La nuova opera d'arte di Luke Jerram, presentata il 17 marzo a Bristol: il coronavirus riprodotto con una sfera di vetro di 23 centimetri di diametro, un milione di volte più grande del reale. (Foto di Adrian Dennis)
Tutti abbiamo visto i grafici che mostrano la diminuzione di emissioni in Cina e la riduzione dello smog in Europa nelle ultime settimane e mesi. Abbiamo letto le notizie e condiviso gli articoli da titoli sensazionalistici tipo «Gli effetti del coronavirus sono così estremi che si possono vedere dallo spazio» (The Hill, Corriere). La speranza comune era che il virus avesse almeno portato un risultato positivo: il miglioramento dell'ambiente e il rallentamento del cambiamento climatico. Un numero su tutti: le emissioni nella regione dell'Hubei, dove si trova Wuhan, si sono ridotte in questi mesi del 40% (CREACleanAir oppure Live Science). Meno emissioni, meno effetto serra, meno surriscaldamento. Facile, no?
Come cambiano le emissioni di NO2 da gennaio a marzo sull'Italia. Verso la fine, ovvero quando partono le misure per fermare il contagio, si vede l'improvviso calo, con i colori che diventano gialli.
(Video ESA, lo vedete commentato su Youtube)
La verità è più articolata — e alla domanda «Il covid-19 ha fatto anche cose positive per l'ambiente?» rispondere con un semplice "sì" o "no" non è possibile.
Parto con un concetto fondamentale. C'è chi diceva, nel 2019, che Greta Thunberg avesse fatto in un anno più degli scienziati in tre decenni. E c'è chi dice, ora, che il coronavirus abbia fatto, in termini di riduzione di emissioni, in qualche mese più di quanto fatto da Greta Thunberg e tutti i climatologi del mondo.
Ho chiesto ad Antonello Pasini se il ragionamento fosse vero. Pasini è un fisico e climatologo, ricercatore del Cnr e autore di numerosi saggi sul clima tra cui l'ultimo imprescindibile "L'equazione dei disastri" edito da Codice Edizioni, in cui fa un parallelo tra diffusione di un'influenza e cambiamento climatico (potete seguire Pasini anche sulla sua pagina Facebook, dove è molto attivo e sempre attuale).
CO2 —
«Voglio mettere tutti in guardia su un simile ragionamento. Il riscaldamento globale non diminuirà quest'anno, né il prossimo, solo perché per alcuni mesi le emissioni si sono ridotte, seppur drasticamente. Anche se si trattasse di un anno intero, o due. È vero, c'è meno inquinamento atmosferico in città, quello formato dal diossido d'azoto (NO2), prodotto soprattutto da auto e riscaldamenti, e l'abbiamo visto sulla Pianura padana. [Parentesi: L'NO2 non è un gas serra, ma spesso viene usato come indicatore perché alla presenza di NO2 corrisponde presenza di CO2 e altri gas serra.]
Ma l'anidride carbonica (CO2), principale causa dell'effetto serra e prodotta dalla combustione di idrocarburi, rimane nell'atmosfera per decenni. Noi stiamo scontando ora le emissioni di 10, 20 anni fa. Quello che fai oggi al clima conta poco. C'è un'inerzia molto lenta. Come gli effetti della quarantena per il coronavirus si vedono dopo alcune settimane, per beneficiare di un miglioramento del clima bisogna aspettare anni, e nel frattempo ridurre molto e in maniera costante le emissioni».
EFFETTO RIMBALZO —
C'è un altro pericolo dietro l'angolo e si chiama effetto rimbalzo. Continua Pasini: «Se il modello di sviluppo rimane lo stesso, ovvero la corsa a una produzione infinita, ci sarà un effetto rimbalzo quando la pandemia si fermerà. Le aziende torneranno a produrre con più intensità di prima, per recuperare il tempo perduto».
E sul tema rimbalzo aggiungo un nuovo numero: durante la recessione del 2008 le emissioni globali di CO2 sono diminuite dell'1,4%. Nel 2010, quando ormai l'economia si era ripresa, sono cresciute del 5,9%. Era successa la stessa cosa con la crisi petrolifera del 1979. (World Resources Institute). La speranza, questa volta, sarebbe riuscire a far ripartire l'economia senza venire meno agli accordi internazionali e le agende ambientali dei governi. Ma sarà molto difficile se borse e prezzo del petrolio continueranno a cadere in picchiata.
Emissioni che calano durante le crisi e poi salgano più rapidamente negli anni successivi
(InsideClimateNews — lo studio approfondito qui: Global Carbon Project)
INQUINAMENTO ATMOSFERICO —
Ora un paio di buone notizie.
«Ma la bora porta odore di bosco, pulisce l'aria, spinge creste bianche al largo. Le nereidi! Pensieri omerici e senso di riequilibrio. Il mondo è sfebbrato, respira. Ma anche gli umani, qui, rinascono col vento».
Così ha scritto Paolo Rumiz nel suo diario dalla quarantena pubblicato su Repubblica giovedì 19 marzo.
«Gli umani rinascono con il vento» mi sembra un verso meraviglioso, che riassume una verità che tutti siamo in grado di comprendere, vedere e sentire. Nelle città italiane, così come in almeno mezzo mondo, c'è meno smog. L'aria è più pulita, così come l'acqua. Sono circolate alcune foto di Venezia: l'acqua è limpida, trasparente come probabilmente non si vedeva da secoli (ma diffidate dei fake: è trasparente anche perché il livello dell'acqua è basso e no, non sono tornati i delfini»).
I canali puliti di Venezia, con il ritorno di uccelli e pesci (Foto di Andrea Pattaro di AFP)
Tornando all'aria: in giro c'è meno particolato (PM 2.5 e PM10) e meno diossido di azoto. Perché i trasporti si sono ridotti al minimo, molti uffici sono chiusi, i riscaldamenti spenti, e il meteo è stato fortunato. Alcune pioggia, molto sole, e dalle Alpi, come mi ha segnalato Pasini, il soffio del Föhn: un vento caldo di caduta che ha redistribuito l'inquinamento di fonte antropica.
VITE SALVATE —
Meno inquinamento per un mese o due o un anno non ha effetti positivi sul clima, ma li ha sugli esseri viventi, in particolare per gli umani che vivono in città. È fatto risaputo e comprovato che per inquinamento dell'aria si muore. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nel 2016 sono morte così 4,2 milioni di persone (WHO). Secondo la Società europea di cardiologia è una sottostima, e il numero sarebbe da raddoppiare: 8,8 milioni di morti nel 2018, seguendo un nuovo modello più complesso di calcolo (European Society of Cardiology). Così fosse, sarebbero più dei 7,5 milioni di morti l'anno causati dal tabacco.
Letto il dato, il ragionamento successivo è scontato: il distanziamento sociale e le misure di quarantena hanno salvato delle vite umane grazie alla diminuzione dello smog e al miglioramento dell'aria?
Marshall Burke, importante climatologo della Stanford University, risponde di sì, nonostante le dovute postille e la premessa che nessuno spera che il coronavirus serva a ripulire l'aria. Analizzando i dati cinesi, dove per più di due mesi lo smog è diminuito, calcola che in quel periodo statisticamente in Cina «si sono salvati 4000 bambini di età inferiore ai 5 anni e 73.000 adulti sopra i 70 anni». Il computo si basa su una serie di studi precedenti, tra cui un'analisi sulla riduzione di smog durante le Olimpiadi di Pechino del 2008 (Science Direct): a una diminuzione del 10% di PM10 nell'aria, il tasso di mortalità per i giovanissimi e gli anziani cala dell'8%. E considerate che i PM2.5 (particolato ancora più piccolo del PM10) in Cina in questi due mesi è sceso del 25%.
PM10 e P2.5 a confronto con un granello di sabbia e un capello umano.
(EPA)
Se volete approfondire, in inglese, Burke spiega il suo calcolo, che secondo lui è una sottostima conservativa, e tutte le postille nel suo articolo.
VITE IN PERICOLO ——
Il ragionamento è necessario farlo anche al contrario. All'aumentare del coronavirus e delle conseguenti misure di contenimento, diminuisce lo smog. Ma se invece aumenta lo smog, cosa succede al virus? In altre parole: l'inquinamento dell'aria favorisce o sfavorisce la diffusione del virus?
La risposta è: la favorisce. Per alcuni fattori. Primo, più inquinamento provoca ai nostri polmoni più danni predisponendoli a ulteriori peggioramenti: i polmoni di chi vive in città sono più vulnerabili di chi vive immerso nella natura. Secondo, il particolato nell'aria è veicolo di virus. Nel gergo scientifico: carrier, portatore. Non significa che ogni folata di vento sporco porta il virus a bocca e naso di tutti, ma è uno dei fattori con cui il virus si muove (e ci sono precedenti importanti: si attribuisce all'inquinamento la causa principale nel 2019 di un picco di morbilli nella città cinese di Lanzhou).
C'è poi un terzo fattore, anch'esso molto discusso sui giornali italiani nell'ultima settimana, ma trattato con approssimazione: le città dove il coronavirus si è diffuso maggiormente, da Milano a Wuhan, sono simili per latitudine, umidità, temperatura media in questa stagione (University of Maryland). Non significa che rimarrà solo qui. Secondo lo studio, il coronavirus si comporta come il virus dell'influenza stagionale e quindi si può prevedere dove finirà: quando quelle caratteristiche si presenteranno in altri luoghi, per via del cambio delle stagioni, i contagi si diffonderanno là.
Un grafico che è uscito sul Messaggero il 18 marzo: in verde tutte le aree del mondo con temperatura e umidità simile, quindi, secondo lo studio dell'Università del Maryland, più vulnerabili in questo periodo al coronavirus.
SPORCA MALEDETTA PIANURA PADANA —
Wuhan, Milano, Seoul, Madrid: sono tutte grandi città molto inquinate. Così come è molto inquinata tutta la Pianura Padana, che per la sua conformazione tende ad accumulare e trattenere lo smog (esattamente come trattiene la nebbia). Uno studio appena pubblicato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale e dalle università di Bologna e di Bari ne parla in maniera approfondita. Secondo la ricerca, i focolai lombardi ed emiliani non sono scoppiati per caso, e c'è una correlazione tra alto tasso di PM10 nell'aria e contagi. Questo passaggio è lapidario:
«In particolare si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo, considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 Febbraio di 14 giorni approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus»
Potete approfondire nel paper redatto dai ricercatori o con un articolo di Valori.it.
Non bastasse: a convincerci della veridicità dello studio si aggiungono le precedenti analisi fatte sui virus della famiglia dei coronavirus, come Mers e Sars. Non solo il particolato si comportava da carrier dei virus, ma i soggetti che avevano i polmoni più danneggiati, o dal fumo o dall'inquinamento, si sono ammalati di più e, soprattutto, sono morti di più. Dell'84% in più. (Science Direct).
MOLTIPLICATORE —
Mi avvio a concludere e riassumo i due schemi analizzati.
Da una parte quello inerziale. Modifiche immediate al nostro stile di vita non hanno un impatto immediato sul clima. Ci vuole tempo e costanza. Esattamente come con la diffusione del virus e il tentativo di bloccarlo con la quarantena. Solo che la quarantena climatica non è possibile, perché dovrebbe durare decenni.
Dall'altro quello moltiplicatore. Il cambiamento climatico, l'inquinamento atmosferico, agevolano la diffusione di questo virus e di altre possibili malattie. A volte in maniera secondaria, a volte come uno tra i fattore scatenanti primarii. Le mutate condizioni dell'ambiente moltiplicano pericolosità e diffusione: threat multiplier, moltiplicatore di minaccia, come ha spiegato al New York Times Katharine Hayhoe, scienziata della Texas Tech University e autrice di un rapporto climatico per il governo americano. Inverni più miti indeboliscono il sistema immunitario e l'aria inquinata peggiora la salute e temperature e umidità più alte trasporta più facilmente il virus e altri agenti patogeni. Sia ben chiaro: una stretta di mano o uno starnuto continueranno a essere più contagiosi dell'aria che respiriamo.
Ma per decidere le politiche socio-sanitarie del prossimo futuro sarà necessario tenere conto di tutti gli aspetti intercorressi e, in questi anni, così poco approfonditi. Qualità dell'aria, emissioni, cambiamento climatico non sono faccende che interessano solo le future generazioni, anzi, il covid-19 ci ha dimostrato quanto l'orizzonte temporale sia molto più vicino.
Mi sembra un enorme e necessario cambio di paradigma. Per chi fa politica, ma anche per chi combatte a favore dell'ambiente.
SPILLOVER —
C'è infine un altro fenomeno legato al clima che agisce da moltiplicatore:
«Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie».
Lo scrive David Quammen in Spillover, libro divulgativo del 2014 edito in Italia da Adelphi e dedicato ai salti di specie dei virus, ovvero quando da una specie animale finiscono a colpire l'essere umano, come è possibile sia successo con il covid-19.
Parleremo di questo tema la prossima settimana. Nel frattempo, se avete domande, feedback, o contributi, scrivetemi. Qui sotto, sezioni più leggere della newsletter, perché bisogna informarsi ma anche agire.