalato da due tecnici della fabbrica al sindaco di Seveso. Dei campioni vengono inviati in Svizzera, alla sede della Givadaun. Il direttore tecnico svizzero è il primo a intuire che dal reattore possa essere fuoriuscita della diossina, ma tace e attende la conferma dei dati di laboratorio, che arriva appena il 14 luglio.
Sono almeno cinque i giorni di silenzio tra l’incidente e i primi provvedimenti del comune, quando ormai i casi di intossicazione si fanno numerosi. Ai cittadini viene detto di non mangiare prodotti ortofrutticoli e non entrare in contatto con la vegetazione. L’area viene circoscritta con cartelli di pericolo.
Ci vogliono sette giorni perché i giornali scrivano dell’incidente. Il Giorno di Milano, titola: Bimbi rossi e gonfi per una nube di gas.
I ricoveri per intossicazione salgono. Otto giorni dopo l’incidente viene chiusa la fabbrica. La prima ammissione di responsabilità della Givadaun è del 23 luglio. Il 24 il comune firma l’ordine di evacuazione, che parte lunedì 26 (16 giorni dopo l’incidente!).
L’area vicino alla fabbrica viene divisa in zone, e la ZONA A viene recintata e svuotata. È una zona abitata in particolare da operai meridionali e veneti, famiglie emigrate in Lombardia in cerca di lavoro. I primi evacuati sono poco più di 200, ma poi l’area vietata si allarga, fino ad arrivare a 736 persone, ovvero 204 famiglie, che vivranno per più di un anno e mezzo in alcuni alberghi pagati dalla regione.
Nei primi giorni muoiono circa 3.000 animali, ma poi viene emanato l’ordine per abbattere tutti gli esemplari censiti nella zona, per precauzione. Totale: 80.000 animali morti o abbattuti.
Non si contano decessi tra la popolazione, ma circa 200 bambini sviluppano la cloracne, una reazione della pelle al composto tossico che porta bolle e lesioni. Alcuni vengono ricoverati, e ricoperti di bende in tutto il volto, fino ad assomigliare a delle mummie. Le immagini, spaventose, fanno il giro del mondo.
Gli altri soggetti più colpiti dalla diossina sono le donne incinte. La diossina può avere effetti disastrosi sulla gravidanza, causando malformazioni al feto o aborti. Spaventate dalla prospettiva, una trentina di donne decidono di interrompere la gravidanza. Una decisione difficile, dibattuta da tutti, non solo dalle famiglie colpite. Perché all’epoca l’aborto è ancora fuorilegge, ed è autorizzato solo in pochissimi casi, e la deformazione del feto non rientra tra le deroghe.
Il dibattito sugli aborti di Seveso divide la politica: i cattolici pur di difendere le loro posizioni antiabortiste minimizzano gli effetti del veleno e dell’incidente, e la sinistra usa Seveso come grimaldello per forzare l’introduzione della legge che poi arriverà nel 1978.
Sono mesi drammatici per l’intera comunità, e la ferita diventa una delle peggiori ferite italiane e mondiali: secondo una classifica del 2010 della rivista Time, è all’ottavo posto tra i peggiori disastri ambientali della storia. Nel 1977 sono aumentati gli aborti spontanei e negli anni e decenni successivi diversi studi hanno registrato un incremento di tumori o patologie riconducibili all’esposizione alla diossina. La mortalità, però, non è aumentata e i rischi sono sempre stati relativamente limitati.
Questo anche perché l’area è stata bonificata, anzi sotterrata. La fabbrica, 41 case, le auto i mobili, gli animali, le attrezzature di bonifica e la terra, scavando in profondità per 46 centimetri. Tutto il materiale è stato chiuso in due enormi vasche sotterranee.
Dagli anni 80, sopra quelle due vasche di Seveso e Meda, grandi 200.000 e 80.000 metri cubi, c’è un bosco, il Bosco delle querce, composto da circa 40.000 tra piante e alberi.
Una tomba. Una cicatrice verde. A futura memoria: per ricordarci di non fare gli stessi errori, per ricordarci che li abbiamo commessi.
Antonello Venditti ha scritto una canzone su quei giorni: Canzone per Seveso. Inizia così:
Era il dieci luglio di una terra senza colpa
bambini nei giardini giocavano nel sole
e l’aria era di casa, di sugo e di fatica.
📰 I link
Gli animali si stanno rimpicciolendo. Non è un film Disney, è colpa del cambiamento climatico. Su Vox.
Prendere l’aereo una volta ogni tre anni, mangiare di meno, vivere in case piccole: cosa dovremmo fare per raggiungere un consumo energetico individuale che non faccia superare il surriscaldamento globale sopra la soglia critica. Un nuovo studio dell’Università di Leeds, che sforna sempre ricerche molto interessanti sul tema.
“Tutte le parole sulla crisi climatica sono già state dette”: la riflessione di Sarah Miller, giornalista americana, abbastanza rassegnata.
Anche Chicago soffre gli effetti del climate change, in particolare nei suoi bacini idrici: un bellissimo lavoro multimediale del NYTimes utile a capire le conseguenze, a volte controintuitive, del clima surriscaldato.
“Una nuova ipotesi sulle ondate di caldo mai viste prima”. Gwynne Dyer su Internazionale.
Visibilissimi effetti a un mese dal disastro ambientale della nave portacontainer andata a fuoco a largo dello Sri Lanka: sono apparse centinaia di tartarughe morte sulle coste.
Non è una storia nuovissima, ma lo sapevi che Morgan Freeman è diventato apicoltore (nel 2014) e negli ultimi anni ha convertito il suo ranch di 50 ettari in un bee sanctuary, ovvero una sorta di rifugio per api?
Da vedere: Il 15 luglio su Rai 2, in seconda sera, sarà trasmesso “Controcorrente”, un documentario sullo stato dell’acqua in Italia (ne avevo parlato anche qualche mese fa), realizzato da due giovani giornalisti, Claudia Carotenuto e Daniele Giustozzi. Merita (qui il trailer). Lo trovi dal giorno dopo anche su RaiPlay.
Da viaggiare: Partirà ufficialmente il 16 luglio la Appennino Bike Tour, la ciclovia più lunga d’Italia. Un percorso di 2600 km (dalla Liguria alla Sicilia) con postazioni di ristoro e 44 tappe intermedie. Una bella idea per chi va in bici.
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