Chi diavolo paga il conto?
🌍 Il colore verde #131: La Cop27 ci fa discutere, finalmente, di loss and damage. Ma i problemi in Egitto sono tanti. Nel frattempo i ciclisti bloccano i jet privati
Buongiorno! Grazie a chi legge sempre, grazie mille a chi risponde, e un benvenuto a chi è si è appena iscritt*.
Da agosto questa newsletter ha cambiato leggermente forma. Al posto di un unico approfondimento, ora lo schema più ricorrente è fatto di 4-5 notizie commentate (alcune più lunghe, altre più brevi). Mi sembra così di riuscire a stare meglio al passo con l’emergenza climatica: i fronti aperti sono davvero tanti.
Dopo qualche mese di sperimentazione, oggi ti chiedo se questa formula ti convince, o preferisci la versione precedente. Puoi dare un “voto” qui sotto, cliccando una delle due opzioni:
Va bene, via rapidi. Ecco il menù.
🤝 Il punto su Cop27, anzi tre punti: Loss and damage, lo stato dei negoziati, i diritti civili
🧮 Qualche brutto numero della settimana
🚴♀️ L’attivismo in bicicletta: nei Paesi Bassi contro i jet privati, a Milano per proteggere la ciclabile
⛲ Letturine belle: fotovoltaico sopra tutti i parcheggi, il corso obbligatorio di crisi climatica all’Università di Barcellona
🌊 COP27 | 1 | Loss and damage
Vai di fretta e vuoi capire il nocciolo della questione di Cop27? Bene, il concetto più importante dell’anno è quello del loss and damage. Perdite e danni. È l’espressione che si usa per indicare il principio per cui i Paesi più ricchi e inquinanti del mondo devono trovare il modo per risarcire i Paesi più poveri e vulnerabili al climate change.
Quest’anno più che mai il tema è sul tavolo. Servono tantissimi soldi, ovviamente. Serve una struttura finanziaria internazionale che gestisca e regoli i flussi. Non solo investimenti e prestiti, ma anche somme a fondo perduto. Perché se ne parla proprio ora? Perché negli scorsi anni parlavamo di mitigazione e di scenari futuri. Ora abbiamo capito che l’emergenza climatica è già gravissima in molti angoli di mondo e persino a casa nostra gli effetti si vedono in maniera evidente: dobbiamo fare qualcosa. Il tema è molto dibattuto a Cop27 ma non per questo dobbiamo aspettarci risultati incredibili nei negoziati. Le distanze tra le parti sono enormi (gli Usa, per esempio, sono contrari). Però è un gran bene che da questione tecnica si trasformi in un tema da dibattere, parte della nostra cultura condivisa.
Ne ho parlato in questi giorni su La Stampa: un commento sul quotidiano e un video su Instagram. Altri approfondimenti:
È il momento di risarcire il sud del mondo (Internazionale)
Basta scorciatoie: il “Loss and damage” deve essere a fondo perduto (Linkiesta)
After decades of resistance, rich countries offer direct climate aid (NY Times)
🤝 COP27 | 2 | Come stanno andando i negoziati
I negoziati vanno a rilento. Tanto che la speranza dell’inviato speciale per il clima del nostro governo, Alessandro Modiano, è “che non si facciano passi indietro”. Riassume molto bene la situazione: se pareggiamo, sembra dire, è già un lusso.
Domenica scorsa, avviando i lavori, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha usato una delle sue frasi a effetto:
“Siamo sull’autostrada verso un infermo climatico, con il piede schiacciato sull’acceleratore”
Hanno fatto seguito altri grandi slanci retorici e persino Giorgia Meloni ha provato a uscirne promettendo che l’Italia farà la sua parte in Europa e nel mondo.
Cop finirà venerdì, o al massimo sabato se i negoziati andranno “ai supplementari”. Nei prossimi giorni potrebbero arrivare annunci di Stati singoli, gruppi di Paesi e iniziative pubbliche-private.
Si sta lavorando anche al documento finale, che deve essere accettato da tutti. Al momento le linee chiave potrebbero essere queste, stando a quanto ci racconta Andrea Ghianda del think tank italiano Ecco:
non indietreggiare rispetto agli impegni di Cop26;
riconoscimento tra un diretto collegamento tra crisi climatica e crisi alimentare;
un’agenda climatica più coraggiosa per i Paesi in via di sviluppo e vulnerabili, che porti all’avvio di una “riflessione su come attuare una riforma del sistema finanziario” per trovare le migliaia di miliardi di dollari necessari;
un invito rivolto a tutti gli Stati a rivedere e rafforzare gli obiettivi del 2030 per allinearsi a +1,5°C.
Come vedi, è tutto diplomatichese.
Se ti appassiona la Cop da volerne sapere tutti i dettagli, ti segnalo nuovamente alcuni canali dove ricevere informazioni quotidiane: il bollettino dell’Italian Climate Network, la newsletter Areale di Ferdinando Cotugno per Domani, il podcast CopCast di Tommaso Perrone, il podcast Dalla Cop con amore curato da Daniele Scaglione per So come dirtelo che ospita Andrea Ghianda da Sharm. E ovviamente il santissimo Guardian (in inglese).
🤷♂️ COP27 | 3 | I tanti problemi irrisolti
Sulla questione diritti civili si gioca la credibilità di tutta la Cop27. Alaa Adbel Fattah, uno dei leader della Primavera araba (ne ho raccontato la vicenda due settimane fa) è ancora in carcere, nonostante molti leader e ospiti a Sharm el-Sheikh abbiano chiesto al governo egiziano la sua liberazione. L’attivista sta portando avanti lo sciopero della fame da aprile e da questa settimana anche quello della sete. I familiari non possono vederlo, il suo legale è stato autorizzato a un incontro, che però poi gli è stato negato con dei pretesti burocratici. Sembrerebbe che in carcere stia ricevendo l’alimentazione forzata, anche se ora i suoi parenti chiedono una “proof of life”, una prova che sia ancora vivo e stia bene.
La mancata liberazione di Alaa sarà uno dei grandi punti deboli di Cop. Dovesse addirittura morire, proprio in questi giorni, sarebbe uno dei più grandi fallimenti internazionali della storia recente.
L’Egitto durante la Cop sta stringendo ulteriormente le maglie del controllo e della repressione: ci sono stati numerosi di arresti in queste settimane. L’app ufficiale dell’evento è usata per monitorare gli spostamenti degli ospiti. E manifestare nel resort che ospita l’evento è complicato, come hanno denunciato molti stranieri. La tensione è alta, me l’ha raccontato anche Andrea Pesce di ZeroCO2 che è lì e ho intervistato per La Stampa (“Partecipare è fondamentale: solo così possiamo essere il cambiamento che vogliamo nel mondo”, mi ha detto).
Ferdinando Cotugno ha raccontato come l’organizzazione generale sia piena di falle: “a un certo punto mancavano il cibo, l’acqua, e la rete Internet e la terza sera, ricordiamolo, si sono pure rotte le fogne”. Non male.
Le contraddizioni si allargano anche ai negoziati: si è scoperto, per esempio, che si sono accreditati all’evento 636 lobbisti delle compagnie legate alle fonti fossili (petrolio, carbone, gas). Si tratta, spiega l’ente Global Witness, di un + 25% rispetto alla Cop dell’anno scorso a Glasgow. Un numero più alto di qualsiasi altro Paese (esclusi gli Emirati arabi uniti, 1.070) e persino più alto di tutti i delegati dei Paesi vulnerabili messi insieme.
Il pericolo che i lobbisti favoriscano il greenwashing delle aziende che rappresentano, o rallentino la transizione energetica è evidente. E ancora una volta mette in luce uno dei grandi problemi del carrozzone Cop27 (che tra gli sponsor ha persino Coca cola): è un appuntamento fondamentale dal punto di vista diplomatico, ma che dal punto di vista economico risponde a logiche a volte contrarie al motivo per cui l’evento stesso è nato. È importante che partecipino tanti attori diversi, certo, ma – come ripetono in questi giorni gli attivisti – non inviteremmo una delegazione così grande di produttori di sigarette a un convegno sul cancro ai polmoni. Chi è in Egitto a rappresentare le big oil sta usando una strategia ben affinata: dare la colpa alle azioni individuali. Ma noi de Il colore verde lo sappiamo bene: uno non vale uno.
Dall’acqua ai jet privati: la Cop27 delle contraddizioni tra diritti negati e prezzi alle stelle (Green & Blue)
Le linee guida dell'Onu contro il greenwashing (Green & Blue)
Vanessa Nakate: «Alla Cop27 in Egitto non mi fanno parlare. L’ambientalismo è una lotta per i diritti umani» (Pianeta 2030)
Qualche brutto dato della settimana
Due report usciti in questi giorni, vado rapido.
Le proiezioni del Climate Action Tracker mostrano che:
Se le politiche climatiche non migliorano raggiungiamo +2,7°C rispetto all’era pre-industriale
Se implementiamo target 2030, arriviamo a 2,4°C
In uno scenario ottimistico con obiettivi “aggressivi” raggiunti, arriviamo a +1,8°C
Insomma: in un anno le previsioni non sono migliorate. Qui uno schemino:
L’analisi del Global Carbon Budget dice che:
Se le emissioni globali non cambiano drasticamente, abbiamo il 50% di possibilità di raggiungere +1,5°C già nel 2031.
Le emissioni di CO2 da fonti fossili sono salite dell’1,0% nell’ultimo anno.
Il carbone è stato responsabile nel 2022 per il 40% delle emissioni fossili, il petrolio del 32%, il gas del 21%. Quello cresciuto di più è il petrolio, perché dopo gli anni di lockdown e limitazioni, siamo tornati a spostarci in massa.
✈️ Gli attivisti inglesi bloccano i jet privati
Un’azione radicale secondo me piace a tutti. Sabato 5 novembre all’aeroporto Schiphol di Amsterdam centinaia di attivisti per il clima di Greenpeace e Extinction Rebellion hanno occupato in bici (!) la pista dedicata ai jet privati. Hanno chiesto al governo maggiore regole per ridurre le emissioni di CO2: “meno voli, più treni e il divieto di jet privati e voli brevi, ad esempio per Bruxelles o Parigi”.
Si sono seduti attorno a un aereo, prima di essere inseguiti dalla polizia: chi è riuscito è scappato, ma molti sono stati fermati, identificati e denunciati.
Ieri, invece circa venti scienziati italiani di Scientist Rebellion si sono incatenati di fronte all'aeroporto di Linate (Mi) nel punto da cui partono i voli privati per chiedere la chiusura di questi scali e l’introduzione di una tassa globale sul clima.
Tra tutte le proteste che stanno emergendo nell’ultimo periodo, mi sembrano quelle che maggiormente colpisce l’obiettivo: prendersela con chi inquina di più e con chi, davvero, può fare delle rinunce che incidono nel bilancio delle emissioni.
La conversazione sui jet privati si sta muovendo in fretta e sta spostando l’opinione pubblica. Qui la seguiamo ormai da qualche mese, vedrai che sarà sempre più dirompente.
🚴♀️La catena umana per difendere la corsia ciclabile di Milano
Menzione necessaria anche per un’altra azione ciclistica molto appariscente, e secondo me particolarmente efficace. A Milano giovedì mattina centinaia di ciclisti hanno creato una “catena umana” lungo la corsia ciclabile di Via Monza, delimitata solo da una linea dipinta sull’asfalto.
L’iniziativa si chiamava ProteggiMi. L’obiettivo? Ridurre gli abusi dell’auto (parcheggi in doppia fila, sorpassi a destra e tutto il resto) ma soprattutto chiedere al Comune garanzie di maggiore sicurezza. Martedì mattina un ragazzo di 14 anni è stato investito da un tram in via Tito Livio mentre andava a scuola in bici.
📰 Rassegna verde
All’Università di Barcellona sarà obbligatorio, dal 2024 e per tutti gli studenti, un corso di crisi climatica. Si è arrivati alla decisione dopo sette giorni di proteste degli studenti e del movimento End Fossil Barcelona (The Guardian)
Patrimoni. Da leggere l’editoriale del direttore di Internazionale sull’ultimo numero della rivista (Internazionale)
La Francia vuole ricoprire i grandi parcheggi di pannelli solari (Il Post)
Giornali e crisi climatica: l’osservatorio di Greenpeace ha pubblicato i risultati aggiornati del loro monitoraggio. Le cose non vanno benissimo, ma fatemi dire che La Stampa ha recuperato il gap. Ci stiamo impegnando. (Greenpeace)
Chi inquina di più? Una ong americana ha trovato 72.000 grandi inquinatori, tra impianti, navi cargo, industrie (NY Times)
Cento tra i più importanti musei e gallerie del mondo hanno firmato una lettera che chiede agli attivisti di fermare le azioni di protesta contro i quadri: “si sottovaluta l’estrema fragilità delle opere d’arte”, anche quelle ben protette. (The Guardian)
📸 La mia foto preferita
Un cucciolo di scimpanzé, in braccio alla madre, fotografato nel parco nazionale della foresta Kimbale, in Uganda. La foto è tra le vincitrici del Mkapa African Wildlife Photography. La gallery su La Zampa.
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Se sei arrivat* fin qui sotto, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. La newsletter esce ogni sabato, feste incluse. Nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
Da quando mi occupo di ambiente, ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, prodotto da Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (2022, Onepodcast/La Stampa).
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