Buongiornissimo costosissimo kaffè!
🌍 Il colore verde #195 Caffè, cacao e uva soffrono il cambiamento climatico, la disponibilità diminuisce e il costo aumenta: c'è una soluzione?
Ciao, ci siamo anche oggi! Spero che Il colore verde non ti intasi la casella di posta. Torniamo con la seconda puntata dedicata al cibo, che parte dal caffè. Ma ci sono anche tante notiziette da scoprire. Via.
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🌡️ Il febbraio più caldo in un 2024 già caldissimo
Indovina? Febbraio è stato il più caldo mai registrato della storia. Poco da aggiungere ai soliti discorsi (incide il cambiamento climatico e El Niño, che nella seconda metà dell’anno inizierà a sparire). Bastano due grafici per capire la situazione:
→ Qui un interessante commento del divulgatore scientifico Rudi Bressa: “Diranno che tutto sommato è stato un inverno mite”
⚖️ La causa climatica contro lo Stato si è chiusa con un nulla di fatto
È arrivata la prima sentenza al caso “Giudizio Universale”, ovvero la causa intentata da 203 soggetti contro lo Stato per inadempienza sulle politiche climatiche. Il tribunale civile di Roma ha stabilito che la causa è inammissibile per difetto di giurisdizione. Secondo la sentenza, in Italia nessun tribunale può decidere o discutere le politiche climatiche dello Stato.
L’associazione che ha coordinato l’azione legale, A Sud, non ha accolto bene la sentenza: ci sono voluti tre anni per arrivare a un sostanziale nulla di fatto. “È una scelta di retroguardia” ha spiegato Marica Di Pierri, che due anni fa – quando la causa era stata presentata, ce l’aveva raccontata bene in questa puntata. “Non possiamo negare di essere delusi dall’esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione”.
In altri Paesi europei e già in diverse occasioni le cause climatiche sono proseguite fino in fondo, risultando in condanne per aziende, enti pubblici e Stati (e a volte anche con qualche assoluzione). Al momento in Italia è ancora in corso una causa contro Eni. In Europa la più importante climate litigation è quella intentata da 6 ragazzi portoghesi contro i 32 Stati membri della Corte europea dei diritti dell’uomo.
🎨 La condanna per gli attivisti che avevano imbrattato il Senato
A proposito di giustizia e ambiente: tre attivisti di Ultima generazione sono stati condannati in primo grado per aver lanciato vernice sulla facciata del Senato lo scorso anno. La sentenza? Otto mesi di reclusione, pena sospesa con un risarcimento di 60mila euro, per Davide Nensi, Alessandro Sulis e Laura Paracini.
Possiamo discutere ore sui metodi di protesta di Ultima Generazione. Io stesso sono spesso critico. Ma molti Stati, soprattutto europei, stanno usando metodi repressivi sempre più forti per fermare queste forme di dissenso (quando, invece, si fa molto poco per altri gruppi che provocano disturbi peggiori). La settimana scorsa un osservatore dell’Onu, che per un anno ha indagato proprio sul trattamento degli attivisti da parte di giustizia e forze dell’ordine, ha detto chiaramente: “Gli Stati europei devono fermare la repressione delle protesta non violente degli ambientalisti”.
🔋 Le proteste contro l’espansione della fabbrica di Tesla in Germania
Una protesta che scatenerà grandi discussioni se la racconti ad amici, colleghi e parenti. In Germania, alle porte di Berlino, un gruppo di ambientalisti si è accampato nella foresta per protestare contro il piano di espansione dello stabilimento di automobili elettriche di Tesla (il più grande d’Europa), che prevede l’abbattimento di centinaia di alberi della foresta di Grünheide. Sono lì da giorni, hanno costruito case sugli alberi e rimarranno almeno fino al 15 marzo, la data limite autorizzata dalla polizia.
Negli stessi giorni, un gruppo di estrema sinistra tedesco, il Vulkan gruppe, ha causato un incendio a un generatore della fabbrica, costringendo lo stop alla produzione. Non ci sono legami tra il sabotaggio di Vulkan e gli attivisti nel bosco, ma Elon Musk, fondatore di Tesla, ha approfittato per commentare: “I più stupidi eco-attivisti della Terra”.
🪨 Alla fine i geologi hanno deciso: non viviamo nell’Antropocene
Una commissione di esperti di geologia ha deciso che non è ancora il momento di utilizzare la parola Antropocene per definire l’epoca in cui stiamo vivendo.
Avevo raccontato il grande dibattito, che va avanti da almeno 15 anni, in questa puntata. La bocciatura è arrivata a grande maggioranza. Le ragioni sono più tecniche che politico-filosofiche: gli esperti non erano tutti d’accordo su quale fosse l’esatto indicatore che fa da spartiacque tra un’epoca e l’altra.
Significa che non possiamo più usare il termine? No, perché continua ad avere un forte significato nella divulgazione, nel giornalismo e nelle narrazioni. E gli stessi geologi che hanno votato contro sono d’accordo: stiamo modificando in maniera indelebile il Pianeta su cui viviamo.
→ L’analisi di Carbon Brief.
Ami caffè, cacao e vino? Tre ragioni in più per preoccuparsi del climate change
di Federica De Lillis
Ma tu te lo ricordi quando il caffè al bar costava ottanta centesimi? A Roma era così forse più di dieci anni fa, quando a me il caffè sembrava ancora troppo amaro e accompagnavo mio padre al bar per una pausa.
Nel 2015 il prezzo medio al banco era di 94 centesimi, oggi se riusciamo a restare entro l’euro e dieci abbiamo fatto un affare. Tra il 2021 e il 2023, il prezzo è aumentato in media dell’11,5%: a Bolzano si arriva a un prezzo medio di 1 euro e 34 centesimi. Questo invece è il prezzo della materia prima raggiunto sul mercato internazionale:
A influenzare il mercato ci sono anche il rapporto domanda-offerta, il contesto geopolitico, e indovina? Il cambiamento climatico.
CAFFÈ CALDO
Il caffè è la terza bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua e il tè, ogni giorno ne vengono servite più di 3 miliardi di tazzine, e la richiesta è destinata a raddoppiare entro il 2050. Le stime produttive, però, non sono dalla parte di noi caffeinomani (io senza minimo 4 tazzine al giorno non vivo. Sono un pessimo esempio, non fatelo a casa. Nicolas, invece, non ne beve uno dal lontano 2012, non fate a casa neppure questo).
Esistono circa 130 tipi di caffè al mondo ma il 99% della produzione riguarda le varietà arabica, la più diffusa in assoluto, e la robusta, usata per il caffè istantaneo. Entrambe sono coltivate nella cosiddetta Coffee belt, la cintura del caffè, che dal Centro e Sud America passa per l’Africa e arriva fino all’Asia. Il maggiore produttore è il Brasile e si stima che entro il 2050 la sua capacità produttiva sarà dimezzata, fino a un -75% entro la fine del secolo.
Il problema è che la pianta di caffè è molto sensibile alle variazioni di temperatura: l’arabica ha bisogno di restare tra i 18 e i 23°C, la robusta se la cava meglio tra i 22 e i 26°C. Le piante risentono anche delle precipitazioni violente e sono messe in pericolo da parassiti e funghi che prosperano in un mondo sempre più caldo.
LA CRISI DEL CACAO
Stiamo andando anche verso la peggiore crisi del cacao dagli Anni ‘60. Il mercato ne vuole sempre di più ma la produzione globale non riesce a stare al passo.
Secondo Bloomberg, la domanda globale sta superando la produzione per la terza stagione consecutiva. Mancheranno 300.000-500.000 tonnellate di cacao, il più grande deficit in almeno 65 anni, se non di sempre. Quest’anno, il consumo globale supererà significativamente la produzione, qualcosa di mai visto nella storia recente.
Le prime conseguenze sui consumatori iniziano ad arrivare: a dicembre il consorzio britannico Which? ha denunciato che il prezzo di molte scatole di cioccolatini è aumentato di almeno il 50% in un anno. I maggiori produttori di cacao sono quattro paesi dell’Africa occidentale: la Costa d'Avorio, il Ghana, il Camerun e la Nigeria. Insieme producono quasi il 75% del cacao mondiale e sono investiti dalla crisi climatica.
Piogge inaspettate e stagioni secche più calde compromettono la qualità e la quantità del raccolto, mentre si diffondono malattie e funghi. Sono fattori che investono economie già fragili in cui contadini guadagnano appena ciò che basta per sopravvivere e non hanno risorse da investire per piantare nuovi alberi o migliorare le pratiche agricole.
IL VINO SI SPOSTA
Bere per dimenticare quanto spenderemo per cioccolato e caffè potrebbe non essere una soluzione. La vite è il termometro dei cambiamenti climatici, sensibilissima a sbalzi termici e variazioni di umidità. Uno studio del 2016 ha incrociato i dati sui raccolti tra il 1600 e il 2007 in diverse regioni della Francia e della Svizzera: dal 1980 il cambiamento climatico è diventato evidente nei grafici e tutte le vendemmie avevano iniziato a mostrare un anticipo rispetto alla data media storica. Un altro modello elaborato nel 2020 afferma che se la temperatura media della terra aumentasse di 2°C la vite non potrebbe più essere coltivata nel 56% delle regioni produttrici attuali, si arriva all’85% se l'aumento delle temperature dovesse raggiungere i 4°C.
La vendemmia 2023 italiana ha registrato un calo di oltre il 20%, a causa proprio dell’eccessivo caldo, la siccità e la diffusione di malattie tra le viti.
Ma lo stress a cui è sottoposta la vite a causa di temperature più alte altera anche il sapore del vino: la maturazione precoce delle uve aumenta il contenuto di zucchero, incrementando il grado alcolico della bevanda, mentre la perdita di acidità dà come risultato vini meno piacevoli al palato.
SOLUZIONI?
L’unica soluzione che abbiamo ora è l’adattamento. Nel caso del vino, i produttori rispondono con la delocalizzazione. Regioni che una volta erano considerate troppo fredde ora producono vini di alta qualità grazie al clima più mite. In Inghilterra, la produzione si è sviluppata lungo la costa meridionale, mentre in Canada, Norvegia, Svezia e Belgio si stanno piantando nuovi vigneti.
In altre zone ci si sposta ad alta quota, come in Catalogna dove si coltiva la vite a quote di circa mille metri, mentre in Argentina alcuni vigneti si trovano anche a tremila metri.
Bisogna anche potenziare la biodiversità delle coltivazioni. Nella produzione del caffè si stanno esplorando incroci e nuove specie (se ne conoscono 130 varietà, mentre ne consumiamo solo due). Ci sta lavorando un team di ricerca internazionale che ha elaborato una nuova mappa genetica delle piante di arabica per sviluppare miscele più resistenti.
Alcuni studi suggeriscono di ricorrere a pratiche agricole alternative come l’“agroforestazione” che consiste nell'integrare alberi o alberelli all'interno delle piantagioni di caffè. Questi forniscono ombra alle piante, proteggendole dall'eccessivo calore.
È anche fondamentale investire sui piccoli produttori locali. Un esempio con il caffè: in Guatemala una onlus offre supporto alle donne che vogliono coltivare piantagioni bypassando le grandi multinazionali. Oppure prendiamo il cioccolato: i principali produttori sono allo stesso tempo tra i Paesi più poveri al mondo e tra quelli maggiormente colpiti dal collasso ambientale pur contribuendo in minima parte alle emissioni globali.
La Costa d’Avorio, per esempio, che nel 2022 ha generato solo 0,4 tonnellate di emissioni di CO₂ pro capite (In Italia siamo sulle 5,7 tonnellate). Il Paese da solo produce il 40% del cacao consumato nel mondo. Nonostante i tanti sforzi dello Stato per far crescere l’industria, oggi gli agricoltori ottengono circa 1,63 dollari per chilogrammo di cacao: circa il 70% in meno rispetto al prezzo all’ingrosso. Questo vuol dire che i produttori non hanno risorse da reinvestire nelle coltivazioni e oggi si ritrovano con tecniche agricole vecchie, piante di ormai 25 anni che non producono più come prima e una grande vulnerabilità a fenomeni climatici come El Niño che fa aumentare le temperature e rende imprevedibili le precipitazioni, mettendo in pericolo il raccolto.
Il prezzo della crisi climatica è anche tra gli scaffali dei supermercati, al bar, sulla nostra tavola ma non siamo solo noi a pagarlo. Neanche i broker più esperti sanno prevedere cosa accadrà alle produzioni mondiali, tutto dipende dai successi della scienza e dalla resilienza delle comunità locali. Una cosa sola è certa: a costare un sacco non sarà più solo l’affitto a Milano.
Sezione dal titolo assurdo, se l’è inventata Federica e la cura lei. Pillole di green tech: app, strumenti, siti, calcolatori per fare i sapientoni all’aperitivo o migliorare la nostra vita.
WaterBear
Un pensierino per cinefili e cinefile, ma anche per chi semplicemente ha esaurito tutte le scorte Netflix. WaterBear è una piattaforma di streaming dove puoi trovare cortometraggi, miniserie, inchieste e storie, tutti dedicati al Pianeta. È gratuito, la missione di WaterBear è diffondere “films with impact” per avvicinare il pubblico a racconti che possano cambiare il rapporto con l’ambiente.
Una sezione dedicata alla comunità, condividiamo le nostre storie.
Yogurt fatto in casa
Ci scrive Elisabetta Rota: “Per quanto riguarda la piccola azione fatta per aiutare il pianeta, vale aver iniziato (ormai da 3 anni), a fare lo yogurt fatto in casa (comprando solo latte da bricchi di carta) perché ero stufa e sbigottita dalla quantità di vasetti di plastica dello yogurt con cui ritrovavo il secchio della plastica pieno a fine settimana?!”. Risposta: eccerto che vale!
Qual è il tuo dono per la Terra? Scrivi nei commenti o rispondi nella mail per raccontarci il tuo gesto per l’ambiente. Vale tutto, anche le cose più strane.
Cosa ci è piaciuto questa settimana: articoli, podcast, video, libri.
Sette ragioni per cui la leadership femminile fa bene l’ambiente
Diciasette “climate creators” da tenere d'occhio nel mondo
L’ombra lunga del subnegazionismo
Rilassati e goditi il weekend come fa questa volpetta artica sulle nevi di Oppdal, Norvegia.
Se sei qui, vuol dire che Il colore verde ti piace davvero e ti è utile. La newsletter è nata nel marzo 2020 e la curo io, Nicolas Lozito, friulano, 33 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa.
Da febbraio 2024 Federica De Lillis collabora con me. Giornalista romana, ora vive a Milano e lavora per Sky Tg24. Le sue specialità: nuove generazioni, diritti e digitale.
La comunità de Il colore verde ha un bosco di 250 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO₂: trovi la sua storia qui. Se vuoi adottare un albero anche tu da ZeroCO₂, usa il codice ILCOLOREVERDE per uno sconto del 30%.
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