🌍 Il colore verde: Soffriamo di deficit da natura?
Stiamo soffrendo di disturbo da deficit di natura?
La nuova opera di Saype, land artist franco-svizzero. "Beyond crisis", oltre la crisi" è un dipinto gigante realizzato con inchiostri biodegradabili a Leysin, Svizzera. (Foto Valentin Flauraud/EPA)
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Coronawilderness
I primi sospetti mi sono venuti a notte fonda, mentre guardavo un documentario su un americano che scala le montagne a mani nude. Non certo i miei gusti, non certo l’orario più adatto.
Il giorno dopo ho trovato altri indizi. Avevo fatto maratone in streaming di Tiger King, Our Planet e persino 72 animali tenerissimi (che non vi consiglio). Stavo ipotizzando di tornare in Friuli dopo il 4 maggio perché la mia famiglia vive in aperta campagna. E, infine, prestavo un’incredibile attenzione alla vita quotidiana della colomba che ha nidificato sul muro esterno al nostro bagno.
Così ho capito: per la prima volta nella mia vita mi manca la natura. Mi manca nonostante gli starnuti, i pruriti, la sporcizia. Nonostante non l’abbia mai considerata come un’entità astratta là fuori in grado di darci saggezza, pace, equilibrio.
Ecco un altro effetto collaterale del coronavirus: ci hanno detto di stare a casa, noi siamo rimasti dentro casa. I parchi sono stati chiusi e gli unici motivi per uscire di casa sono stati comprare e buttare cose.
E così iniziamo a sentire la voglia matta di camminare in un prato, di appenderci ai rami di un albero, di incrociare lo sguardo di un animale selvatico in mezzo a una sterpaglia.
Sta capitando anche a voi? Se sì, raccontatemelo rispondendo alla mail.
Un albero del National Mall di Washington DC ricoperto di nastro: il parco al centro della capitale statunitense è stato chiuso a fine marzo perché all'interno non ci fossero assembramenti (Foto Shawn Thew/EPA)
WALDEN—
Da sempre, o almeno da quando abbiamo iniziato a negarcela, la natura è stata al centro delle nostre più grandi romanticizzazioni. In contemporanea con la rivoluzione industriale abbiamo iniziato a idealizzarla. Dal quadro del Viandante sul mare di nebbia di Friedrich all’abusato Walden, il libro sui due anni, due mesi e due giorni di Thoreau nel bosco:
«Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto».
L’abbiamo sentita tante volte, ma alla fine quanti l’hanno trasformata in realtà? Così negli ultimi decenni abbiamo preso Walden e ne abbiamo ribaltato il senso: il verde, fonte di saggezza e libertà, è diventato una srl. Natura a responsabilità limitata. Pensate ai parchi avventura o gli Airbnb con le casette in legno in alta montagna. Niente di male, ovviamente: ma non è questo che mi manca ora.
Colonna sonora necessaria: Society di Eddie Vedder, canzone-manifesto del film "Into the Wild"
NATURE DEFICIT DISORDER—
In una lettura recente sono incappato nell’espressione: nature deficit disorder. Il disordine da mancanza di natura. Una serie di complicazioni psicologiche e comportamentali derivate dalla privazione dello “stare all’aria aperta”. Si soffre maggiore stress e paura. E poi, fatica di concentrazione, riduzione della creatività e perdita del senso di meraviglia.
Richard Louv, saggista americano, ha coniato il termine nel libro The Last Child in the Woods del 2005 (in Italia pubblicato da Rizzoli, L’ultimo bambino nel bosco). Louv racconta come i bambini vivano in una società fatta di schermi e di come la natura gli sia sempre negata. I genitori rimproverano i figli le troppe ore davanti ai videogiochi, ma allo stesso tempo impartiscono divieti o gridano al pericolo appena escono di casa.
Eppure, dice l’autore, «noi generazioni più vecchie siamo cresciute legandoci alla natura e crescendo con essa. La natura è stato un canovaccio bianco dove noi da bambini potevamo disegnare e reinterpretare le nostre fantasie. Per noi era luogo distante dal mondo degli adulti». [“ok, boomer”].
Ci sono alcune fallacie nel discorso di Louv, ovviamente. La prima è medica: nessun manuale ufficiale di salute e psicologia cataloga questo “disordine” come una vera patologia.
La seconda è generazionale: per Louv sono gli adulti a conoscere meglio la natura e quindi la difendono meglio. L’uomo e la natura, però, si stanno separando dalla notte dei tempi, non negli ultimi vent’anni. E, inoltre, le piazze di Fridays For Future hanno dimostrato che i giovani sono molto più coscienti dell’importanza dell’ambiente rispetto ai loro genitori e nonni. In un sondaggio dell’università di Yale di fine 2018 si scopre che il 73% dei Millennial (ciò chi ha dai 18 ai 30 anni) ha a cuore il tema del cambiamento climatico contro il 63% della generazione X, quella dei loro genitori. E non servono i sondaggi per capire che con i minorenni il dato sarebbe ancora più alto.
Il sondaggio dell'Università di Yale: ci sono altre voci interessanti, le trovate tutte qui.
LA SCIENZA—
Anche se il “disordine” non è riconosciuto, e se le teorie di Louv hanno basi precarie, chi può negare che stare a contatto con la natura aiuti a stare meglio, rilassi, diminuisca il battito cardiaco.
Una ricerca di Nature spiega come una «razione di almeno due ore a settimana di natura» faccia aumentare considerevolmente la percezione del proprio benessere. Il campione del test è un gruppo di migliaia di inglesi studiati per un mese.
Altre ricerche precedenti, invece, sostengono che vivere in campagna o vicino ad aree verdi diminuisca – in quantità e probabilità variabili – la possibilità di soffrire di malattie cardio-vascolari, diabete, asma, stress e infine mortalità. Se vi ricordate la prima puntata de Il colore verde, avevamo scoperto quanto l’inquinamento atmosferico incida sulla nostra salute. Nei bambini, poi, stare in natura porta ancora più benefici: diminuisce l’obesità e la miopia. (Nature, con tutti i link alle ricerche)
«Antistaminico, antistaminico» Una famosa vignetta del New Yorker di Pat Byrnes
NEL FRATTEMPO, IN GIAPPONE—
Nella lingua giapponese esiste una parola molto affascinante: Shinrin-yoku, 森林浴. Significa letteralmente “bagno nella foresta”. Una tradizione dalle origini antiche trasformata in pratica negli ultimi decenni. Prima in Giappone (dagli anni ’80), dove si usa come metodo per rafforzare le difese immunitarie, poi in Occidente, con l’Ecoterapia nata negli anni ’90.
Le pratiche sono sempre più alla moda e i benefici sono tanti. O forse no? «Le terapie che hanno a che fare con il contatto con la natura possono avere un ruolo importante nella cura o la prevenzione di malattie, ma l’insufficienza di studi sistemici di alta qualità rende limitate le nostre conoscenze e rende impossibile stabilire delle pratiche cliniche», spiega uno analisi del 2017.
Le foto in quarantena di Elisabetta Zavoli, fotografa di Rimini. «Abbiamo deciso di costruire una routine per noi stessi, cercando di trovare rifugio nella natura e nella nostra fantasia, come modo per alleviare il disagio e ricucire un magico senso di connessione». Il suo profilo Instagram e il profilo di Arcipelago-19, "atlante visivo della pandemia"
L’ORA VERDE—
Ricapitoliamo: il nature deficit disorder non è riconosciuto dai medici e non è detto che l’immersione nella natura faccia, alla fine, così bene. Eppure mentre batto sulla tastiera sbircio l’anziano nel cortile del palazzo di fronte e lo invidio mentre annaffia le sue piantine. Io non ho neanche un balcone e lui invece possiede un favoloso annaffiatoio giallo. Invidio le sue piante, di cui non conosco assolutamente il nome, la specie e le modalità di coltivazione.
Perché questa settimana ho scoperto un’altra cosa: molti di noi soffrono di una forte plant blindness, una “cecità” di fronte alle piante. Non le notiamo, non le differenziamo. Quanti alberi sono piantati nella via che facciamo per andare al supermercato: non lo sappiamo. Che tipo di alberi c’erano nel cortile della scuola che abbiamo frequentato da piccoli: chi può dirlo.
Allora mi viene da pensare che il mio problema, la mia indescrivibile nostalgia verso colline con l’erba alta e ruscelli argillosi è un bisogno cognitivo più che psicologico o fisico. La percezione di un’emozione, piuttosto che la necessità di un rapporto totalizzante.
Il coronavirus, oltre a tutti i danni che ha fatto, ci ha portato via anche delle cose che non pensavamo di avere. E che ora ci vogliamo riprendere, forse per la prima volta nella nostra vita. Da lunedì, tra i tanti bisogni della fase 2, ci sarà bisogno anche di un’ora verde. Per noi trentenni, ma anche per i bambini, i genitori, i nonni. Un’ora verde: al giorno o a settimana poco importa. Non per forza un’immersione, ma un contatto. Un tocco gentile e meraviglioso.
Dobbiamo mettere la nostra ora verde in agenda, insieme a tutte le cose che ci stiamo dicendo di fare. Cosa farò in quell’ora verde non lo so. Cosa faremo chissà. Ma se avete idee, questo è il posto giusto per condividerle.
So many things, so little time: così tante cose da fare in così poco tempo, dicevamo prima. Ora vale il contrario: davanti abbiamo così tanto tempo per fare poche importantissime cose.
Buona ripartenza, state attenti.
***
Se però l’ora verde vi stufa, vi segnalo alcuni articoli interessanti usciti questa settimana:
• The hunt for the origins of covid-19 (The Economist)
È il pezzo più bello che ho letto sull’origine zoonotica del virus. Già che siete sull'Economist, eccone un altro, anche se c'entra poco con l'ambiente:
• After the lockdown: life at 90% (The Economist)
• La salute è un bene comune globale (Il Sole 24 Ore)
• Nature’s comeback? No, the coronavirus pandemic threatens the world’s wildlife (The conversation)
PS. Perché siamo qui
Per l'occhio umano, il verde è il colore con più sfumature. Distinguiamo moltissime varietà di verde. C'entra l'evoluzione: i primati da cui deriviamo si nutrivano prevalentemente di piante e frutta e per loro era vitale poter distinguere ciò che li circondava.
Oggi, sono molte anche le sfumature di verde quando parliamo di cambiamento climatico e all'ambientalismo. I media tradizionali tendono a dare voce o agli scettici o a chi ha un approccio inarrestabile e radicale, con l'effetto di ghettizzare le posizioni e scoraggiare i moderati.
Ecco perché nasce questa newsletter: per raccontare chi ogni giorno prova a contribuire a migliorare l'ambiente, chi si fa domande, chi è pieno di dubbi, chi ha coraggio ma anche una vita, un lavoro e una famiglia da incastrare agli ideali. Per passare parola, soprattutto ai giovani.
Non sarò l'unico a parlare: se avete spunti, dubbi, idee, contributi scrivetemi.