🌍 Il colore verde: Il petrolio crolla. È un bene per l'ambiente?
Il prezzo del petrolio crolla. È un bene per l'ambiente?
Illustrazione di Sarah Grillo per Axios
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Giochi di petrolio
Pensavamo di averle viste tutte. Poi questa settimana, per la prima volta nella storia, il prezzo del petrolio americano è diventato negativo. «What a time to be alive», dicono negli Stati Uniti. Che tempi che stiamo vivendo. Ci sono delle cause ben precise ed è facile spiegare perché questo sia successo. Il mondo è fermo ma l'estrazione continua, soprattutto negli Stati Uniti, dove le perdite sarebbero ancora più alte se si bloccassero i pozzi.
Ma gli effetti per l’ambiente quali sono? Se la causa numero uno delle emissioni di gas serra, il petrolio, crolla nel suo valore, cosa succede? E cosa succede alla corsa verso le energie rinnovabili?
Ricordate la scena dell’anello di Match Point, il film di Woody Allen ambientato a Londra? Un uomo lancia la sua fede verso il Tamigi, l’anello colpisce la ringhiera, come una pallina da tennis colpisce la striscia bianca della rete. Nel ricadere l’anello ha due possibili futuri, imprevedibili mentre volteggia in aria: o finire in acqua o ritornare sulla banchina.
Siamo in questa situazione incerta: ma c’è chi può influenzare il risultato.
La scena dell'anello di Match Point (Youtube)
REGALO A CHI VIENE A PRENDERLO —
Lunedì scorso il petrolio ha perso in un giorno solo il 300% del suo valore e ha raggiunto un prezzo negativo. Significa che si viene pagati per portarselo via? Esattamente. (Significa che la benzina costerà di meno? No, ma questa è un’altra storia). Il prezzo di cui avete sentito parlare è quello dell’indice americano Wti, West Texas Intermediate, e si riferisce a dei future, ovvero contratti che si finalizzeranno nel futuro, in questo caso specifico a maggio, dove si presume che tutto sia ancora bloccato. Il prezzo è crollato negli ultimi giorni per chiudere quei contratti: in mancanza di acquirenti i produttori erano disposti non solo a regalarlo, ma addirittura a pagare.
Estrarre petrolio, soprattutto su suolo americano è molto complicato: si tratta di giacimenti di petrolio non convenzionale (shale oil o petrolio di scisto) ed è necessario un processo tecnologico diffuso solo da poco, il fracking. Grazie allo shale oil, ora gli Stati Uniti estraggono il 57% in più di petrolio rispetto a 10 anni fa(Bloomberg): sono il produttore numero uno al mondo.
Avviare o fermare un pozzo petrolifero è costoso. A tal punto che conviene continuare a produrlo. Da quando è scoppiata la pandemia molto petrolio inutilizzato è stato immagazzinato nei vari centri di stoccaggio, in attesa di tempi migliori. Ma ora quello spazio si sta esaurendo e, letteralmente, non si sa più dove metterlo.
Il problema non è solo americano, e si ripercuote in simile misura su tutti gli indici: il prezzo medio mondiale del petrolio in questo periodo è il più basso da 20 anni e sta continuando ad oscillare sull’onda delle preoccupazioni. Non solo: l’arrivo della pandemia ha colpito un settore che stava già soffrendo una guerra di prezzi tra gli altri due grandi produttori, la Russia e l’Arabia Saudita, a cui i bassi prezzi temporanei fanno meno male, perché la loro estrazione è meno costosa.
Il prezzo del petrolio nell'indice WTI, che unisce coronavirus e guerra dei prezzi di Russia e Arabia Saudita (TIME)
QUANTO CI PIACE IL PETROLIO —
Alcuni numeri del petrolio nel mondo. L’anno scorso sono stati estratti in media 100 milioni di barili al giorno. Mai così tanto nella storia. E non illudetevi: i giacimenti di petrolio non si prosciugheranno presto. Di tutta l’energia consumata nel mondo, il 37% proviene dalla combustione del petrolio, contro il 30% del carbone e il 26% del gas. Le energie rinnovabili, sommate, arrivano a 4,6%. Il dato è del 2018.
Negli ultimi dieci anni le rinnovabili sono aumentate di circa il 6%, ma l’energia proveniente da fonti fossili non è diminuita: l’unica fonte che è calata è il nucleare, che non produce emissioni di gas serra ma è sempre più invisa agli occhi di politici e opinione pubblica. (Our World in Data).
Più del 40% del petrolio è usato per i trasporti su strada. Se si aggiungono gli aerei, i trasporti arrivano al 60%. Dopo il gas, il petrolio è il fossile che bruciando produce più CO2. Meno petrolio che brucia significa meno emissioni. E questo è un bene per l'ambiente, seppur con dei limiti – benefici concreti si avranno solo con un lungo periodo di riduzione di gas serra.
Ma cosa può succedere dopo? Qui abbiamo bisogno di due scenari: i due lati dove l’anello può ricadere.
Gli aerei in volo sopra l'Europa nell'aprile 2019 e oggi. Per vedere il video-confronto clicca l'immagine.
SCENARIO 1: PANINI GRATIS—
Grazie agli accordi internazionali e la crescente sensibilità rispetto alle tematiche ambientali il mondo sta provando ad affrancarsi dal petrolio come fonte energetica primaria.
Immaginate di aver passato la vita a mangiare junk food, cibo spazzattura: panini, patatine, bibite gassate. Perché vi da più soddisfazione ed è più accessibile. Ma a un certo punto, per varie ragioni, decidete di liberarvi di questa cattiva abitudine, con fatica ma con numerosi benefici. Cosa succede se McDonald’s vi dice che il panino ora costa la metà della settimana scorsa, o addirittura che a una certa ora del giorno vi pagano per mangiare i panini invenduti? Chi dice di no ai panini gratis?
Con le dovute proporzioni è quello che può succedere ora che il petrolio costa così poco. È conveniente a tal punto che tutte le fatiche fatte fin ora vengono messe in secondo piano. L’economia mondiale deve ripartire e ripartire veloce: quale motore migliore se non quello alimentato a petrolio? Pensate alle economie emergenti che hanno bisogno di energia a basso prezzo per raggiungere lo sviluppo dei Paesi ricchi. Come l’India, per esempio: al momento è il terzo consumatore mondiale e per la metà del decennio sarà il Paese con la più alta richiesta di petrolio al mondo.
Non è solo una questione di domanda, però. McDonald’s vi ha dato cibo gratis, ma ora si è anche indebitato e ha bisogno di aiuto: tanta gente vuole panini e tante persone lavorano per farli.
Per colpa della pandemia, le aziende petrolifere ora stanno facendo fatica. Non guadagnano abbastanza per mantenere i numerosissimi lavoratori. Devono chiudere, ridurre la produzione. E come qualsiasi industria che è in difficoltà in questo periodo, qual è l’opzione più ovvia? Chiedere aiuto ai propri governi. Secondo Influence Map nel periodo della pandemia l’industria più attiva nell’attività di lobbying, ovvero di pressioni politiche, a favore di incentivi o deregolamentazioni è proprio quella del petrolio.
Sta succedendo in alcuni Stati: Usa, Australia, Canada, Cina, Russia hanno preso decisioni politiche a favore diretto delle aziende che lavorano nel campo dei combustibili fossili. Nel pacchetto di emergenza da 2 trillioni di dollari voluto dagli Usa ci sono 60 miliardi per le compagnie aeree e prestiti agevolati per aziende petrolifere, senza il vincolo di misure a favore dell’ambiente.
Trump è sempre più lontano dalle politiche verdi, lo sappiamo (ha già eliminato 93 leggi a favore dell’ambiente), ma simili iniziative arrivano anche nell’Unione europea: se da una parte è stata ribadita l’intenzione politica di proseguire il “green new deal”, la serie di politiche economiche a favore dell’energia circolare, il piano di emergenza prevede aiuti anche per il settore automobilistico, aereo e dei trasporti. Insomma, finita la pandemia tutto tornerà come prima.
Un tweet di Trump a favore dell'industria del petrolio: quei lavoratori sono un'importante bacino elettorale per la sua rielezione, così come il potere economico dei proprietari delle aziende.
SCENARIO 2: SUPERATO IL PICCO—
Ora l'altro lato. Il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia, Fatih Birol ha parlato di «occasione storica» per investire sulle energie rinnovabili (IEA). «Gli investimenti per lo sviluppo del rinnovabile dovrebbero essere al centro delle azioni dei governi durante la pandemia, perché l’accelerazione della transizione energetica porterà numerosi benefici». La situazione è senza precedenti: il costo delle tecnologie legate al rinnovabile è diminuito, i vantaggi sono cresciuti. E il costo per estrarre il petrolio è aumentato.
Se domanda e prezzo del petrolio rimanessero bassi a lungo – per la pandemia e per la guerra di prezzi tra Russia, Paesi arabi e USA – molti giacimenti potrebbero essere costretti a chiudere, rendendo vani gli investimenti fatti. Se il prezzo restasse sotto i 35-45 dollari al barile, negli Stati Uniti il 75% dei pozzi non riuscirebbe a coprire i costi (Wood Mackenzie).
Dopo la pandemia, il petrolio potrebbe non convenire più così tanto. Da anni si discute del picco del petrolio: il momento in cui la produzione di petrolio inizierà a scendere e continuerà a farlo per sempre. Secondo Carbon Tracker doveva succedere nel 2023, ma la pandemia potrebbe aver anticipato di qualche anno la data. Non significa che d’ora in poi non si useranno le fonti fossili, ma che potrebbe iniziare il loro declino e la contemporanea crescita di utilizzo di fonti rinnovabili. Una transizione che coinvolgerà le stesse compagnie energetiche che dovranno accettare ristrutturazioni e tagli.
Il picco del petrolio secondo Carbon Tracker
TRANSIZIONE—
Spingendosi ancora più in là con lo scenario, c’è chi sostiene che i governi (ma anche ricchi filantropi) dovrebbero comprare le aziende petrolifere in rosso e chiuderle, spostando i dipendenti verso lavori nell’industria del rinnovabile (Fast Company).
Le scelte politiche che verranno fatte in questo periodo e dopo la fine della pandemia conteranno più che mai. Ma non è solo una questione geopolitica. Pensate al nostro ruolo. Qualcosa stiamo già facendo: stando fermi in casa i nostri consumi sono molto cambiati, alcuni forse per sempre o per anni. Prenderemo meno aerei. Lavoreremo più da casa. Forse, addirittura, compreremo macchine elettriche perché dopo la pandemia cambierà anche il ruolo dell’auto.
Non solo: i nostri investimenti, o comunque gli investimenti della grande finanza vanno in quella direzione. Ricordate quando a gennaio il fondo di investimento BlackRock, il più grande al mondo, aveva comunicato che avrebbe tolto dal proprio portafoglio gli investimenti in aziende che hanno a che fare con i carburanti fossili? «Un’importante ristrutturazione della finanza» aveva detto il ceo Larry Fink.
Come ben immaginate, non si tratta di una scelta solo ambientalista: di tutte le perdite che il gruppo BlackRock ha avuto negli ultimi 10 anni, il 75% derivava da investimenti in quattro grandi aziende ExxonMobil, Chevron, Royal Dutch Shell and BP: tutte legate al petrolio.(IEEFA). Le compagnie energetiche sono passate da avere rendimenti del 20% al 6%: redditività molto simile a quella degli investimenti fatto verso le rinnovabili (FT).
La transizione energetica, però, non capita per caso o per una congiuntura economica negativa di qualche mese. Avviene quando si muovono all’unisono tre grandi motori: necessità, scelte politiche e tecnologie a disposizione. Sono tre parole da scriversi sul palmo della mano, come alle interrogazioni a scuola, e averle sempre a mente. Per quando osserviamo il mondo o quando abbiamo richieste da fare ai nostri politici.
Dove cadrà l’anello?
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Ringrazio Guglielmo Zangoni, laureato in “Energy security”, che ho conosciuto grazie a Sconfinare, mitico giornale universitario di Gorizia dove tante generazioni si sono formate, io e lui compresi. Mi ha aiutato a mettere in chiaro alcuni aspetti della faccenda prima di scrivere questa puntata. Soprattutto, mi ha fatto capire che siamo davvero di fronte a un bivio. Io ho fatto l’esempio dell’anello di Match Point, lui mi ha detto «per la transizione energetica è il crocevia: o è all-in o posticipiamo tutto a data da destinarsi». Se volete seguirlo ha un blog dedicato interamente alla geopolitica dell’energia: Pluggedin183.
Nel periodo della pandemia il petrolio vale meno della carta igienica: ironia di un vignettista arabo (Arabi21)
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