L'autunno siamo noi
🌍 Il colore verde #75: Con un approccio più lento all'ecologia – e meno performativo – possiamo proteggere il Pianeta e affrontare con meno ansia la crisi
Due piccole belle novità:
1. Il colore verde ha vinto un premio! La menzione speciale “Pietro Greco” del Climate Change Communication Award, assegnato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici. La motivazione, che descrive perfettamente questo progetto, la trovi qui su Istagram, dove puoi anche mettere un 💚 per partecipare con me ai festeggiamenti.
2. Ci vediamo a Modena! Giovedì 30 settembre alle 16.00, al DIG Festival di Modena (un festival dedicato al giornalismo investigativo) terrò un workshop di 2 ore dal titolo “Dizionario minimo della crisi climatica per giornalisti”. L’incontro è solo dal vivo e aperto a tutti: se sei giornalista iscrittə all’albo, vale 2 crediti formativi (basta registrarsi dalla piattaforma Sigef nella sezione corsi ODG o dal sito del festival). Sabato 3 ottobre parteciperò a un altro incontro sul clima (questo), quindi in quei giorni, se sei nei paraggi, scrivimi e vediamoci!
Ok, partiamo con la puntata.
«Il regalo che dovremmo fare al Pianeta? Il tempo», ha scritto qualche mese fa George Monbiot, editorialista inglese del Guardian.
«Gli ecosistemi perché siano sani dipendono in larga misura da habitat “vecchi”, che hanno bisogno di tempo per svilupparsi, e sono ricchi di quella che gli scienziati chiamano “eterogenità spaziale”, ovvero un’architettura naturale complessa».
La natura ha bisogno di tempo: proprio l’opposto di qualsiasi oggetto o costruzione artificiale, che con il tempo può solo deteriorare. La natura ha bisogno di anni, decenni, secoli – ma anche milioni di anni – per potersi aggiustare, perfezionare, riequilibrare. Sistemare.
«Abbiamo un movimento per lo slow food, per lo slow travel, ma ci manca qualcosa. Abbiamo bisogno di un movimento per la slow ecology», continua Monbiot. L’ecologia lenta è un approccio che alcuni scienziati hanno provato a definire (qui il manifesto), ma che non ha mai del tutto attecchito nella narrazione collettiva.
Prevale oggi un approccio performativo alla natura, alla sua difesa o conservazione: vogliamo piantare migliaia di alberi, ma poco si fa per le vecchie querce tutte bucherellate dai picchi, difficilmente rimpiazzabili. Eppure sono proprio quelli i luoghi dove la natura dà il suo meglio: ricca, interdipendente, profonda. Un dato: si stima che tra 10 e il 40% degli uccelli e dei mammiferi di tutto il mondo ha bisogno di una cavità (piccola o grande) in un albero per sopravvivere e prosperare. Quindi c’è bisogno di un picchio che apra la strada, e che il tempo faccia il resto, con batteri, microfunghi e muffa a fare il resto.
La natura lenta e incontaminata non è solo quella dei boschi millenari, ma anche quella delle paludi, delle foreste di mangrovie lungo le coste, delle barriere coralline. Ecosistemi che conosciamo poco e spesso distruggiamo molto, ma che sono fondamentali per il respiro e l’equilibro della Terra.
Un approccio più lento all’ecologia e all’ambiente può essere anche una soluzione alla crescente ansia per le sorti della Terra (la climate anxiety che descrivevo la settimana scorsa). Impariamo ad avere pazienza. E, a volte, anche fiducia. La nostra sorte e la sorte della biodiversità e del clima, non sono spacciate: un bel respiro e diamoci da fare. Ce la possiamo fare.
Adesso faccio il maestro zen: la natura ci insegna che tutto ha bisogno di tempo. Eppure noi ci fissiamo sull’esatto contrario. Amiamo la primavera e ci rattristiamo di autunno, come se tutto fosse finito. È l’esatto opposto: tutto sta per ricominciare. Impariamo dall’autunno… ad aspettare.
Una delle mie poesie preferite è sempre stata Nothing gold stay di Robert Frost (qui in versione originale):
In Natura il primo verde è dorato,
e subito svanisce.
Il primo germoglio è un fiore
che dura solo un’ora.
Poi a foglia segue foglia.
Come l’Eden affondò nel dolore
Così oggi affonda l’Aurora.
Niente che sia d’oro dura.
È una poesia struggente, incentrata sulla bellezza fuggevole del mondo naturale. Ma ecco, caro Robert Frost, vorrei dirti che manca un pezzo.
Sarebbe da aggiungere un nuovo finale. Un verso apocrifo che promette rigenerazione. Perché ciò che sembra fuggire in realtà torna, in altre forme e colori ed equilibri. Dopo l’autunno, dopo l’inverno, il germoglio tornerà. Certo, ci vuole un piccolo sforzo: bisogna proteggere l’albero, o almeno lasciarlo in pace.
In altre parole: non facciamoci prendere dallo sconforto. Perché, tornando a noi terrestri, le buone notizie ci sono per chi sa cercarle. So che di solito ti offro una rassegna stampa sempre negativa (in settimana una lettrice mi ha scritto “Ogni volta che ti leggo, mi arrabbio!”), ma prometto solennemente di dare molto più spazio, d’ora in poi, ai risvolti positivi.
E le buone notizie ci sono anche per chi sa aspettarle. Come hanno fatto gli studenti e le studentesse dei Fridays for future – il movimento lanciato e ispirato da Greta Thunberg. Ieri, in tutta Italia e in tutto il mondo (in 97 paesi e 115 città per la precisione), sono tornati in piazza per guidare lo sciopero globale per il clima: non so se hai già visto qualche immagine, o ascoltato qualche intervista, ma erano – finalmente – tanti, tantissimi, dopo più di un anno di silenzio e piazze vuote per la pandemia.
Io ho seguito la manifestazione di Roma, sorridendo ai cartelli più creativi (“Ma se se scioje er ghiaccio, come lo famo er mojito?”) e appasionandomi durante i cori e i discorsi con il megafono.
Erano arrabbiati, vero, ma anche molto felici: di essere lì, di essere coscienti e impegnati, ingenui ma ottimisti. Orgogliosi di contribuire con il loro verso, che sia una poesia o un grido.
Buon autunno.
📰 La rassegna
Per guadagnare 40-50 anni sulla crisi climatica dovremmo piantare mille miliardi di alberi. «Non pochi. Ma non è un’impresa davvero impossibile», scrive Stefano Mancuso su Repubblica.
Questa settimana alle Nazioni Unite i leader mondiali si sono ritrovati in Assemblea. Tutti i principali capi di Stato e di Governo hanno parlato di crisi climatica, facendo promesse, spiegando piani, lanciando allarmi. Biden, Draghi, persino Xi Jinping ha promesso di non costruire o finanziare più impianti a carbone all’estero. È poco? Forse. È qualcosa? Assolutamente sì.
L’economista Carlo Cottarelli spiega come, secondo lui, il governo stia sbagliando a varare sussidi generalizzati per ridurre il costo dell’aumento delle bollette energetiche. Uno dei motivi? «Un sussidio energetico va a sussidiare il consumo di energia “sporca”» senza fare nulla di strutturale per uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili.
L’Unesco, ente internazionale per la salvaguardia del patrimonio umano e naturale, ha dichiarato Riserva della biosfera la regione fluviale Mura-Drava-Danubio per la gioia di migliaia di attivisti, che per anni si sono battuti per il riconoscimento. È un’area che viene chiamata “l’Amazzonia di Europa”: abbraccia 5 diversi Paesi e si estende per un milione di ettari. L’etichetta Unesco renderà più facile proteggerla, conservarla e raccontarla non solo oggi ma anche nelle prossime generazioni.
Un progetto fotografico realizzato in Africa che mette vicino animali a rischio estinzione con persone che hanno perso la casa a causa di siccità ed altri eventi ambientali. Di Nick Brandt sul Guardian.
Giovedì notte i sette programmi comici notturni americani hanno dedicato la loro programmazione al clima: «far ridere sull’argomento forse può renderlo meno pauroso», ha detto uno dei produttori dell’iniziativa congiunta dei late show. Su Grist trovi una selezione delle clip migliori.
Per aspiranti scrittrici e scrittori: un nuovo concorso cerca (e premia) le migliori storie di climate-fiction italiane. Si chiama “The Source” e lo organizza il Gruppo CAP di Milano.
Valentina Tonutti, autrice della newsletter “Fuori dal PED” sui social e la comunicazione online, ha dedicato la sua ultima puntata – uscita stamattina – ai temi “verdi”: all’interno dell’articolo, c’è anche un’intervista che mi ha fatto.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? Questa foto, tenerissima, che ha una storia ancora più dolce.
Selvi, la ragazza nella foto, è la madre sostitutiva di Otan, un orango maschio di 3 anni che è stato salvato grazie a un’associazione animalista indonesiana. I due si incontrano quotidianamente e stanno sviluppando un forte legame madre/figlio: lei gli sta insegnando addirittura ad arrampicarsi. La specie a cui Otan appartiene, quella dell’orango dell’isola di Sumatra, è gravemente minacciata dalla deforestazione e dallo sfruttamento dei terreni per estrarre minerali o produrre olio di palma.
La foto è stata scattata dal belga Alain Schroeder, ed è una delle immagini vincitrici del World Report Award del Festival della fotografia etica di Lodi. Da oggi fino al 24 ottobre sarà esposta nella città lombarda, insieme a tanti altri interessanti progetti fotografici.
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