«I sondaggi e le statistiche hanno sostituito gli oroscopi, ma hanno valore e probabilità uguali» scriveva il filosofo e scrittore torinese Guido Ceronetti nella sua celebre raccolta di aforismi Insetti senza frontiere (Adelphi). Io per primo mi sono dato la regola di ascoltarli il meno possibile, nonostante la loro intrinseca magia. Ho smesso di fidarmi dei sondaggi una gelida notte di novembre di qualche anno fa: sono andato a dormire con Hillary Clinton in vantaggio; mi sono svegliato nell'Era di Trump. Forse è successo anche a voi.
Fatta la dovuta premessa, ora mi smentisco. Questa settimana negli Usa è uscito un importante report dell’Università di Yale dal titolo “Climate Change in the American Mind”, il cambiamento climatico nella mente degli americani, basato su un sondaggio nazionale con un campione di 1029 adulti. I motivi per cui parlo del sondaggio oggi sono almeno tre. Per quello che dice: gli americani sono in larga maggioranza preoccupati per il cambiamento climatico. Per quello che ci aspettavamo noi: l’esatto contrario. Per quando è stato fatto: in piena pandemia.
FINITE POOL OF WORRY —
Parto dall’ultimo punto: il sondaggio è stato svolto tra il 7 e il 17 aprile. In piena emergenza coronavirus. A inizio aprile negli Stati Uniti morivano circa 1000 persone al giorno per il Covid e proprio il 16 del mese si è toccato l’incremento quotidiano più alto di tutta l’emergenza: 4928 morti.
I ricercatori si aspettavano che l’importanza data ai temi ambientali diminuisse in piena emergenza sanitaria. Si basavano sulla teoria del “finite pool of worry”, la riserva limitata di preoccupazione: la nostra mente può percepire una quantità limitata di emergenze e fatiche, dando priorità alle più imminenti e gravi. È, in effetti, quello che ci è successo in piccolo durante il lockdown, quando abbiamo smesso di concentrarci su piccole e meno rilevanti aspetti della nostra vita (ad esempio: portare i pantaloni stretti ed eleganti). È anche successo, in grande, una decina di anni fa: con la recessione del 2008, molti temi a lungo termine – tra cui il cambiamento climatico – sono improvvisamente sembrati meno importanti.
Ma la riserva finita di preoccupazione non è entrata in gioco adesso: mai come in questa edizione del sondaggio, la popolazione americana è stata così preoccupata per il cambiamento climatico. Il 73% degli americani (valore più alto di sempre) crede che il cambiamento climatico sia in corso. Il 10% pensa che non stia avvenendo (valore più basso di sempre). Il 62% crede che sia causato principalmente dall’uomo e il 66% è almeno «piuttosto preoccupato» delle conseguenze e crede che sia un fenomeno che lo riguarda personalmente.
La prima domanda del sondaggio: in verde chi pensa che l'aumento di temperature stia accadendo; in nero chi no
Per il cambiamento climatico c’è interesse a discuterne (63%), anche se in famiglia se ne parla poco (36%). Se ne sente parlare sui media (47% almeno una volta al mese), ma un po’ meno dalle altre persone (22% almeno una volta al mese).
Un sacco di numeri in fila difficili da ricordare ma che disegnano un trend. Esiste una percezione ben definita del cambiamento climatico. Faccio un paragone spurio: secondo un altro sondaggio, gli americani che tengono almeno un’arma in casa sono il 37% (Gallup). Semplifico: praticamente per ogni americano con un arma c’è un americano preoccupato dal cambiamento climatico.
QUELLO CHE CI ASPETTAVAMO —
E quindi mi domando: perché ci aspettavamo il contrario? Solo quattro anni fa, per esempio, io titolavo un mio articolo per La Stampa con “Il cambiamento climatico esiste davvero?”. La domanda era retorica, ma serviva da gancio per attirare gli scettici e i meno informati.
Gli Stati Uniti non sono un caso isolato. Un sondaggio Ipsos uscito ad aprile e realizzato in 14 Paesi tra il 21 febbraio e il 6 marzo (20.590 intervistati, dai 16 anni in su), disegna una situazione simile: il 71% del campione crede che il clima sia, nel lungo periodo, una questione tanto seria quanto il coronavirus. In un anno, la gravità percepita del riscaldamento globale è salita di 7 punti percentuale. Quella dell’inquinamento dell’aria di 3. Ma non è solo merito dell’ultima ondata di giovani attivisti come Greta Thunberg: tra 2014 e 2020 è rimasto invariato il numero di persone disposte a cambiare il proprio comportamento per salvare l’ambiente (tra il 35% e il 57% delle persone, a seconda delle scelte richieste). In Italia il 71% degli intervistati desidera che il governo agisca per combattere il cambiamento climatico. Il 71%! Ho 1892 amici su Facebook: secondo il sondaggio, in proporzione, 1343 di loro vorrebbero un governo attivo sul fronte della salvaguardia del clima.
Duemila paia di scarpe da bambino a Trafalgar Square, Londra, lunedì scorso: una manifestazione in tempi di lockdown degli attivisti di Extinction Rebellion (foto Simon Dawson/Reuters)
PERCEZIONE VS REALTÀ —
Sappiamo che non è così. Percepiamo la distanza abissale tra le risposte di un sondaggio e quello che poi accade attorno a noi.
Mi sto dando alcune spiegazioni. La prima, legata alla comunicazione: il tema ambiente è passato da essere un taboo a un argomento jolly. Come quando mi chiedono che squadra tifo e per non dire la completa verità dico che sono di Udine quindi tifo l’Udinese. O come durante una conversazione politica, soprattutto anni fa, quando domandavano per chi avresti votato e per non rischiare rispondevi “Partito radicale”. Alla fine, però, i Radicali non superano mai il 3% e lo stadio dell’Udinese è così vuoto che hanno dovuto mettere delle sedie di colori diversi per simulare il pubblico. E questo ben prima del coronavirus. Il clima – così come l’economia circolare, il green new deal – sono diventati l’argomento acchiappa-tutto anche per i politici.
«È anche per evitare questi rischi che ci adopereremo affinché la tutela dell'ambiente e della sostenibilità siano inseriti tra i principi fondamentali del sistema costituzionale; tutto il sistema produttivo dovrà orientarsi in questa direzione, promuovendo prassi socialmente responsabili che renderanno più efficace la transizione ecologica e indirizzino il sistema verso un'economia circolare che dismetta la cultura del rifiuto e valorizzi la cultura del riciclo».
Non l’ha detto un radicale attivista di Extinction Rebellion, ma il premier Giuseppe Conte lo scorso settembre nel discorso alla Camera per la fiducia al suo nuovo governo.
La seconda spiegazione, legata alle decisioni. Secondo il sondaggio Ipsos l’azione che maggiormente siamo disposti a fare per arginare il cambiamento climatico è «comprare prodotti con meno imballaggi». È interessante: questa scelta implica una visione di se stessi come consumatori. E siamo consumatori anche nelle decisioni sostenibili per i trasporti, per nuovi oggetti, vestiti da comprare. Persino nella dieta.
È un limite enorme. Il nostro futuro non dipende dalle scelte più consapevoli dei consumi, o comunque non solo. Non si può risolvere la crisi climatica agendo da bravi consumatori, ma decidendo di essere bravi cittadini.
Domanda in sospeso: e allora come si trasforma la retorica in azione? Come si convertono le decisioni degli individui in istanze politico-sociali?
La copertina strepitosa del Climate issue del New York Times Magazine dell'aprile 2019 realizzata da Pablo Delcan. La storia del Nevada che vi racconto qui proviene da un articolo di David Leonhardt all'interno della rivista.
STOP IN NEVADA —
Voglio salutarvi con una piccolissima storia che però forse racchiude parte della risposta. Nel 2018 in Nevada NextGen – un gruppo di advocacy (ovvero un ente che cerca di far passare leggi a favore di una propria causa) – ha proposto una legge per limitare l’uso di fonti energetiche fossili in favore di una transizione rapida verso le rinnovabili.
È proprio grazie a un sondaggio che hanno capito come impostare la loro campagna politica. Alla domanda: «Lo Stato dovrebbe usare più energia pulita?» ben l’80% degli intervistati aveva risposto di sì. Così la campagna per arrivare al voto è stata tutta incentrasta su questo. Nextgen ha raccontato i benefici nel breve e medio termine della transizione energetica: dai posti di lavoro all’aria più salubre. In uno spot televisivo una dottoressa raccontava i danni ai polmoni causati dall’inquinamento atmosferico. In un altro una madre raccontava le difficoltà di suo figlio asmatico.
Jennifer Cantley, così si chiama la madre, in lacrime dice: «Controllo la qualità dell’aria ogni mattina, per essere sicura che il mio bambino possa uscire a giocare con gli amici e essere, per quel giorno, un bambino come tutti gli altri».
Ecco il video qui sotto. Con tutti i suoi limiti: sembra la clip di un programma pomeridiano. Ma guardatelo bene: si sta parlando di cambiamento climatico. Senza mai nominarlo.
Ah. La legge in Nevada è passata ancora prima di andare al voto popolare: repubblicani e democratici si sono accordati.
Il video della campagna "Nevadans for a Clean Energy Future". Se non si apre cliccando l'immagine, clicca qui.
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Alcuni articoli e notizie interessanti usciti questa settimana:
• The end of plastic? New plant-based bottles will degrade in a year (The Guardian)
• Social Distance: a graphic short story for the coronavirus age by Mark Haddon (The Guardian)
• Rischio focolai, Pechino paga per ritirare gli animali (Repubblica)
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