Cinque anni per il Pianeta
🌍 Il colore verde #124. Una riflessione sulle elezioni, due notizie sulla giustizia climatica e tre baby-panda
AUTUNNO CALDO.
Ciao! Ieri è ufficialmente iniziato l’autunno, anche se ho l’impressione che lunedì ci risveglieremo raggelati come fosse già inverno. Vado rapido con le introduzioni: grazie alle tantissime nuove persone che si sono iscritte questa settimana. Sono scarso con le analisi dei dati, quindi non so da dove venite e chi vi ha consigliato di fare un salto nel mega-mini mondo de Il colore verde: se vi va, raccontatemelo rispondendo alla mail. Sono curioso!
Ecco cosa trovate nella puntata di oggi:
💚 Un’opinione: vadano come vadano, le elezioni porteranno a uno dei parlamenti più importanti di sempre
🔥 Due notizie: l’attivista che si da fuoco per il clima, la Norvegia che abbraccia la giustizia climatica
🐼 Letturine e belle visioni: il mito di Greta, cuccioli di panda, la crisi delle pere, un’ode necessaria
💚 Lunedì ripartiamo con coraggio
Ci siamo. Vincerà chi vincerà. O non vincerà nessuno e governare sarà complicato. Qualsiasi cosa succeda domani e la prossima settimana, stiamo eleggendo il Parlamento che ci rappresenterà fino al 2027. Un Parlamento che dovrà affrontare sfide enormi: dal punto di vista “verde”, sarà il Parlamento che lavorerà negli anni più difficili e più importanti nel contrasto alla crisi climatica.
È vero: se i sondaggi non mentono, sarà un Parlamento a trazione conservatrice. Nelle scorse puntate abbiamo visto come le idee di Meloni, Salvini & Co. non siano esattamente dalla parte del Pianeta. Scienziati, associazioni ed esperti hanno tutti bocciato i programmi della coalizione di centro-destra. Spesso pesantemente.
Ma sarebbe sbagliato chiuderla qui. Anzi, chiuderci qui, e proclamarci re e regine del nostra minuscola bolla dallo spazio infinito. Ma il Pianeta ci ricorda ogni giorno che clima, ambiente, transizione energetica giusta e rinnovabile non possono essere solo temi di sinistra. Non è proprio concesso dai fatti.
Cinque anni fa, elezioni 2018, non c’erano pandemie, né guerre alle porte dell’Europa. Il digitale non era così pervasivo, con tanto di multiverso e TikTok. In Italia non c’era il reddito di cittadinanza, né il Pnrr. Non c’erano nemmeno una crisi energetica così forte, una siccità così intensa, degli eventi estremi così mortali.
Negli ultimi anni abbiamo imparato tanto, noi italiani e in generale noi esseri umani. Nei tempi di crisi nascono le idee più importanti. E se i nostri governi sono partiti all’arrembaggio, improvvisando molto, poi si sono dovuti assestare: ti ricordi i messaggi a reti unificate di Conte e di Mattarella all’inizio del lockdown?
Ecco: non voglio dire che ce la faremo. Ma voglio dire che da lunedì, qualsiasi sia l’esito del voto, inizieranno cinque anni decisivi. Questa legislatura coincide con il periodo in cui gli esseri umani dovranno ancora una volta cambiare pelle. C’è sempre quella parola lì, che io ripeto spesso e che ormai va di moda: rigenerazione. Nei prossimi cinque anni dobbiamo fare tutto il nostro meglio per diventare una specie rigenerativa. Riparare invece che danneggiare. Sarà compito anche dei nostri nuovi parlamentari, e avremmo modo di chiederglielo anche dopo il voto, presidiandoli, insistendo, facendolo capire a chi non lo vuole capire. E se loro non faranno nulla, perché ignavi o troppo furbi, noi dovremmo lavorare il doppio: nelle città, nelle associazioni, nelle aziende, nelle scuole. E lo faremo.
Da lunedì si riparte, con coraggio. Con amore.
🔥 Darsi fuoco per il clima
Ieri pomeriggio a Londra, sul campo da tennis della O2 Arena dove si stava per giocare un match della Laver cup, un’attivista climatico si è dato fuoco al braccio. Indossava una t-shirt bianca con un’unica scritta stampata: “End UK Private Jets”. Mettete fine ai jet privati nel Regno Unito. Un tema che abbiamo ormai imparato a conoscere in questi ultimi mesi; se vogliamo inquinare di meno e soprattutto ridurre le diseguaglianze climatiche, dobbiamo in qualche modo ripensare il viaggi privati.
Mi ha colpito, ovviamente, la notizia: dei tanti modi di protestare, questo è certo uno dei più pericolosi. Darsi fuoco per l’ambiente, per il clima, per la giustizia climatica.
Alla fine l’attivista stava bene. Ha rapidamente spento le fiamme e, stando al resoconto della polizia, non ha subito ustioni gravi. L’uomo, di cui non si conosce l’identità, dovrebbe far parte dell’associazione “Sacrifice for Survival”, che ha una missione tanto chiara quanto estrema: “continueremo a darci fuoco finché il governo inglese abolirà i voli interni”.
Non sono gli unici che hanno scelto metodi così estremi. L’anno scorso negli Stati Uniti un uomo è morto dandosi fuoco fuori dalla Corte Suprema di Washington. Wynn Bruce, 50 anni, originario del Colorado, buddista si è immolato proprio nel Giorno della Terra, l’Earth day, che cade ogni anno il 22 aprile. Nonostante non abbia lasciato note o lettere, i suoi amici all’epoca avevano detto che “non si tratta di un suicidio”, ma di “un atto coraggioso di compassione, per portare all’attenzione di tutti la crisi climatica”.
Nei libri di storia leggiamo la storia (e vediamo la foto) del monaco buddista che nel 1963 si da fuoco in mezzo a una strada di Saigon, per protesta contro il regime del Vietnam del Sud. Bruciò fino alla morte, ma tra le ceneri venne ritrovato il suo cuore intatto. Fra cinquant’anni parleremo dei gesti estremi degli attivisti del clima?
🌊 Il senso della Danimarca per la giustizia climatica
Giustizia climatica, atto primo. Durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si è tenuta martedì a New York, la Danimarca ha annunciato che devolverà 13 milioni di euro ai paesi del mondo che stanno subendo i maggiori danni a causa del cambiamento climatico.
«È enormemente ingiusto che i paesi del mondo più poveri debbano risentire di più per le conseguenze di un cambiamento climatico che hanno contribuito a creare solo in minima parte»
Queste le parole pronunciate dal ministro danese dello Sviluppo e della Cooperazione, Flemming Møller Mortensen, che ha poi spiegato che la scelta è stata ispirata da un viaggio in Bangladesh colpito dalle alluvioni la scorsa primavera.
È una notizia piccola, se consideriamo le somme, ma grande dal punto di vista simbolico. La Danimarca è il primo paese membro dell’Onu che si è fatto avanti con una proposta economica concreta per la giustizia climatica e nello specifico per la questione del loss&damage (perdite e dei danni legati al clima). Il principio è chiaro: chi più ha in termini economici e chi più contribuisce alle emissioni di gas serra dovrebbe aiutare chi meno ha e meno contribuisce: Paesi dell’Africa sub-sahariana, del Sud-est asiatico, dell’Asia centrale.
Gli accordi internazionali sul clima di Parigi del 2015 avevano stabilito che gli Stati ricchi avrebbero dovuto costituire un fondo da 100 milioni di dollari che sarebbe stato poi distribuito ai Paesi vulnerabili: l’anno scorso, con la Cop26 di Glasgow, si era scoperto che il fondo non era ancora completo e molta strada è ancora da compiere. Il tema della giustizia climatica e del loss&damage è quello che ha trovato meno d’accordo gli Stati, tanto che non si era arrivati a nessuna conclusione. Con tutta probabilità sarà un argomento centrale al prossimo appuntamento Cop, atteso per novembre a Sharm El Sheikh, Egitto.
📰 Da leggere
C’è una grossa crisi per le pere italiane (Il Post)
Lo sciopero globale di ieri dei Fridays for Future non ha fatto grandi numeri (siamo lontanissimi dai livelli del 2019), ma si è comunque fatto sentire. Qui un resoconto sulle manifestazioni italiane (Repubblica), qui uno su quelle globali (Guardian).
Il mito di Greta Thunberg. Letturona! (Il Tascabile)
In Svizzera si vota il referendum per abolire gli allevamenti intensivi (Sole 24 Ore, Guardian)
È possibile ammalarsi di cambiamento climatico? (La Svolta)
Nei paesi delle Dolomiti chiudono gli stadi del ghiaccio (Il Post)
An Ode We Owe, la poesia di Amanda Gorman su clima e povertà recitata all’assemblea Onu (AP, integrale, non tradotta; ANSA, spezzone tradotto)
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Sabato scorso ho intervistato per La Stampa Giorgio Brizio, attivista di FFF, che ha lanciato un appello per i media dopo il disastro delle Marche e certe uscite scomposte di alcuni giornalisti (tra cui Enrico Mentana, che ha detto che il climate change non c’entrava nulla, qui il video). “Aiutateci a spiegare la crisi climatica con esattezza”, ha chiesto Giorgio.
Nell’ultima puntata ti avevo accennato la storia di Seaty, la “città marina” di Golfo Aranci progettata da Worldrise: ho scritto un articolo più approfondito su Green&Blue.
📸 Le mie foto preferite
Come sono i panda appena nati? Così.
Siamo nel centro di ricerca di Qinling, in Cina, dove è attivo un programma per ripopolare la specie dei panda giganti. Nell’ultima settimana è nata una coppia di gemelli e un altro piccolo. Piccoli piccolissimi.
💚 Grazie!
Se sei arrivat* fin qui sotto, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. La newsletter esce ogni sabato, feste incluse. Nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO2: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
Da quando mi occupo di ambiente, ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, prodotto da Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (2022, Onepodcast/La Stampa).
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