Altre cinque foto per capire l'Antropocene
🌍 Il colore verde #103: Gli scatti premiati al World Press Photo 2022 mostrano fragilità e ferite del nostro Pianeta
Se segui Il colore verde da tempo sai che una questione mi sta molto a cuore: il nostro immaginario collettivo ambientalista. Quali immagini e quali scene ci vengono in mente quando menzioniamo temi come climate change, ambiente, sostenibilità e più in generale il nostro impatto sul Pianeta.
Se prendiamo come cartina tornasole Google immagini – lo strumento più usato e diffuso per trovare fotografie e illustrazioni – la situazione sembra piuttosto drammatica. Perché ancora oggi cercando “climate change” o “sostenibilità” troviamo tristi fotomontaggi e immagini stereotipate.
Eppure, ormai lo sappiamo, l’emergenza ambientale è già qui. Non solo dobbiamo notarla, vederla, farci attenzione. Ma dobbiamo anche essere in grado di immaginarla. Altrimenti, in mancanza di un immaginario condiviso le nostre azioni saranno sempre troppo deboli.
Provo a fare un parallelo, che avevo già illustrato un anno fa: se prendiamo “tsunami”, o “terremoto”, ci vengono subito in mente gli effetti devastanti del fenomeno. Se fosse lanciata un’“allerta tsunami” prenderemmo tutti paura: saremmo in grado di immaginarci gli effetti tremendi.
Ciò non avviene ancora con l’emergenza climatica, nonostante da anni siamo sempre più vittime di alluvioni, siccità, eventi meteo improvvisi ed estremi; ma anche migrazioni, conflitti e mutazioni lente ma inesorabili degli ecosistemi.
Questa settimana sono stati annunciati i vincitori del World Press Photo, il premio fotogiornalistico più importante al mondo. Qui trovi tutti i premiati (che saranno in mostra da fine mese alla Gam di Torino e al Palazzo delle Esposizioni di Roma).
Delle foto vincitrici ne ho selezionato alcune che parlano di ambiente e del nostro impatto sulla natura. Scatti che raccontano l’Antropocene, il nome che alcuni scienziati hanno dato a questa era geologica, un’epoca in cui il principale agente del cambiamento di equilibri naturali è l’homo sapiens. Vediamole insieme.
Le fiamme nel Mediterraneo
La scorsa estate è stata la seconda nella storia per il numero e la diffusione degli incendi in Europa. L’immagine qui sopra è scattata lo scorso 8 agosto nell’isola di Evia, che si trova a nord-est di Atene: una donna mostra la sua disperazione mentre tutto brucia, compresa la sua casa. Dell’isola, dopo settimane di incendi, è rimasto ben poco: sono stati colpiti 50.000 ettari di foreste e distrutte più di 300 proprietà. Ancora oggi, la situazione sull’isola è apocalittica, come racconta questo recente reportage.
In fumo la Siberia
Diversi record sono stati battuti anche in America del Nord e, soprattutto, in Siberia. La vasta regione geografica russa è uno degli hotspot del cambiamento climatico: l’aumento di temperatura è molto più alto della media globale. D’inverno si toccano i -60°C, d’estate sono stati raggiunti i +40°C. Così gli incendi del sottobosco siberiano aumentano a dismisura ed è impossibile contenerli, visto che parliamo di aree enormi e spesso inaccessibili. Il problema non si limita alle fiamme, ma comprende anche l’inquinamento atmosferico causato dagli incendi incendi, che si diffonde per chilometri e chilometri. La foto qui sopra mostra la spiaggia di Yakutsk, capoluogo della Jacuzia, il 17 luglio 2021: l’aria è piena di smog causato dagli incendi e il governo locale ha emanato un’allerta (inascoltata), consigliando a tutta la popolazione di rimanere a casa.
La distopia amazzonica
Questo progetto fotografico di 30 foto (da vedere tutte) mostra la “Distopia amazzonica”, ovvero la distruzione e la devastazione della foresta amazzonica brasiliana, sempre più fragile negli anni della presidenza di Jair Bolsonaro. Dal 2019 la deforestazione nel Paese corre a un passo mai così alto, a causa delle liberalizzazioni concesse da Bolsonaro ad agricoltori, tagliaboschi e progetti di ingegneria civili. Lo scatto qui sopra mostra gli scavi per la diga di Belo Monte, ad Altamira, nello Stato di Pará. L’interruzione del flusso del fiume Xingu ha cambiato gli ecosistemi attorno alla costruzione e danneggiato le popolazioni indigene locali.
La lotta tra uomo e tigre
La tigre del Bengala è una delle specie più a rischio di estinzione al mondo. Rimangono solo 3000 esemplari in India. La popolazione è diminuita drasticamente nell’ultimo secolo: a causa dei bracconieri, ovviamente, ma anche perché i suoi territori sono sempre più ridotti, a causa dello sviluppo degli insediamenti umani. Negli scorsi decenni sono state create in India circa 50 aree protette per tigri: ma i confini di queste aree non sono delimitati con precisione e barriere, così le tigri sempre più spesso sono costrette a raggiungere villaggi e città, nutrendosi del bestiame delle popolazioni locali. I conflitti uomo-tigre in India sono all’ordine del giorno: il governo ha creato delle squadre speciali che hanno il compito di catturare le tigri prima che vengano uccise da agricoltori e allevatori. Nella foto i membri della task force hanno sedato una tigre e la stanno riportando nell’area protetta dell’Andhari.
Fiamme controllate in Australia
Abbiamo iniziato con le fiamme, finiamo con le fiamme: uno degli anziani della popolazione Nawarddeken, gruppo aborigeno del nord dell’Australia, brucia i terreni attorno al suo villaggio. La pratica degli incendi controllati è una tradizione millenaria per i Nawarddeken: serve a proteggere l’area da incendi più grandi. Le fiamme vengono appiccate la sera, così che le temperature notturne e l’umidità le facciano affievolire e poi spegnere naturalmente. Negli ultimi anni gli incendi naturali, resi più feroci dal climate change, stanno devastando l’Australia: il ruolo dei Nawarddeken è quindi sempre più fondamentale, tanto che alle tradizionali pratiche sfruttano oggi anche nuove tecnologie per gestire il territorio come droni e mappature digitali.
📰 I link
Sulla guerra in Ucraina.
• Come farà l’Europa senza il carbone russo? (Il Post)
• Nello scenario in cui chiudiamo i rubinetti del gas russo, ma allo stesso tempo non riusciamo a sostituirlo del tutto, che cosa possiamo fare? Ridurre i consumi. Come? Lo spiega questa guida. (Corriere)
• L’onda d’urto della guerra in Ucraina si propaga in tutto il mondo (Internazionale)
• La crisi alimentare in Nord Africa e Medio Oriente. La storia vista dalla Tunisia. (Internazionale)
• La guerra indebolisce la capacità del mondo di affrontare la crisi climatica. (Cnn)
Sul resto:
• É uscita la terza parte del rapporto dell’IPCC, il gruppo di lavoro intergovernativo sul cambiamento climatico, il più importante e autorevole ente globale sul tema. Dopo il primo capitolo dedicato alla scienza del climate change, una seconda dedicata all’adattamento, la terza parte è dedicata alla mitigazione, ovvero alle cose da fare per ridurre il nostro impatto. Un buon riassunto: la situazione è grave, ma ci sono degli spiragli positivi. Riassume le conclusioni del rapporto, come sempre molto bene, Tommaso Perrone su Lifegate.
• Tema microplastiche: ora sono stati trovati anche nei polmoni: significa che oltre a ingerirle, il corpo le assorbe anche attraverso la respirazione. (Wired)
• Un altro argomento vastissimo: la carta costa sempre di più. (Il Post)
• Quali sono le 25 città che più inquinano al mondo? Sono quasi tutte cinesi. La prima europea, invece, è Mosca. (Corriere)
• Ci sono solo 25 taxi elettrici a New York City (su 14.000), ma le cose stanno per cambiare. (NY Times)
• Record di emissioni di metano nel 2021 (NY Times)
• Nasce il “Rhino Bond”: La Banca mondiale emette le prime obbligazioni per proteggere le specie in via d’estinzione. (Lifegate)
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, friulano, 31 anni. Sono un giornalista e lavoro a La Stampa. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e nel 2021 ha vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e Radio 3 Scienza. Il colore verde ha anche un bosco di 100 alberi in Guatemala, piantato da ZeroCO2. L’anno scorso ho fatto un podcast: Climateers, sulle pioniere e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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