Il climate clock a New York. Ve lo racconto a fondo mail o qui.
Su Instagram ho risposto con dei grafici alla domanda “Chi emette più gas serra nel mondo?” Per chi non ha visto la risposta: la Cina, che da sola contribuisce quasi al 28%, e poi gli USA.
I gas serra prodotti dalle attività dell’uomo – come la CO2 – causano l’aumento delle temperature medie, e si generano con la combustione di carbone, petrolio e idrocarburi. I tentativi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico che ne consegue puntano proprio a ridurre le nostre emissioni nette.
Comprendere il ruolo dei singoli Paesi in termini di quote (e non di complicate unità di misure) è utile a guardare le cose in prospettiva: l’Italia è il 20° Paese al mondo per quantità di emissioni, pur essendo la 9° economia, e contribuisce “solo” all’1% del totale annuale.
L’approccio Stato per Stato, a volte, fa cadere in errori: “certo che la Cina è prima, guarda quanti sono!”, viene in mente. Eppure l’India ha quasi gli stessi abitanti, e contribuisce al 7%. Cosa non torna?
All’equazione manca la “ricchezza”. Uno studio di Oxfam uscito lunedì ha acceso una lampadina sul tema.
Scrivilo su un post-it: l’1% più ricco del mondo produce il doppio delle emissioni del 50% più povero. Metà pianeta pesa come 9 milioni di ricchissimi. In termini di quote, l’1% produce il 15% delle emissioni totali, il 50% povero il 7%. Come è possibile? In questi giorni sto guardando Succession, serie tv uscita vincitrice dagli Emmy Awards che parla della famiglia di un vecchio magnate dei media di New York. Si muovono in elicottero, hanno case ovunque, le piscine riscaldate.
Benvenuto nell’era della diseguaglianza del carbonio. Non pensare di avere trovato la risposta a tutti i mali, però: il mondo non si salverà “facendo sparire” il diabolico 1%. Perché, dato il sistema economico, altri arriveranno.
Tolta la metà povera e l’apice, è nel resto della popolazione che si producono più emissioni. Il 10% ricco contribuisce al 49% delle emissioni totali. Non pensare che siano solo nei soliti posti noti: “basta” un reddito superiore a 135.000€ circa, e in Italia ci sono quasi di 250.000 contribuenti attivi che ce l’hanno. Il 40% della popolazione che sta nel mezzo, contribuisce al 44% (qui i grafici).
Se anche le disuguaglianze diminuissero, le emissioni verrebbero solo redistribuite. Questo finché il motore del mondo andrà a idrocarburi e l’obiettivo sarà la crescita economica senza tenere conto dei costi sociali, ambientali e climatici.
Ecco perché è necessario rendere visibili questi costi. Immagina una sorta di plafond, come il massimale delle carte di credito, ma applicato all’ambiente: oltre una certa soglia non si può andare. E più ricchi siamo, come Stato o come individui, più l’abbiamo già consumato. In politica viene chiamato carbon budget, bilancio del carbonio: siamo in rosso e la grande banca che è il mondo chiamerà.
Se mi segui su Instagram sai che a New York hanno installato un grande orologio che scorre alla rovescia verso il disastro climatico? È un countdown: punta alla data in cui avremmo terminato il nostro budget e non sarà più possibile limitare l’aumento di temperatura al livello di +1,5°C, lo scenario meno pericoloso di tutti. Mancano 7 anni.
Da leggere (e vedere)
• Se vivete a Roma, il 28 al cinema Farnese proiettano Controcorrente, un documentario itinerante sullo stato dell'acqua. Ci saranno anche i due autori, molto bravi.
• La California vuole vietare le auto a benzina e gasolio entro il 2035 (Il Post)
• Seven Charts on Climate Policies for Key Sectors in the European Union (IMF)
• Il ritorno dei ragazzi del clima (Domani)
• Se vi piacciono i podcast e volete sentire il mio accento del Friuli: qui l'incontro che ho fatto con Alessandra Maggi sabato scorso al festival del Gemini Network di Perugia (segnalo una parentesi divertente al minuto 4.30)
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