Ci stiamo facendo fregare (dalla Coca Cola)
🌍 Il colore verde #126. Il mega marchio di bevande sponsorizza la Cop 27, l'Arabia ospiterà i giochi invernali e noi crediamo ancora al mito della mano invisibile green
UN NOBEL PER LA PACE
Buongiorno! La notizia della settimana c’entra poco con il clima, ma c’entra molto con il mondo che raccontiamo qui: il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato all’attivista bielorusso Ales Bialiatski, la ong russa Memorial, e il Centro per le libertà civili di Kiev. Un Nobel fortemente contro la guerra, contro Putin, e a favore dei diritti umani. Un premio a tre facce, per dire a voce alta che lo spirito di fratellanza dei popoli è più forte del conflitto.
Prima dell’annuncio, scommettitori e media avevano ipotizzato che Greta Thunberg potesse vincere il Nobel, o che comunque il premio finisse ad associazioni o figure ambientaliste. Non sarebbe stata la prima volta: solo nel 2017 fu assegnato al Ipcc, l’organo internazionale che studia e offre strategie per combattere la crisi climatica. E capita di frequente che i Nobel scientifici vengano assegnati a chi ha affrontato l’argomento climatico.
Però a pensarci su mi è venuto un dubbio: ma non è che l’Accademia svedese dovrebbe svecchiarsi un po’ e assegnare un Nobel per l’ambiente? Esistono già premi importantissimi a riguardo, come il Goldman Environment Prize, e Alfred Nobel nel suo testamento è stato chiaro con le categorie da premiare. Però un Nobel vero e proprio sarebbe tutta un’altra cosa. Avrebbe senso, secondo te? A chi lo assegneresti?
Premessa finita, ecco il menù di oggi: due notizie accomunate l’una all’altra, una riflessione convinta e tanti approfondimenti da leggere.
🥤 Coca-Cola sponsorizza la Cop27
⛷️ L’Arabia Saudita ospita i giochi invernali
💸 I limiti del mito del consumatore verde
🦁 Letturine e belle foto: immaginare il futuro dell’energia senza limiti, e due cuor di leone
🥤 La Cop 27 sponsorizzata da… Coca Cola
A novembre si terrà la Cop27 a Sharm el-Sheikh, Egitto. È il grande l’appuntamento annuale per discutere di diplomazia climatica, ci sono tutti: Nazioni Unite, capi di stato e di governo, ministri dell’Ambiente, associazioni. L’anno scorso si era tenuta a Glasgow; qualche anno fa a Parigi, dove erano stati firmati i celebri accordi sulla riduzione delle emissioni di gas serra.
Beh, si è scoperto che uno dei partner principali della Cop27 è il gruppo Coca-Cola. E dirai: che c’è di male? Beh, il gruppo Coca-Cola (che comprende più di 500 marchi) è da anni al primo posto nella classifica dei brand più inquinanti, addirittura inquinando quanto la seconda e la terza azienda nella classifica combinate, PepsiCo e Unilever.
Coca-Cola vende 100 miliardi di bottiglie di plastica all’anno, 200.000 al minuto e nonostante le tante promesse di riciclo e utilizzo di materiali biodegradabili, ha fatto pochissimo a riguardo, venendo più volte accusata di greenwashing: meno dell’1% della sua plastica non è vergine.
Non voglio sembrare naïf, e so che sponsorizzazioni e fondi sono importanti perché il mondo vada avanti. Pecunia non olet, i soldi non puzzano, dicevano i romani, ma ormai l’espressione ha perso significato. Non accetteremmo mai la sponsorizzazione di un’azienda del tabacco per un evento contro il cancro ai polmoni. E allora perché accettare i soldi di chi inquina per un evento contro l’emergenza climatica?
⛷️ I giochi invernali asiatici del 2029… in Arabia Saudita
Un’altra notizia non troppo diversa. Sono stati assegnati i giochi invernali asiatici del 2029. Dove si terranno? In Arabia Saudita. Praticamente nel deserto.
Si terranno, nello specifico, a Trojena, una località di montagna (tra i 1500 e i 2400 metri) non lontana dal Mar Nero, dove sorgerà il progetto Neom. Costo di realizzazione: 500 miliardi di dollari.
Dal surreale sito internet di Neom, si capisce che si potrà fare sci all’aperto, con decine di impianti, ma ci saranno anche un lago artificiale e una riserva naturale. E poi alberghi, cinema, centri commerciali: sarà grande come tutto il Belgio. “I turisti a Neom potranno fare snorkeling e sciare lo stesso giorno”, si legge online.
Il progetto si inserisce nella strategia saudita Vision 2030, fortemente voluta dal principe ereditario Mohammed bin Salman, che punta a trasformare l’economia del Paese rendendola meno dipendente dalle fonti fossili.
Anche qui il paradosso è estremo: con i soldi ricavati dalla vendita di petrolio, l’Arabia Saudita sceglie di costruire un mega-mini mondo difficilmente sostenibile. È insostenibile dal punto di vista ambientale e climatico, visto che nella penisola araba – già in gran parte desertica – farà sempre più caldo, quindi raffreddarla sarà sempre più costoso. Ma è insostenibile anche dal punto di vista sociale: perché questi progetti sono perfetti per la popolazione stra-ricca, ma spesso si poggiano sullo sfruttamento di manodopera sottopagata e priva di diritti. Sono ormai note le storie, i dati e le inchieste sugli operai che vengono trattati come schiavi in Arabia Saudita così come in Qatar (che ora ospiterà i Mondiali di calcio, anche se la scelta “è incompatibile con il nostro periodo storico”, come scrive Oscar di Montigny su Linkiesta), prigionieri nei cantieri dove sono costretti a lavorare per stipendi bassissimi.
💸 Miti da sfatare: la mano invisibile verde
Questa settimana sul mio profilo Instagram sono nati due lunghi dibattiti molto interessanti, entrambi legati da un filo comune: il mito del consumatore verde.
Nei commenti a un post dove dicevo “Più politica, meno shampoo solido”, riprendendo la mia scorsa newsletter, in molti hanno difeso l’importanza di migliorare le scelte di consumo quotidiane per generare sostenibilità.
In risposta a un video dove dicevo “Forse è il momento di boicottare Amazon” (sempre rifacendomi alla scorsa puntata), alcuni hanno difeso il diritto di Jeff Bezos di fare impresa. Una risposta mi ha colpito, questa…
Ecco: a me sembra un’aberrazione. Si sta sempre più strada l’idea per cui la sostenibilità sia uno dei jolly che le aziende si devono giocare per accontentare il pubblico. E, viceversa, che la nostra maggiore consapevolezza negli acquisti sia la chiave per convincere le aziende a salvare il mondo. E che le due spinte siano risolutive.
Ahimè non funziona così. In parte, certo, ha degli effetti: se sugli scaffali del supermercato ci sono più cibi vegani, o prodotti con imballaggi di carta, è grazie alla crescente consapevolezza proprio dei consumatori.
Ma come nel Novecento abbiamo scoperto che non bastava la mano invisibile a risolvere i problemi della società – ed erano anzi necessarie spesa pubblica, decisioni politiche, proteste, welfare a fondo perduto –, ora dobbiamo capire in fretta che non basta la mano verde invisibile.
Spesso sento dire che il capitalismo come lo conosciamo troverà la soluzione: innovazioni tecnologiche, interessi economici legati alla sostenibilità e tutte quelle cose lì. Non facciamoci fregare. È un sogno ingenuo e non basterà. Qualche mese fa era uscito un bell’articolo su Internazionale, che ora ho ritrovato in pdf: ci sono tutti i numeri che servono a smentire il mito del consumatore verde.
Non c’è ecologia senza lotta alle diseguaglianze, senza messa in dubbio dei sistemi di potere.
Perché in una bilancia che sta in equilibrio i contrappesi devono essere forti quanto i pesi. E devono stare ben lontani. I contrappesi non può metterli la stessa mano, soprattutto se si chiama Coca Cola, Amazon, o Arabia Saudita.
📰 Da leggere
Un trattato di non proliferazione sui combustibili fossili è il tassello mancante della diplomazia climatica (Linkiesta)
Crisi dell’energia? Non è perché abbiamo troppo petrolio e gas, ma perché ne abbiamo troppo (The Guardian)
A che punto siamo sui negoziati per un prezzo del gas europeo? (Il Post)
Una guida completa alle università green in Italia: 224 lauree in climate change in 50 città (Green&Blue)
Le siccità del 2022 in Europa, Nord America e Cina sarebbero state “quasi impossibili” in un mondo senza gli effetti del cambiamento climatico, dice uno studio guidato da 21 ricercatori da diverse nazioni (Financial Times)
Come l’energia verde senza limiti cambierà il mondo (BBC Future Planet)
Cresce l’interesse per il fotovoltaico “plug&play”, da mettere sul balcone e pronto all’uso. Può costare circa 1500€ e copre circa il 20% dei consumi (GreenMe)
Perché uno scienziato arriva a digiunare per la crisi climatica (Repubblica)
Babcock Ranch, la cittadina ecologica che ha retto agli impatti dell’uragano Ian (La Svolta)
📸 La mia foto preferita
Cuor di leoni. A destra Morani, il più anziano leone della riserva naturale Maasai Mara in Kenya, e a sinistra un giovane del suo branco. Morani è anziano, pieno di cicatrici, come quella che si nota sul suo occhio. Il giovane, però, sorregge il vecchio: non c’è la solita competizione come ci hanno insegnato i documentari, ma quello che può sembrare profondo rispetto. Mi ha molto emozionato. La foto è tra le vincitrici del Nature Conservancy Photo Contest, qui la gallery con altre foto davvero meravigliose.
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Se sei arrivat* fin qui sotto, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile: grazie per supportare questa newsletter. Il colore verde è nato nel 2020 e lo curo io, Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. La newsletter esce ogni sabato, feste incluse. Nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza.
La comunità de Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO2: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
Da quando mi occupo di ambiente, ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, prodotto da Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (2022, Onepodcast/La Stampa).
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