🌍 Il colore verde 05: Vogliamo produrre meno rifiuti?
Il colore verde
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#05: Vogliamo produrre meno rifiuti?
Marcio Rodrigues, fotografo di moda brasiliano, ha creato una maschera con alcuni rifiuti prodotti mentre stava in isolamento. Si era accorto che dopo 20 giorni il comune non aveva raccolto ancora le immondizie nella sua via. (foto di Douglas Magno/AFP)
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«Accadono cose terribili nel mare. A volte mi chiedo se certi umani sono impazziti, perché tentano di trasformare l'oceano in un enorme immondezzaio. Torno da dragare la foce dell'Elba e non potete immaginare la quantità di spazzatura che porta la marea. Per il guscio della testuggine! Abbiamo tirato fuori bidoni di insetticida, pneumatici e tonnellate di quelle maledette bottiglie di plastica che gli umani abbandonano sulle spiagge» spiegò stizzito Sopravento.
«Terribile! Terribile! Se le cose vanno avanti così, tra pochissimo tempo la parola “inquinamento” occuperà tutto il nono volume, lettera I, dell'enciclopedia» aggiunse indignato Diderot.
“Storia di una gabbianella
e del gatto che le insegnò a volare”
Luis Sepúlveda
4 ottobre 1949 – 16 aprile 2020
Rumenta manifesto
Lo abbiamo capito: produrre meno rifiuti è più difficile durante il periodo di isolamento che stiamo vivendo. Consumiamo di più, facciamo la spesa con più fretta e meno attenzione, non possiamo raggiungere negozi o mercati che vendono prodotti più sostenibili. Non solo: gli imballaggi sono un’ottima rassicurazione per chi cerca igiene e sicurezza.
Nonostante ciò, nel mondo ci sono sempre più persone e famiglie che cercano di vivere “zerowaste”, ovvero zero rifiuti, una filosofia che impone di ridurre al minimo indispensabile gli scarti. Ci sono varie reti in Italia e all’estero, nonché alcuni esempi poco noti e altri più famosi. Come Stevie Van Horn di Brooklyn, che riesce contenere quattro anni di suoi rifiuti in un barattolo. Per vivere così, però, ci vuole tanto impegno, forza di volontà, e considerevoli capacità di riciclo. In altre parole, uno stile di vita radicalmente votato all'obiettivo.
Stevie Van Horn racconta in 6 minuti la sua vita zerowaste e mostra il barattolo dove tiene 4 anni di rifiuti. Cliccate l'immagine per andare al video su Youtube.
Ma come facciamo noi, invece? Noi che abbiamo l’appartamento senza balcone, o noi partite iva, o noi con figli, genitori, eccetera?
Alcuni di voi mi hanno fatto questa domanda dopo la scorsa puntata.
Non è un quesito ingenuo: in Europa, di tutti i rifiuti prodotti, l'8% è di natura domestica (Eurostat). L'8% sembra poco. Ma la manifattura ne genera poco di più, ovvero il 10% (non c'è partita invece per l'edilizia, che produce il 34%). Contribuire quindi a ridurre i nostri rifiuti può avere un impatto reale.
Per rispondere ho chiesto aiuto alle Rumenta Girls. Ecco la loro storia e le loro soluzioni, pensate per il periodo del lockdown.
L’ESPERIMENTO ——
Rumenta, parola diffusa in molte regioni del nord, significa immondizia. Le Rumenta Girls, invece, sono due ragazze – al secolo Beatrice Surano e Irene Ameglio, 30 e 33 anni, la prima videomaker, la seconda project manager – che vivono a Torino e che, nell’aprile 2019, hanno provato a vivere un mese senza produrre rifiuti. Riciclando e acquistando prodotti sostenibili. «Siamo amiche da tanti anni, e da molto ci interrogavamo sulle questioni ambientali. In due case diverse, abbiamo iniziato la sfida», mi spiega Beatrice. Durante quel mese rumenta-free (quasi) hanno raccontato la loro avventura su Instagram, giorno per giorno, dialogando con amici e follower. «Non siamo né vogliamo essere influencer, però, siamo molto più a nostro agio a interagire dal vivo».
Le Rumenta Girls: Irene e Beatrice, all'ultima manifestazione "Friday for future" a Torino lo scorso settembre
«L’obiettivo era duplice: sperimentare dei metodi per ridurre il nostro impatto ambientale e raccontarci a chi vorrebbe e potrebbe fare di più per l’ambiente ma non ha ancora ricevuto la giusta spinta».
Il loro profilo Instagram, ancora attivo, è una cartina a tornasole dell’esperienza, tra soddisfazioni e piccoli fallimenti della promessa: la vittoria per aver comprato il dentifricio sfuso con il vuoto a rendere, la sconfitta per un cocktail con la cannuccia al bar; una settimana di pranzi fuori casa portandosi sempre dietro anche le posate di metallo, o per contro, la spugnetta della cucina da buttare. «Le nostre abitudini sono cambiate in maniera prima graduale poi effettiva. Un anno dopo abbiamo mollato la presa su alcune cose, ovviamente, ma su altre no. Seguiamo sempre tre principi: riduzione dei rifiuti, acquisti più sostenibili, introduzione di buone pratiche. Soprattutto, abbiamo imparato tanto e iniziato a guardare le cose diversamente».
Lo scorso inverno le Rumenta Girls hanno avviato un nuovo esperimento a Torino, aprendo la Roomenta, una stanza a tema ambiente dove condividere idee e organizzare eventi. Poi è arrivato il coronavirus.
Un messaggio ricevuto dalle Rumenta Girls durante il loro esperimento dell'aprile 2019 e condiviso sulla pagina Instagram
IL BREVIARIO ——
Durante il lockdown Beatrice e Irene continuano a dare consigli attraverso Instagram, suggerendo film, serie tv, libri e spunti.
Per “Il colore verde” invece hanno dei suggerimenti più pratici. Ecco il loro breviario di regole e buoni propositi:
❶ Disintossicazione della casa
«Abbiamo chiamato disintossicazione l’operazione di smaltire il più possibile ciò che già è presente in casa», mi spiega Beatrice. «Dai doccia schiuma a quelle farine nascoste sul fondo dei ripiani. Azzerando le proprie scorte, non solo alimentari, si può capire cosa serve e cosa no».
❷ Riconsiderare il proprio concetto di necessità
«La riflessione è ancora più naturale ora che c’è il lockdown. Una delle poche cose che possiamo fare quando usciamo è acquistare. Ci siamo rese conto che molte cose che abbiamo non ci servono. Possiamo semplicemente farne a meno. Non significa eliminare tutto e non avere vizi. Se volete un barattolo di Nutella potete comprarlo, l’abbiamo fatto anche noi. Però ci sono alcuni oggetti o cibi che noi prendiamo per pigrizia: evitandoli, senza fare sforzi sovrumani e senza soffrirci troppo, possiamo ridurre di due terzi il nostro impatto di rifiuti. Se proprio ci servono, pensiamo a soluzioni più sostenibili. Un esempio, nel campo della tecnologia: ci sono prodotti validi anche se di seconda mano o rigenerati».
❸ Fare liste molto precise
«In queste settimane è più facile cadere nella trappola del comfort food, tra bisogno psicologico e fretta. A volte è giusto concederselo. Altre no. Un buon esercizio è quello della lista della spesa molto precisa. Si esce di casa con le idee chiare e non si viene presi dal panico tra gli scaffali».
❹ Ordinare a chilometro zero
«Molti mercati sono chiusi, e certi negozi, come quelli per il cibo sfuso, possono essere lontani da casa. Ma in tante città o paesi c’è una rete di consegne a domicilio molto efficace. Bisogna solo scoprirla: a volte è facile, c’è scritto fuori dal negozio come fare, altre volte è necessario conoscere meglio chi se ne occupa. Molta agricoltura locale non ha fermato la produzione, dovete solo mettervi in contatto con loro. L'obiettivo è supportare i piccoli produttori locali e scoprire metodi nuovi e luoghi nuovi d'acquisto anche per il post lockdown». Google o qualche amico possono aiutare. Qui, per esempio, trovate tutti i negozi in Italia della catena "Negozio leggero".
❺ Auto-produrre per il domani
«Chiusi in casa abbiamo più tempo e siamo più creativi. È il momento giusto per organizzarci per il futuro. Possiamo fare delle marmellate o le piadine. Possiamo finalmente mettere in ammollo fagioli e ceci - e poi congelarli - risparmiando così sull'acquisto in lattina. Possiamo imparare delle ricette, o imparare a farle più velocemente, che ci serviranno quando torneremo a prepararci la schiscetta. Insomma, agire ora affinché in futuro si riducano i nostri acquisti».
❻ Farsi una cultura
«Leggere, scoprire, vedere documentari. Ora abbiamo più tempo da sfruttare per aumentare la nostra cultura pratica e teorica. In questo periodo il mondo ha smesso di parlare di temi ambientali, ma per noi rimane un argomento necessario».
❼ Parlarne (ma non troppo)
«Grazie al progetto ci siamo rese conto che parlare di ciò che stavamo facendo era importante, ma chi ci stava vicino ne ha patito un po’ le conseguenze. Amici e famigliari hanno delle abitudini e opinioni diverse e vanno rispettate. A parlarne troppo si rischia l’auto-ghettizzazione e la ricerca della perfezione è controproducente. Le persone che ci stanno attorno possono sviluppare sensi di colpa, sentirsi giudicati, oppure essere ostili. Però piano piano le idee circolano e si trovano soluzioni insieme. La nostra presenza in un luogo faceva iniziare sempre dei discorsi animati. E alcune persone stanno cambiando idea proprio ora durante l’emergenza del coronavirus, cercando cibi e prodotti più vicini e sostenibili».
Una vignetta di Paul Karasik apparsa sul New Yorker del 11 agosto 2008 (CondeNast)
L’ultima domanda che ho fatto alle Rumenta Girls riguarda la questione economica: è opinione diffusa che uno stile di vita più sostenibile sia anche più costoso.
«Il bilancio economico totale è positivo. Ci sono dei prodotti sfusi che costano di più della versione impacchettata del supermercato, come i biscotti e i cereali. Ma la maggior parte delle cose costa di meno: i detersivi, per esempio. Un ragionamento simile vale per l’ortofrutta: in alcune città il mercato costa di meno e attraverso produttori locali si può capire meglio di cosa si ha bisogno e gestire le quantità».
Avete domande per Irene e Beatrice? Seguitele su Instagram. Seguitele anche se non avete domande.
Avete dubbi, idee nuove o spunti diversi su questi temi? Rispondete alla mail.
Ci risentiamo sabato prossimo!
PS. Perché siamo qui
Per l'occhio umano, il verde è il colore con più sfumature. Distinguiamo moltissime varietà di verde. C'entra l'evoluzione: i primati da cui deriviamo si nutrivano prevalentemente di piante e frutta e per loro era vitale poter distinguere ciò che li circondava.
Oggi, sono molte anche le sfumature di verde quando parliamo di cambiamento climatico e all'ambientalismo. I media tradizionali tendono a dare voce o agli scettici o a chi ha un approccio inarrestabile e radicale, con l'effetto di ghettizzare le posizioni e scoraggiare i moderati.
Ecco perché nasce questa newsletter: per raccontare chi ogni giorno prova a contribuire a migliorare l'ambiente, chi si fa domande, chi è pieno di dubbi, chi ha coraggio ma anche una vita, un lavoro e una famiglia da incastrare agli ideali. Per passare parola, soprattutto ai giovani.
Non sarò l'unico a parlare: se avete spunti, dubbi, idee, contributi scrivetemi.