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Che noia la crisi climatica
🌍 Il colore verde #158: Il ritorno di dubbi e negazionisti, l'acqua che non se ne va e la nostra "preparazione" agli effetti dell'Antropocene
Ciao e buon sabato!
Se sei a Torino, in questi giorni mi trovi al festival “Un grado e mezzo” dove parleremo di clima, ambiente, sostenibilità con molti eventi interessanti. È iniziata la stagione dei festival: speriamo di incontrarci qua e là.
Anche nella puntata di oggi rimango sull’Emilia Romagna. Vorrei fare due analisi che mi stanno piuttosto a cuore: una sulla noia, una sul ruolo del cambiamento climatico nei disastri.
“La crisi climatica mi fa morire di noia”
Lunedì La Stampa ha ospitato un articolo del politologo e storico Giovanni Orsina. Il titolo riassumeva bene la sua posizione “La crisi climatica non la nego, ma mi fa anche morire di noia”.
Argomenta così:
«È colpa nostra!»: questo il ritornello che il coro pubblico intona puntualmente a ogni catastrofe naturale. E l’alluvione in Romagna non ha fatto eccezione – anzi. Al coro partecipano un po’ tutti, ciascuno a modo proprio.
Personalmente, per quel che vale, di fronte a questo coro (al coro, sia ben chiaro, non certo alla catastrofe) non so se sorridere, irritarmi o morir di noia. Se ne scrivo, è perché ho il sospetto che queste reazioni non appartengano a me soltanto, ma siano piuttosto diffuse.
Il pezzo sostiene che sia controproducente gridare di continuo all’apocalisse. Perché il brutto racconto non motiva, non accende. Orsina si riferisce ai metodi comunicativi degli attivisti, di certi politici, ma anche alle diverse forme di giornalismo ambientale.
Ma siamo proprio sicuri che scrivere articoli su articoli al servizio dell’argomento smisurato secondo cui «l’apocalisse è imminente, ma se l’umanità intera cambia radicalmente e immediatamente registro tutto andrà bene» sia la strategia giusta? Più di mezzo secolo fa, Margaret Mead scriveva: «Il profeta che non riesce a presentarci un’alternativa sopportabile e ciò nonostante annuncia l’apocalisse è parte della trappola di cui postula l’esistenza».
Il giorno successivo il meteorologo Luca Mercalli ha risposto a Orsina, sempre sulle pagine del nostro giornale, ribaltando la prospettiva: «Anche io provo noia a commentare da trent’anni i nostri disastri climatici».
Se da decenni avvertiamo che il futuro climatico potrà essere ostile al nostro benessere e a quello delle generazioni più giovani è perché le leggi fisiche hanno comportamenti rigorosi e prevedibili, ma talora il loro rapporto di causa-effetto è dilazionato nel tempo. Un po’ come una malattia: lei ha una cattiva dieta oggi, fuma e beve molto, si irrita con il suo medico che le dice di fare la dieta, dice che ha problemi più importanti di cui occuparsi, ma poi dopo vent’anni ha un cancro. Il medico dice: ora non si può far più nulla, è troppo tardi.
Più che sorriso, noia e irritazione, le istruzioni del suo medico e per estensione quelle dei medici dei processi bio-geochimici planetari, dovrebbero dunque suscitare curiosità, interesse, consapevolezza, impegno, azione e prevenzione, soprattutto quando si tratta di mali che – qualora trascurata la prima fase a bassa intensità di sintomi - divengono rapidamente invasivi, dolorosi e incurabili.
Orsina ha replicato ancora, ulteriormente infastidito dalle tesi scientifiche e allarmiste di Mercalli.
A quel punto nel dibattito mi sono inserito anch’io. Sul giornale di ieri ho scritto una cosa che dico spesso: è un’apocalisse così diversa da tutte le altre che siamo di fronte a un racconto nuovo, e sta a noi trovare nuovi fili da tirare. Paura o noia sono estremi che portano al disfattismo o al negazionismo “passivo”, ovvero a quelle forme di inattivismo o procrastinazione che spesso abbiamo analizzato.
Il racconto del collasso climatico deve essere anche empatico e vicino a chi è vulnerabile o chi soffre già oggi conseguenze sproporzionate dell’incertezza meteo-climatica. Noi – giornalisti, pensatori, esseri umani – siamo qui, vi ascoltiamo e vi capiamo.
Per svelare questa storia, la storia di un Pianeta che cambia e di un’umanità sull’orlo dell’abisso, ci vuole inoltre parecchia forza e una buona dose di immaginazione. Perché non basta fotografare la realtà, bisogna pensare futuri diversi e trovare vie d’uscita.
Due settimane fa accennavo a un corso che sto facendo alla Scuola Holden su questi argomenti. Maria Francesca, una delle studentesse, ha detto che per raccontare la crisi climatica ci vuole “coraggio e amore”. Mi è sembrata un’idea delicata e rivoluzionaria.
Coraggio e amore. Non so se basterà mai a contrastare la noia, o a fermare questo ritorno di negazionismi ingenui e complottisti in mala fede, però mi sembra l’inizio di una storia molto più originale di quelle che ci siamo raccontati finora.
Non è maltempo, non è semplicemente crisi climatica: è l’imprevedibilità dell’Antropocene
Bene, ora invece parliamo di dati. In questi giorni mi ha colpito un altro articolo. Il titolo: «Cosa ce ne facciamo dei dati se non lavoriamo sulla preparedness». (Lo so, preparedness suona malissimo, è traducibile però con una combinazione tra preparazione e prevenzione).
L’ha scritto
, una delle più brave data journalist italiane, per la sua newsletter . Ecco il link alla versione completa.Columbro elenca le migliori fonti per capire cosa è successo e si domanda:
Ma quante persone sono al corrente dell’esistenza di questi dati? E sanno interpretarli? Non c’è nessuna risposta semplice a un’emergenza complessa come quella che segue un’alluvione (o un terremoto, o un uragano…).
Quello che è chiaro, a più di una settimana dall’ultima grande pioggia che ha colpito l’Emilia Romagna è che davvero non si tratta di una semplice alluvione.
Il comune di Conselice, provincia di Ravenna, è ancora sott’acqua – è diventato una palude (è tornata a esserlo, come prima delle bonifiche dell’impero romano). Far defluire artificialmente l’acqua è un processo lento, le idrovore devono procedere con cautela per non fare ulteriori danni. L’acqua è così sporca, stagnante e insalubre che la popolazione deve lasciare il paese e fare la fila per vaccinarsi contro epatite e tetano.

Ma anche le altre città e i paesini portano ancora le cicatrice dell’alluvione: piazze e vie trasformate in discariche a cielo aperto, 100 mila tonnellate di rifiuti per strada; allevamenti e piantagioni devastate; macchine, macchinari ed elettrodomestici che non si aggiusteranno mai più; libri e documenti infangati da portare nei congelatori industriali perché vengano salvati dalla muffa. E decine di altri risvolti e conseguenze. Le frane sono diventate un problema ancora più grave del previsto: hanno bloccato le strade isolando decine di paesi, soprattutto sugli Appennini.
A inizio maggio sono piovuti 200/250 millimetri di pioggia (a seconda delle zone), e la stessa quantità è caduta a metà maggio, su un terreno già saturo di acqua, rendendo più gravi le conseguenze. Un evento meteo che ha un tempo di ritorno di 200 anni, ovvero che ha basse possibilità di accadere.
I primi giorni ci siamo ripetuti in mille modi che “non è maltempo ma è crisi climatica”. Una frase che da un paio d’anni va molto soprattutto tra gli attivisti che vogliono far capire la portata del fenomeno, ma che in questi giorni è diventata di moda anche nella comunicazione politica. Beh, io credo che sia arrivato il momento di cambiarla.

Secondo me oggi dobbiamo iniziare a vedere diversamente questo problema, o almeno vederlo con molti strati in più di complessità. Siamo ormai preparati a farlo. Non so se c’è modo di trovare una sintesi, forse quella che mi sembra più azzeccata è “non è maltempo, è Antropocene”. Per Antropocene si intende quest’epoca, quella dove l’essere umano tutto influenza, dal clima alla biodiversità, dal territorio agli equilibri naturali. Spiego alcuni motivi:
1 – Il rischio idrogeologico è intrinseco del nostro territorio. L’Emilia-Romagna è prima tra le regioni con la percentuale di territorio con la probabilità di alluvione media (45,6% – dati Ispra 2021)
2 – Ci sono eventi meteo estremi che sono, sono stati e saranno sempre estremi.
3 – Costruire e costruire senza attenzione in luoghi dove il rischio idrogeologico è già alto, non fa altro che aumentare i danni qualora si verifichino eventi meteo estremi.
4 – Non investire denaro e idee in prevenzione, così come non permettere alla natura di ritrovare i suoi spazi, rende i danni ulteriormente gravi e fa perdere vite umane. Abbiamo capito in questi giorni che non bisogna solo costruire e poi ricostruire. Piangere e subito “rimettere in moto la locomotiva” è un approccio con molte contraddizioni. Dobbiamo anche lasciare libero un territorio, rinaturalizzare (lo dice molto bene Ferdinando Cotugno qui), permettere zone di sfogo più ampie.
Il cambiamento climatico, insomma, non deve essere una scusa o una scorciatoia. Anche perché, ormai sappiamo bene, gli scienziati faticano ad attribuire causalità diretta tra climate change e un singolo evento estremo. Sappiamo che è un moltiplicatore di intensità e probabilità, ma è anche possibile che il ruolo del cambiamento climatico non abbia del tutto a che fare con queste piogge di maggio in Emilia e che le precipitazioni siano “solo” un’eccezione che capita rarissimamente. La combinazione di scirocco da sud e bora da nord est che si scontrano. Ci sono ricercatori che proprio in questi giorni stanno analizzando i dati con i metodi dell’attribution science.
Le risposte scientifiche, paradossalmente, potrebbero escludere un ruolo diretto e decisivo del cambiamento climatico e, in un certo modo, avvalorare involontariamente la narrazione negazionista circolata in questi giorni.
Ma proprio questo è il punto: anche se il cambiamento climatico non fosse il protagonista della storia, ma solo un personaggio secondario, solo un’aggravante, noi dobbiamo rimanere lucidi e trovare il modo per essere preparati, possedere la preparedness di cui parla Donata Columbro. Preparati a che cosa, esattamente? A tutto, credo. A subire le conseguenze dell’epoca in cui non eravamo preparati. A subire il fuoco amico dell’Antropocene. Non è maltempo, è Antropocene.
Concludo con un filo di speranza. Più di tutto, questa settimana, mi hanno fatto venire una gran fiducia nell’umanità i sorrisi nel fango di chi prova a sistemare l’insistemabile. E poi i bambini che giocano a calcio con gli stivali in mezzo alle vie ancora mezze sporche. E il tema di una classe della scuola elementare di Carpena, a Forlì, che si intitola “L’imprevedibilità della vita” e finisce così:
Questa è la nostra storia, la storia di Forlì. Una città che ha subito una tragedia. Questi giorni, cosa ci stanno insegnando? La vita è imprevedibile e noi dobbiamo imparare ad adattarci; le cose non sono importanti quanto la nostra esistenza; chi è stato fortunato dovrebbe sentirsi in dovere di aiutare perché l’unione fa la forza.
📰 Notizie, letture, sguardi
«L’Italia ascolti le proteste dei suoi ragazzi sulla crisi climatica» (Paolo Giordano sul Corriere)
Allevamenti intensivi ed estensivi, cibo processato e cibo “naturale”: a volte capire cosa fa bene e cosa no all’ambiente non è così facile (George Monbiot sul Guardian)
Il falso mito della plastica riciclata: Greenpeace dice che è inquinante e non è una soluzione (Guardian)
Il parlamento europeo sembra spaccato sulle questioni ambientali, e questa settimana le destre si sono unite per votare contro il piano della commissione per il ripristino degli ecosistemi naturali. Una notizia che presagisce la fine della maggioranza “Ursula” e che fa capire che dalle elezioni del 2024 in poi tutto sarà molto diverso (La Stampa, Guardian)
Quando è diventato “virale” il cambiamento climatico per la prima volta? No, non con Greta e nemmeno con Al Gore. Succedeva esattamente 70 anni fa, nel maggio 1953 (The Conversation)
La cattiva abitudine di inquinare e pulirsi la coscienza con i crediti di carbonio fantasma. Si è dimesso il ceo di Verra, la più grande azienda che certifica carbon credit. (Linkiesta)
Questo qui sotto è uno “scoiattolo gommoso” (Psychropotes longicauda) ed è una delle incredibili nuove specie che abbiamo scoperto negli abissi marini. Qui una gallery.
Sei metodi di greenwashing e come evitarli (La Svolta)
📸 La mia foto preferita
Sogno di mollare tutto e parlare tutto il giorno di rane. Questa settimana hanno scoperto la prima rana impollinatrice, in Brasile, una grande notizia. Nel frattempo ecco una rana di vetro smeraldo fotografata in Ecuador: impassibile, imperiale, ipnotica.
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Tengo il corso “Progettare una newsletter” per la Scuola Holden. Il prossimo ciclo di lezioni inizia il 6 giugno: 5 incontri serali, una a settimana, online. Con il codice HOLDENPRO hai lo sconto del 10%. Segnalo anche il corso “Cronache dal Pianeta Terra”, che farò quest’estate per Scuola Holden e Fronte del Borgo. È pensato per docenti (dal 28 giugno, 8 lezioni).
Ho curato anche tre podcast: Climateers (2021, Pillow talk), Cambiamenti (2022, Emons record), e Verde speranza (Onepodcast/La Stampa).
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Che noia la crisi climatica
Sono profondamente affascinato dalla continua scoperta di nuove creature negli abissi, anche perché sono parte del più grande pezzo inesplorato del nostro pianeta, di cui spesso ci dimentichiamo.