La Cop26 è finita. Malino.
🌍 Il colore verde #82: Dopo due settimane di negoziati, finiti ai tempi supplementari, nessuno è veramente felice del risultato. Il bilancio di Glasgow in 6 punti e 3 criticità
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C’è un grande adagio che piace ai negoziatori di tutto il mondo: «Se nessuna delle parti è felice, vuol dire che il compromesso trovato è quello giusto».
Non credo sia del tutto vero – perché un negoziato dovrebbe essere la condivisione di una vittoria, non di una sconfitta – ma sentiremo molto ripetere questa frase nei prossimi giorni dai politici che cercano di uscire dal pantano delle probabili polemiche.
Perchè dopo 13 giorni di negoziati alla Cop26 di Glasgow, finiti oggi ai “tempi supplementari”, è stato trovato un accordo condiviso da tutti i 196 Paesi.
Da un lato è un successo, perché tiene in vita le speranze: all’ultima Cop, quella di Madrid del 2019, le parti si erano lasciate senza un’intesa. Dall’altro, però, l’accordo approvato è ancora distante dalla spinta di cui avevamo bisogno.
«Un accordo imperfetto ma adeguato e ben supportato dalle parti», ha sintetizzato Alok Sharma, il capo negoziatore inglese che guida la Cop26.
Le bozze di accordo hanno subito giorno dopo giorno modifiche, con parti eliminate o indebolite. Eppure c’era stato un momento, la settimana scorsa, in cui le speranze si erano riaccese, con le intese – firmate tra gruppi di Stati – sulla deforestazione, il metano e il carbone (ne ho parlato nella scorsa puntata).
L’accordo finale è stato finalmente approvato stasera alle 20.50, con circa 24 ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia, ed è per questo che la newsletter ti arriva appena ora. Il mio giudizio in sintesi: è un ottimo piano, se fosse il 2011 e non il 2021. Oggi è un piano quantomeno al ribasso.
Il documento finale è lungo 10 pagine e l’accordo d’ora in poi verrà chiamato il Glasgow Climate Pact, il patto climatico di Glasgow.
Cinque punti chiave dell’accordo
1. 🎯 Obbiettivi aggiornati ogni anno.
Non più ogni cinque: a ogni nuova Cop (che si tiene già ogni anno e il prossimo sarà in Egitto) i Paesi saranno chiamati ad aggiornare i propri piani per la riduzione delle emissione, in particolare per i programmi relativi a questo decennio.
2. ⛽ Finalmente si parla dell’abbandono del carbone e dei finanziamenti pubblici ai combustibili fossili.
Per la prima volta in 27 anni di Cop, ai Paesi è chiesto che accellerino gli sforzi per ridurre gradualmente il loro uso del carbone e i sussidi ai combustibili fossili “poco efficenti” (riferimento ambiguo che può salvare il gas). Per farlo, bisogna riconoscere la necessità di una “transizione giusta”, spiega il documento, quindi garantire sicurezza ai lavoratori di quei settori.
3. 📉 Target: –45% di emissioni nel 2030.
La prima volta che compare un numero e un anno. Per la fine del decennio tutto il mondo deve emettere il 45% in meno di emissioni di gas serra rispetto ai valori del 2010.
4. 🔬 Scienza e adattamento prima di tutto.
I primi due punti dell’accordo spiegano quanto l’emergenza sia reale, basata su dati scientifici accurati, e attuale: bisogna agire fin da subito per prevenire e mettere in sicurezza chi e ciò che è già vulnerabile.
5. 💰 Più aiuti ai Paesi in via di sviluppo.
Bisogna almeno “raddoppiare” gli sforzi per aiutare i Paesi poveri ad avviare o proseguire la transizione energetica. Ai Paesi ricchi, che a Parigi avevano promesso un fondo di 100 miliardi di aiuti all’anno, è chiesto di mantentere quella promessa (i fondi non ci sono ancora) e poi aumentarla gradualmente. Non ci sono date, non ci sono numeri: speriamo.
6. 💨 Un passo avanti per il mercato del carbone e per la trasparenza.
Dagli accordi di Parigi erano rimasti in sospeso alcuni articoli del Paris Rulebook, un regolamento che affronta questioni tecniche importanti. È stato approvato l’articolo 6, relativo al “mercato del carbonio”, ovvero la possibilità dei Paesi più inquinanti di compensare le loro emissioni finanziando progetti a emissioni negative in altri Paesi, in particolare negli Stati meno ricchi. Ed è stato approvata anche l’articolo che obbliga gli Stati alla rispetto al conteggio delle loro emissioni: entro il 2024 dovranno rendere noto con precisione i dati in loro possesso.
Ci sono, poi, anche alcuni punti su cui non si è trovato una vera e propria quadra.
Cosa è andato storto
•🛎️ Il carbone è stato salvato all’ultimo minuto
Dopo giorni di dibattito la questione dell’eliminazione del carbone dalle economie nazionali è stata molto ridimensionata. Si è passati da “l’abbandono del carbone”, all’eliminazione graduale (phase-out), alla riduzione graduale (phase-down): questa ultima novità è stata introdotta all’ultimissimo minuto dall’India, facendo infuriare tantissimi delegati.
Non solo: è stata aggiunta una parola dopo combustibili fossili: “unbated”, che possiamo tradurre con “non abbattuti”, così da legittimare chi usa carbone e petrolio ma ne compensa, in qualche modo, le emissioni. Insomma, mille cavilli per accontentare tutti e diluire il più possibile quello che sembrava, all’inizio della settimana, un gesto finalmente coraggioso.
•🌪️ I Paesi che già pagano le conseguenze del climate change, continueranno a pagarle
Ha portato a ben poco il lungo negoziato sulla questione del “Loss&Damage”, ovvero la richiesta dei Paesi più vulnerabili all’emergenza climatica di ricevere delle compensazioni e delle riparazioni economiche ai danni che già stanno subendo. Alle proposte di formule più stringenti, fatte da un gruppo di Paesi che rappresenta l’85% della popolazione globale, si sono opposti l’Europa e gli Stati Uniti. Alla fine, nel documento, la questione è trattata con sufficiente vaghezza perché non si concretizzi nessun meccanismo di aiuto. «Un tradimento dei Paesi ricchi verso gli Stati vulnerabili», l’ha definito un analista. Tutto rinviato.
• 🌡️ +2 gradi o +1,5?
Doveva essere la Cop che poneva l’obbiettivo di surriscaldamento massimo del pianeta a +1,5°C: seppure il testo sia più stringente rispetto al vago obiettivo di Parigi, e sia più indirizzato verso l’asticella del grado e mezzo (l’unico che evita i danni peggiori), l’ambizione più forte continua a mancare. Al momento, sommando tutti gli obbiettivi degli Stati relativi a questo decennio, l’aumento della temperatura arriverebbe a +2,4°C per la fine del secolo.
La notizia della settimana: USA + Cina = 🤝
L’altra grande notizia della settimana da Glasgow è stata annunciata mercoledì nella sorpresa generale.
La delegazione cinese e quella americana hanno annunciato che da qui al 2030 USA e Cina collaboreranno sul fronte del climate change. Non ci sono programmi o target specifici, per ora, ma è un progresso incredibile, soprattutto dal punto di vista geopolitico.
I due Paesi si fanno la guerra da anni – economica, commerciale, tecnologica, militare – e continueranno a farsela, ma con questo accordo sembrano dire: «Ok, ma lasciamo fuori dal nostro conflitto il cambiamento climatico. È un tema troppo decisivo perché finisca tra i nostri bisticci». Ecco, questo è un negoziato finito bene per entrambe le parti: il presidente americano Biden può dire di avere portato dalla sua parte persino la Cina; e la Cina, che in questa COP26 non aveva dato il meglio di sè (Xi Jinping non si è presentato), può uscirne comunque a testa alta.
Soprattutto, l’accordo può davvero fare bene al Pianeta: la Cina è il Paese che genera più emissioni al mondo (circa il 28% del totale), e gli USA sono il secondo, nonché il primo per emissioni storiche dal 1750 a oggi. Insomma: i peggiori della classe hanno deciso di allearsi e, speriamo, redimersi.
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Ps. Vorrei ringraziare e fare i complimenti per il grande lavoro Destinazione Cop e il bollettino quotidiano dell’Italian Climate Network, che per me e chi li ha seguiti, letti e ascoltati sono state due importanti canali di informazione da Glasgow.
📰 Link, Link, Link
«I politici devono decidere, altrimenti clima fuori controllo». Stella Levantesi per il Manifesto ha intervistato Ed Hawkins, l’inventore delle famose warming stripes.
Attorno alle chiese etiopi resistono le ultime foreste del Paese africano: sono veri e propri “Giardini dell’Eden”. Bellissimo progetto multimediale che racconta un fenomeno poco conosciuto.
“Smartphone e ambiente: ne buttiamo 1,5 miliardi l’anno, ma non li ricicliamo. Perché?”. L’inchiesta di Milena Gabanelli sul Corriere.
I passi avanti fatti dell’Italia verso la transizione ecologica. Riccardo Liguori su Greenkiesta analizza il nuovo rapporto “GreenItaly”.
“Non basta affidarsi alla tecnologia per salvare il Pianeta”. Lunedì scorso per il Messaggero ho intevistato Michael E. Mann, celebre climatologo.
🔥 Benzina sul fuoco: le menzogne di Big Oil
Benzina sul fuoco è un podcast curato dal professor Marco Grasso e da Sabina Zambon: è appena uscita la seconda puntata dedicata a tutte le bugie che i colossi del petrolio hanno raccontato negli scorsi decenni per evitare di discutere delle responsabilità del climate change. Conoscevano il problema già negli anni ‘70 ma hanno fatto di tutto per diffondere dubbi, fake news e scetticismo attraverso pubblicità e attività di lobby.
È un podcast fatto veramente bene, nella forma e nei contenuti: è prodotto da Piano P e per tutte le prossime puntate includerò un piccolo riassunto.
Insieme all’associazione Cittadini per l’Aria, la Fiab – Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta e lo studio ForEst, collaboro – gratuitamente – alla sua diffusione.
🎧 Lo ascolti su: Apple, Spotify, Amazon Music.
In una delle prossime puntate della newsletter intervisterò il professor Grasso, quindi se hai domande sui contenuti del podcast, fammi sapere, che gliele giro!
👇 La cosa più bella
Le illustrazioni naturalistiche di James Bolton, naturalista britannico del 1700: la piattaforma Rawpixel le ha rese disponibili al download gratuito e in alta definizione. In più: Francesca Buoninconti (che forse ricordi per questa puntata della newsletter) ha riconosciuto gli uccelli disegnati e li ha descritti in questo post di Codice Edizioni su Facebook.
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, sono friulano, sono un giornalista e ho 30 anni. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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