Perché non ci beviamo il Mediterraneo?
🌍 Il colore verde #113: Potenzialità e limiti della desalinizzazione, ovvero il processo per rendere dolce l'acqua del mare e che potrebbe salvarci dalla siccità
Il colore verde è una newsletter settimanale sulla crisi climatica. Arriva ogni sabato e si legge in cinque minuti, ma ci pensi tutta la settimana.
Ciao e scusa per l’assenza. Sabato scorso, per la prima volta dal 2020, ho saltato una puntata della newsletter. Sono stato poco bene e non son riuscito a chiudere l’episodio, che era dedicato alla sostenibilità della moda e al potere degli “swap party”, le feste organizzate per donare e trovare vestiti di seconda mano. Lo scorso weekend la onlus Terralab ne aveva organizzato uno a Milano, ed era l’occasione giusta. Recupererò, nel frattempo oggi ti tocca una puntata lunga e noiosa :)
In questi giorni sono uscite due puntate del mio podcast Cambiamenti, prodotto da Emons record:
🔊 #08 Ken Saro Wiwa. Scrittore e ambientalista nigeriano, che ha pagato con la vita la sua lotta alle multinazionali del petrolio che ferivano la sua terra. Su Spotify qui.
🔊 #09 Alice Hamilton. La donna che ha “inventato” le mascherine chirurgiche ormai a noi tanto care e che ha fatto nascere il concetto di ambiente di lavoro, battendosi perché anche nelle fabbriche fossero rispettati standard e protocolli. Su Spotify qui.
La decima e ultima puntata uscirà a metà settimana e sarà dedicata a uno dei miei grandi miti del passato: Alexander Von Humboldt. Trovi il podcast su qualsiasi piattaforma, cercando “Cambiamenti”.
Ok, partiamo!
La siccità non ha dato tregua. Anzi, nelle ultime settimane la situazione è peggiorata: razionamenti dell’acqua, stati di emergenza, risalita record del cuneo salino nelle foci del Po, stop delle centrali idroelettriche.
In questi giorni l’esecutivo guidato da Draghi presenterà un decreto siccità: è persino previsto un commissario per coordinare le risposte nelle regioni colpite. Non l’avessimo ancora capito, siamo in una situazione senza precedenti. Per l’autorità distrettuale del Po si tratta di una crisi idrica epocale. Quello che davvero preoccupa è però la prospettiva: perché la situazione sembra eccezionale, ma nei prossimi anni la situazione sarà simile o sempre peggiore.
Ci stiamo domandando cosa possiamo fare per mitigare gli effetti della siccità e adattarci a un mondo con meno acqua. Le soluzioni sono tante, anche se tutte hanno bisogno di investimenti, coraggio e soprattutto maggiore consapevolezza.
La cosa più importante è ridurre il nostro impatto sul clima: diminuire le emissioni di gas serra è il primo passo per ridurre il surriscaldamento globale. Dobbiamo anche imparare a gestire meglio l’acqua: sprecarne di meno nei campi e nella rete idrica e consumare prodotti che ne richiedono poca. I cibi di origine animale sono tra i principali indiziati, in questo periodo: mangiare meno carne è molto più importante di fare docce più brevi. L’ha riassunto molto bene questo tweet diventato virale:
C’è un’altra possibile soluzione, ma in Italia non se ne parla molto. Non so se te lo sei mai chiesto, ma: perché non ci beviamo il mare? Sembra una di quelle domande che fanno i bambini, eppure non è fantascienza. Il nostro pianeta è fatto soprattutto di acqua di mare (tanto che la biologa marina e divulgatrice Maria Sole Bianco parla di Pianeta Oceano). L’acqua dolce è solo il 2,5% del totale, e quella disponibile solo l’1%.
La desalinizzazione dell’acqua marina non solo è possibile, ma sta diventando sempre meno costosa.
Per alcuni Paesi è già realtà. Nei Paesi della Penisola araba l’acqua di mare desalinizzata costituisce tra il 50 e l’80% dell’acqua potabile disponibile. Anche gli Stati Uniti hanno numerosi impianti, nati dopo gli Anni ‘80 per far fronte ai periodi di siccità. In Europa, il Paese che ha sposato con più entusiasmo la dissalazione è la Spagna, che oggi ha più di 700 impianti attivi ed esporta in tutto il mondo la sua tecnologia.
Un altro Paese che fa grande affidamento all’acqua desalinizzata è Israele, che proprio questa settimana ha annunciato che immetterà acqua desalinizzata nel lago di Tiberiade, il più grande lago d’acqua dolce israeliano, che si trova in Galilea ed è celebre fin dai tempi delle Sacre scritture. È la prima operazione al mondo di questo tipo, resa necessaria dai crescenti livelli di siccità degli ultimi anni che stavano svuotando a poco a poco il bacino d’acqua.
Trasformare l’acqua di mare in acqua dolce è relativamente semplice. Ci sono due metodi principali. Il più antico è la distillazione. Basta portare a ebollizione l’acqua, lasciare condensare il vapore acqueo e scartare il deposito di sale rimanente. È un metodo lento e che necessità di molta energia.
L’altro metodo, quello diffuso oggi negli impianti dissalatori, è l’osmosi inversa. Si tratta di un’iperfiltrazione, che non solo filtra il liquido fisicamente, ma sfrutta anche alcuni comportamenti chimici delle molecole per separare la parte dolce da quella salata. L’acqua viene messa in enormi vasche e spinta ad alta pressione verso le membrane, così da separare le molecole d’acqua.
Ci sono delle controindicazioni alla dissalazione dell’acqua.
• Primo: consuma molta energia. In media per produrre un metro cubo d’acqua sono necessari 4,5 kilowattora: significa che se volessimo sopperire ai consumi idrici di una grande città di 3-4 milioni di abitanti dovremmo consumare tanta energia quanto ne consumano 250 mila famiglie. Se l’energia, poi, deriva da fonti non rinnovabili – come succede nei Paesi arabi ricchi di petrolio e gas – allora il pasticcio è doppio, perché si generano gas serra che contribuiscono al climate change.
• Secondo: l’osmosi inversa divide l’acqua dolce da quella salata, ma non separa il sale disciolto. Quindi come prodotto di scarto si ottiene dell’acqua molto salata: circa 1,5 litri ogni litro di acqua dolce. Scaricare lungo la costa acqua con grandi concentrazioni di sale ha effetti sugli ecosistemi marini, perché la diluizione del sale non è immediata. Si possono creare vere e proprie zone morte, dove vegetazione e pesci non sopravvivono.
• Terzo: prelevare così tanta acqua dal mare per desalinizzarla rischia di far arrivare all’impianto anche tanti organismi marini, soprattutto quelli più piccoli, che finiscono per morire e scomparire dal luogo di origine, alterando catena alimentari ed equilibri biologici.
Tecnologia, investimenti e la crescente consapevolezza ambientale stanno diminuendo gli effetti collaterali della desalinizzazione. Ci sono nuovi impianti ibridi che mettono insieme diversi metodi per aumentare l’efficienza del processo e ridurne l’impatto (tra cui il promettente metodo con anelli di fluoro). Se solo dieci anni fa produrre acqua dissalata aveva costi anche di 50 volte più alti rispetto a estrarre l’acqua dalle falde acquifere della terraferma, oggi la forbice si sta stringendo. Ad oggi, i costi oscillano tra 0,5 e 1,5 euro per metro cubo; contro i 0,1 per l’estrazione di acqua dal sottosuolo (dato calcolato negli impianti americani). Il 40% dei costi operativi di un impianto è dato dalla componente energetica: se, però, si fa maggiore affidamento all’energia fotovoltaica, sempre meno costosa e piuttosto disponibile nelle zone in prossimità del mare, anche questa spesa verrà abbattuta.
Nel mondo ci sono oggi circa 20.000 impianti di desalinizzazione, che generano ogni giorno circa 100 milioni di metri cubi di acqua potabile. Un impianto medio produce 2,5 milioni di metri cubi d’acqua all’anno e costruirlo costa 15 milioni di euro, più mezzo milione di spese di manutenzione annue.
Almeno 300 milioni persone dipendono direttamente e quasi esclusivamente da acqua dissalata. Quasi la metà dell’acqua desalinizzata prodotta è usata nel Medio Oriente: è qui che lo stress idrico colpisce già oggi. E se nei prossimi decenni la disponibilità di acqua sarà sempre meno in moltissimi Stati, Italia compresa, la desalinizzazione non può rimanere un tabù.
In questi giorni è entrato in funzione un dissalatore a Taglio di Po, provincia di Rovigo. Arrivato a noleggio dalla Spagna (costo 70.000 euro al mese + le spese energetiche), è contenuto nel rimorchio di un tir. Produce circa 100 mila litri di acqua potabile che nei prossimi due mesi dovrebbe aiutare a sopperire alle carenze delle falde acquifere locali. Non è l’unico impianto attivo, e anzi, alcuni sono già in funzione da decenni: oggi in Italia si produce lo 0,1% dell’acqua potabile consumata grazie alla desalinizzazione.
Allo stesso tempo, però, il nostro Paese frena sullo sviluppo di nuovi impianti. Da poco più di una settimana è entrata in vigore la legge “Salvamare”, che regola molte attività vicino e dentro i nostri mari e cerca di ridurre l’inquinamento e sfruttamento delle acque. Al suo interno c’è anche una sezione dedicata ai dissalatori: possono essere usati solo in situazioni di emergenza, e i nuovi impianti devono essere approvati da una commissione ministeriale. Una scelta che può sembrare anti-storica, perché proprio ora abbiamo bisogno di impianti e di procedure più snelle, ma che è anche ragionevole: perché il nostro Paese, prima di buttarsi a capofitto sulla desalinizzazione, ha bisogno di migliorare la propria rete idrica, cagionevole e per nulla preparata a quello che ancora ci aspetterà.
Come con tante altre simili situazioni, la soluzione a un problema non può essere solo tecnologica: non c’è nessuna bacchetta magica che risolve magicamente tutto. Dobbiamo cambiare noi. Aggiustare ciò che siamo e ciò che abbiamo. Come si legge oggi sulla prima pagina del quotidiano Domani, la nostra rete idrica perde il 40,7 dell’acqua che passa attraverso gli acquedotti. Il dato, che proviene da un report di Arera che sta per essere presentato in Parlamento, è nettamente il più alto di tutta Europa. C’è tanto lavoro da fare.
📰 I link
• Brutta notizia della settimana: la Corte suprema americana, tornata alle cronache in questi giorni per la sua sentenza contro l’aborto, ha anche emesso una sentenza che toglie molti poteri all’Epa, l’agenzia ambientale americana, riguardo il controllo e la riduzione dell’inquinamento atmosferico (New York Times, Domani).
È una faccenda d’oltreoceano, ma è l’ennesimo granellino che rallenta il motore della svolta green globale. Pandemia, guerra e crisi energetica ci stanno facendo tornare indietro. Non solo, se continuiamo a confidare nella leadership statunitense, verremo sempre più spesso delusi.
Su La Stampa edizione cartacea di oggi abbiamo tradotto un pezzo di Peter Kalmus dal titolo: “Se gli Stati Uniti negano la scienza, serve la disobbedienza climatica” (sul Guardian l’originale in inglese):
Negli Stati Uniti oggi viviamo sotto il dominio di stolte toghe superstiziose, determinate a riportare indietro le libertà civili di base e a respingere le verità scientifiche. Mettendo in guarda da questa sorta di anti-scienza, Carl Sagan scrisse: «La fiamma della candela guizza. La sua piccola fonte di luce trema. Aumenta l’oscurità. I demoni cominciano a muoversi ...». Abbiamo ignorato troppo a lungo gli avvertimenti degli scienziati e le conseguenze stanno arrivando al pettine.
• Capire la siccità del Po in tre secondi, con questa animazione dell’Agenzia spaziale europea (Instagram; oppure Fatto Quotidiano)
• La parola “sostenibilità” ha ormai perso valore e credibilità. Intervista a Rossella Sobrero, autrice di “Verde, anzi verdissimo” (Linkiesta)
• “Mi sa che ho l’ecoansia”. La Gen Z e la paura della catastrofe climatica. Un lavoro multimediale firmato Scuola Holden e Repubblica.
• L’antica città riemersa a causa della siccità, in Iraq. (Il Post)
• Analisi molto interessante: che fine hanno fatto i giovani che lottavano contro il climate change? (Guardian) È un tema interessantissimo, e ti invito a farci caso. Perché non è solo la pandemia e la guerra ad aver diluito le loro voci. Secondo me c’è un tema più ampio: oggi l’emergenza climatica è già qui, e la retorica “il mondo che ci lascerete” è più debole.
• Maldive: prende forma la città galleggiante dove trasferirsi quando il mare avrà sommerso le case. (Lifegate)
• Le Alpi innevate italiane diventeranno soltanto un lontano ricordo. (Guardian)
• Recupero una storia di ormai più di due settimane fa, ma che è importante conoscere: Chi erano Dom Phillips e Bruno Pereira, giornalista e avvocato uccisi in Brasile. (Lifegate)
• Cantami o diva del caos climatico. Ho recensito “Racconti del pianeta Terra”, consigliatissima antologia di racconti e saggi uscita da poco per Einaudi. (La Stampa, ma è un contenuto per abbonati. Se vuoi qui trovi il pdf della pagina uscita sul cartaceo)
👇 La foto più bella
I meravigliosi ritratti di animali di Tim Flach, fotografo londinese. Qui il suo sito. Qui il suo profilo Instagram.
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO2: trovi la sua storia e i suoi dati qui.
L’anno scorso ho fatto un podcast: Climateers, sulle pioniere e i pionieri dell’ambientalismo, che quest’anno è ripartito con un altro nome, Cambiamenti. Lo trovi su tutte le piattaforme.
Se vuoi darmi una mano:
• Condividi la puntata sui social. Se lo fai su Instagram, taggami: nicolas.lozito.
• Fai iscrivere tutti. Amiche e amici, parenti, colleghe e colleghi qui.
• Considera una donazione. Mi aiuteresti a sostenere questo progetto editoriale. Puoi donare su DonorBox o Paypal. Se vuoi farlo con un bonifico, scrivimi e ti do l’Iban.