Salviamo il pianeta con un’app
🌍 Il colore verde #51: AWorld, app nata a Torino, è lo strumento scelto dall'Onu per la loro campagna contro il cambiamento climatico. Azioni individuali e resoconti virtuali sono sufficienti?
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C’è un’app per tutto. Per dimagrire, imparare a suonare, riconoscere le piante. Per fare un esempio pazzo, RunPee è un timer che in base al film che stai vedendo ti indica il momento giusto per correre a fare la pipì senza perderti scene importanti.
Scherzi a parte: ci sono anche app per salvare l’ambiente. AWorld, tra le tante presenti negli store, è forse la più completa.
Un po’ come le app per imparare le lingue, tipo Duolingo per intenderci, AWorld applica alle attività “verdi” i meccanismi della gamification. In altre parole: rende la sostenibilità un gioco, con tappe, missioni, abitudini da ripetere ogni giorno, assegnando punteggi e premi da sbloccare.
Se non l’hai già installata, fallo e capirai subito (qui il link). Non è una semplice lista di consigli utili: AWorld offre un percorso con video, approfondimenti, numeri. Ogni giorno devi elencare le cose che hai fatto: riciclo dei rifiuti, risparmio energetico, spostamenti sostenibili. Un’autodichiarazione virtuale delle tue scelte reali.
AWorld è diffusa in tutto il mondo, ma ha un cuore italiano: nasce dall’idea di tre torinesi, nasce dall’idea di tre torinesi, Alessandro Armillotta, Alessandro Lanceri e Marco Armellino; il primo è un imprenditore digitale nato nel 1986, gli altri due sono esperti di comunicazione e sviluppo web nati nel 1977.
Da novembre è lo strumento ufficiale delle Nazioni Unite per implementare “ACT Now”: una campagna per sensibilizzare le persone rispetto all’importanza delle azioni individuali per ridurre le emissioni globali di gas serra. Tutte le azioni e le missioni presenti in ACT Now sono quindi create e soppesate nei numeri e nelle statistiche dagli esperti dell’Onu.
La genesi di AWorld è stata raccontata dai giornali lo scorso autunno. Negli articoli è sempre citato questo aneddoto. Durante una visita al polo industriale di Guangzhou, i fondatori – che all’epoca lavoravano nel settore dell’ecommerce della moda – avevano domandato quale fosse il prossimo colore di tendenza. Gli era stato risposto di guardare il colore del fiume: in base agli scarichi delle fabbriche, pieni di colorante per tessuti, l’avrebbero capito. È così che è avvenuta la “conversione verde” dei tre torinesi.
A quasi sei mesi dall’uscita dall’app, volevo capire come stesse proseguendo il progetto. Perché il dubbio è lecito: come trasformare delle azioni “virtuali” in un percorso concreto di sostenibilità?
Mi ha risposto Marco Armellino, presidente della start-up. «L’evoluzione principale che abbiamo introdotto per rendere tutto più tangibile è quella dei Team. Ovvero dei gruppi di persone si ritrovano a condividere risultati e nuovi obbiettivi, motivandosi a vicenda, attraverso un meccanismo che chiamiamo impact engagment».
Questo coinvolgimento può essere declinato in diversi campi, dall’educazione (AWorld ha da poco lanciato un team formato da 20 scuole del torinese) alla formazione aziendale. L’app può essere usata anche da brand e sponsor per lanciare sfide collettive (le “challenge”) con effetti reali: per esempio il magazine Donna Moderna ha lanciato un team per i suoi lettori che servirà ad “adottare” un milione di api a Milano.
(Parentesi pratica: al momento un team non può essere formato da chiunque: bisogna contattare la start-up e presentare la propria idea. Se a richiederlo è un’azienda, il team è arricchito da percorsi di formazione e servizi aggiuntivi, ed è a pagamento).
Armellino mi spiega che vogliono ampliare il monitoraggio delle azioni degli utenti. «Si potranno integrare delle metriche come i consumi elettrici di casa, i rifiuti prodotti, i mezzi di trasporto usati».
Il fine è realizzare una piattaforma dove si concentra e diffonde la cultura della sostenibilità. Marco non ha paura a difendere la sua visione secondo cui il sistema deve evolvere dall’interno, aspetto spesso criticato da chi vuole un ambientalismo più radicale.
«Il nostro può essere un approccio un po’ naïf, ma la storia ci insegna che la maggior parte dei cambiamenti avviene un passo alla volta. Viviamo in un mondo complesso: qualsiasi rivoluzione fatta dalla sera alla mattina comporterebbe dei problemi a qualcuno dei 7,6 miliardi di abitanti del Pianeta».
Di fronte a AWorld c’è ancora un dubbio che può nascere: hanno davvero senso le azioni individuali? Siamo noi o le grandi istituzioni a dover cambiare prima?
Mi sento di dire che il dubbio è posto in maniera sbagliata. Non si tratta di una dicotomia. Per spiegarmi cito il lavoro di Kimberly Nicholas, professoressa americana di “scienza della sostenibilità”, che da poco ha pubblicato un libro dal titolo Under the sky we make. Spiega come le azioni individuali – che nella realtà delle cose si ripercuotono su una fitta rete di persone, enti e aziende e persino governi – contano eccome. In particolare se ad agire è la carbon élite, l’élite del carbonio.
Cos’è questa élite del carbonio? La popolazione sufficientemente ricca da permettersi emissioni extra, emissioni di lusso. Non ne fanno parte solo i ricchissimi con i jet privati, ma una buona parte degli abitanti dei paesi sviluppati. Quindi anche io e te e le persone che ci stanno attorno.
Iniziative verdi:
Negli USA Google Maps inizierà a suggerire i percorsi con minore impatto ambientale (oltre a suggerire opzioni di mobilità sostenibile).
Persino lo sport cambia: la Federazione di cricket italiana ha piantato, insieme a Treedom, 200 alberi in Camerun, così da compensare le emissioni degli alberi abbattuti per realizzare tutte le mazze da cricket presenti nel nostro Paese.
Flowe (banca del gruppo Mediolanum attenta a giovani e ambiente) e gli amici di ZeroCO2 hanno presentato “Revolution”, un ricco programma di incontri digitali che si terrano da qui al 22 aprile, giornata della Terra.
Segnalibri:
Ho scritto sul Messaggero dei limiti della narrazione di Seaspiracy, il nuovo documentario Netflix contro la pesca. Sul tema segnalo anche questo articolo di Rivista Studio: Netflix ha un problema con i documentari.
Greta Thunberg ha raccontato al Financial Times le sue nuove idee. Lunedì per BBC, invece, esce un documentario in 3 puntate sul suo anno lontano da scuola, A Year to Change the World, qui il trailer.
Il cortometraggio “The Beauty” racconta un mondo dove la plastica si è fusa con la vita marina. Si vede su Artribune, dura 4 minuti.
L’inchiesta di Internazionale sui rifiuti italiani in Tunisia è disponibile online (dopo essere stata la copertina del numero di una settimana fa).
In Italia il 40% dell’acqua viene sprecato per i problemi della rete idrica, i nuovi dati Istat su il Post. Altroché le docce sotto i cinque minuti.
Osservatorio nucleare: l’americana TAE ha annunciato che entro il 2030 saranno pronti a offrire centrali a fusione nucleare commercialmente redditizie. Se così fosse, sarebbe un salto bello grande per il settore.
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